Cronologia delle rivolte e dei morti dalla caduta del fascismo ai giorni nostri

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In questa voce vengono esposte non tanto rivolte armate o insurrezionali quanto cortei e manifestazioni di protesta degenerati in scontri di piazza. Ciò si evince anche dal ridotto numero di morti fra i rappresentanti delle forze dell'ordine (ben armati e decisi a sparare senza remora alcuna su manifestanti disarmati). Vengono inoltre evidenziati alcuni episodi legati a questioni politiche che, a causa della violenza della polizia, hanno provocato morti o ferimenti gravi.

1943

A La Spezia la polizia spara sui dimostranti uccidendo due operai.

A Savona, nel corso di una manifestazione antifascista dinanzi alla caserma della milizia, la milizia portuaria apre il fuoco uccidendo due donne e ferendo 7 persone.

A Torino una manifestazione favorisce l'evasione di 300 detenuti dal carcere "Le Nuove" senza perdite. Viene però ucciso un fascista ed i giorni successivi, in scioperi e manifestazioni, i lavoratori torinesi avranno morti e feriti in numero imprecisato.

A Cuneo, nel corso di una manifestazione antifascista, gli alpini aprono il fuoco sui dimostranti uccidendone uno e ferendone due.

A Milano, nel corso di scontri seguiti allo svolgimento di alcuni comizi antifascisti, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo 4 dimostranti e ferendone 31. Rimane ucciso anche un fascista.

A Faenza (Ravenna) le forze di polizia aprono il fuoco su dimostranti antifascisti uccidendone uno e ferendone 5.

A Sesto Fiorentino (Firenze) la polizia apre il fuoco sui dimostranti uccidendo un ragazzo.

A Monfalcone (Gorizia), per stroncare le agitazioni operaie, le forze di polizia sparano uccidendo un operaio e ferendone altri tre.

A Sarissola di Busalla (Genova) la polizia interviene contro gli operai in sciopero uccidendone uno.

A Sestri Ponente (Genova), nel corso di uno sciopero, le forze di polizia aprono il fuoco ferendo gravemente un dimostrante, che morirà il successivo 2 agosto.

A Genova le truppe aprono il fuoco sui cittadini che manifestano per la caduta del regime uccidendone tre.

A Massalombarda (Ravenna), in scontri tra fascisti e militari, perdono la vita 4 persone e 11 rimangono ferite.

A Milano l'esercito spara sui manifestanti, in via Carlo Alberto, provocando due morti e 20 feriti. Sempre a Milano il carcere di San Vittore entra in rivolta a seguito dell'ammutinamento dei detenuti politici, provocando l'intervento della 7° Fanteria, che fa uso delle armi uccidendo un detenuto e ferendone 14.

A Lullio (Bergamo) scontri tra dimostranti antifascisti e forze di polizia si concludono con un manifestante ucciso.

A Bologna, per stroncare una manifestazione operaia, intervengono reparti dell'esercito e forze di polizia, che aprono il fuoco uccidendo un dimostrante e ferendone altri tre.

A Reggio Emilia un reparto militare apre il fuoco sugli operai delle Officine Reggiane che intendono sfilare in corteo per le vie della città, chiedendo la pace. Muoiono Antonio Artioli, Vincenzo Belocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisenti, Gino Menozzi, Osvaldo Notari, Domenica Secchi e Angelo Tanzi. Altre 42 persone restano ferite.

A Bari, in piazza Roma, un reparto militare apre il fuoco su un corteo guidato da Luigi De Secly, liberale, e Fabrizio Canfora, azionista, che si dirige verso il carcere cittadino per chiedere la liberazione dei detenuti politici. Il bilancio è di 19 morti e 36 feriti (60 feriti secondo altra fonte). Muoiono Fausto Buono, Gaetano Civera, Francesco De Gerolamo, Giuseppe Di Tulli, Graziano Fiore, Nunzio Fiore, Michele Genchi, Vittorio Giove, Giuseppe Gurrado, Paolo Ladisa, Michele La Ghezza, Angelo Lo Vecchio, Giovanni Nicassio, Tommaso Piemontese, Giuseppe Potente, Gennaro Selvaggi, Francesco Sgrana, Francesco Tanzarella, Vincenzo Tropete.

A Torino l'esercito apre il fuoco come il giorno precedente sui dimostranti contro la guerra, provocando altri morti e feriti.

A Milano, nel corso di scontri tra dimostranti antifascisti e forze di polizia, queste ultime aprono il fuoco uccidendo tre manifestanti e ferendone altri 28. Una rivolta di detenuti politici a San Vittore, appoggiata dall'esterno, è stroncata dall'esercito con l'impiego di mezzi corazzati e di un battaglione di fanteria. Imprecisato il numero dei morti e dei feriti, mentre 4 detenuti vengono fucilati dopo un processo sommario.

A Canegrate (Milano), nel corso di una manifestazione, si arriva allo scontro e la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante.

A Desio (Milano) le forze di polizia uccidono un manifestante nel corso di dimostrazioni contro la guerra.

A Urgnano (Milano) una manifestazione è repressa dalla polizia, che uccide un dimostrante e ne ferisce un altro.

A Roma, nel carcere di Regina Coeli, esplode una rivolta capeggiata da detenuti politici. L'intervento delle forze militari e di polizia provoca 5 morti e decine di feriti.

A Pozzuoli (Napoli) si arriva allo scontro tra cittadini e forze di polizia: queste ultime sparano uccidendone uno e ferendone due.

A Sestri Ponente (Genova) proseguono manifestazioni operaie e scontri: la polizia spara uccidendo un operaio e ferendone altri.

A Genova, nel corso di uno sciopero generale, si arriva a scontri: le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo tre dimostranti e ferendone molti altri.

A Sesto Fiorentino (Firenze), nel corso di scontri, la polizia uccide un ragazzo. Viene uccisa una seconda persona durante il coprifuoco.

A Bologna, nel corso di una manifestazione operaia, la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante.

A Budrione (Modena) un uomo viene ucciso durante il coprifuoco.

A Milano, nel corso dello sciopero generale, le forze militari e di polizia aprono il fuoco, uccidendo tre dimostranti e ferendone altri 4.

A La Spezia, nel corso di una manifestazione operaia, la polizia apre il fuoco uccidendo due dimostranti e ferendone altri 11.

A Sesto Fiorentino (Firenze) proseguono gli scontri tra dimostranti e forze di polizia, che aprono il fuoco uccidendone uno.

A Colle Val d'Elsa (Siena) una manifestazione popolare viene repressa dalle forze di polizia, che sparano uccidendo un dimostrante e ferendone altri 11.

A Rieti, nel corso di una manifestazione, la polizia apre il fuoco uccidendo due dimostranti.

A Torino viene ucciso un uomo durante il coprifuoco.

A Rufina (Firenze), 2 uomini vengono uccisi durante il coprifuoco.

A Milano prosegue lo sciopero generale e si arriva a nuovi scontri nel corso dei quali le forze militari e di polizia uccidono 5 dimostranti e ne feriscono tre.

A Sassuolo (Modena) un uomo viene ucciso durante il coprifuoco.

A San Giovanni di Vigo di Fassa (Trento), nel corso di una manifestazione, la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante e ferendone un secondo.

A Imperia un uomo è ucciso durante il coprifuoco.

A Milano un uomo è ucciso durante il coprifuoco.

A Napoli, nel corso di una manifestazione, la polizia apre il fuoco uccidendo un dimostrante e ferendone due.

A Laveno Mombello (Varese) un uomo viene ucciso durante il coprifuoco.

A Castelnuovo di Traù (Spalato) un uomo viene ucciso durante il coprifuoco.

A Milano, nel corso di una dimostrazione, le forze di polizia sparano uccidendo due dimostranti e ferendone 7.

A Torino, l'esercito spara sugli operai che tentano di uscire dalla fabbrica della "Fiat Grandi Motori", provocando due morti e 7 feriti. La città risponde con lo sciopero generale. All'ordine di sparare sui lavoratori, impartito dal gen. Adami Rossi, gli alpini si rifiutano.

A Palma di Montechiaro (Agrigento), per stroncare la manifestazione della popolazione contro il richiamo alle armi, reparti militari aprono il fuoco uccidendo un uomo e una donna.

A Montesano (Salerno), nel corso di una rivolta durata due giorni, la popolazione occupa gli uffici pubblici distruggendo i documenti riguardanti le tasse e il razionamento, cercando anche di impadronirsi delle armi custodite nella caserma dei carabinieri. La rivolta, avvenuta «su probabile istigazione di elementi comunisti», scrivono i carabinieri nel loro rapporto, si conclude con un bilancio di 8 morti, 10 feriti e 55 arrestati.

1944

A Montefalcone Sannio e a Torremaggiore (Foggia) si verificano rivolte contadine che vengono represse con estrema violenza da reparti dell'esercito e della polizia, che fanno uso delle armi da fuoco provocando un numero indeterminato di morti e feriti.

A Partinico (Palermo), nel corso di una manifestazione contro il carovita e gli accaparratori di grano, un sottufficiale dei carabinieri uccide Lorenzo Pupillo, minorenne. Negli scontri muore anche il maresciallo dei carabinieri Benedetto Scaglione.

A Roma la polizia apre il fuoco contro le donne che manifestano per la mancanza di cibo uccidendo Caterina Martinelli.

A Regalbuto (Enna), nel corso di un raduno separatista al quale partecipano Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi La Rosa, Santi Rindone, Bruno di Belmonte, Guglielmo Carcaci, Concetto Gallo, Concetto Battiato e Isidoro Piazza, si verificano gravi incidenti nel corso dei quali perde la vita, sotto il fuoco dei carabinieri, il segretario della locale federazione del PCI Santi Milisenna. Altre due persone rimangono gravemente ferite.

A Licata (Agrigento) polizia e carabinieri sparano sulla folla, che protesta per il ritorno all'ufficio di collocamento del dirigente fascista, provocando tre morti, 18 feriti e procedendo all'arresto di altri 120 dimostranti.

Ad Ortucchio (L'Aquila) una manifestazione di contadini diretta ad occupare terre incolte (fra le quali un appezzamento del principe Torlonia), è stroncata da carabinieri e guardie campestri, che aprono il fuoco provocando due morti (fra i quali Domenico Spera, militante PCI), 4 feriti gravi e molti feriti lievi.

A Palermo un plotone di fanteria del 139° reggimento della divisione Sabauda apre il fuoco sulla folla che dimostra, pacificamente, per il pane: 23 morti e 158 feriti sono il bilancio della strage. Rimangono uccisi: Giuseppe Balistreri, Vincenzo Cacciatore, Domenico Cordone, Rosario Corsaro, Michele Damiano, Natale D'Atria, Giuseppe Ferrante, Vincenzo Galatà, Carmelo Gandolfo, Francesco Giannotta, Salvatore Grifati, Eugenio Lanzarone, Gioacchino La Spisa, Rosario Lo Verde, Giuseppe Maligno, Erasmo Midolo, Andrea Olivieri, Salvatore Orlando, Cristina Parrinello, Anna Pecoraro, Vincenzo Puccio, Giacomo Venturelli, Aldo Volpes.

Sulla stampa appare un comunicato del governo sul massacro avvenuto a Palermo il giorno precedente: «In occasione di una dimostrazione diretta ad ottenere miglioramenti di carattere economico, compiuta ieri a Palermo da impiegati delle banche e dell'esattoria, gruppi estranei, sobillati da elementi non ancora chiaramente individuati, prendevano l'iniziativa per inscenare una manifestazioni sediziosa. Davanti alla sede dell'Alto Commissariato venivano esplosi colpi d'arma da fuoco contro reparti dell'Esercito, che erano così costretti a reagire. Si deplorano 16 morti e 104 feriti. L'ordine pubblico è stato ristabilito. Il Comitato provinciale di liberazione nazionale si è subito riunito ed ha dichiarato di mettersi a disposizione dell'Autorità governativa locale per la ricerca dei responsabili della manifestazione sediziosa».

  • ottobre

A Licata (Agrigento), nel corso di una manifestazione di contadini, i carabinieri aprono il fuoco uccidendone due, ferendone 19 e provvedendo a denunciarne altri 80.

A Roma un agente di pubblica sicurezza uccide con un colpo di pistola Giorgio Misiti mentre tracciava scritte anti monarchiche sui muri.

A Catania una folla tumultuante manifesta contro il richiamo alle armi devastando il municipio, la sede del Banco di Sicilia, dove sono ubicati gli uffici dell'esattoria comunale, e recandosi dinanzi alla sede del distretto militare, dal cui interno i militari esplodono colpi di arma da fuoco che uccidono il giovane Antonio Spampinato. Sono tratti in arresto 53 manifestanti, fra i quali gli studenti separatisti Egidio Di Mauro, Salvatore Padova da Ispica, Giuseppe La Spina; fra coloro che risultano denunciati a piede libero vi sono Concetto Gallo, i fratelli Gullotta, Michele Guzzardi, Giuseppe Galli, Isidoro Avola, Guglielmo Paternò Castello.

A Pedara (Catania) vengono lanciate, nella mattinata, 5 bombe a mano in due piazze del paese (per protesta contro il richiamo alle armi dei giovani). A Vizzini (Catania), nel pomeriggio, i carabinieri aprono il fuoco contro i dimostranti intenti ad incendiare la sede del municipio, uccidendone due.

1945

A Ragusa l'esercito spara sulla folla, che tenta di bloccare un camion che trasporta giovani verso il fronte, ferendo gravemente un ragazzo e uccidendo il sacrestano della chiesa di San Giovanni con una bomba a mano che gli stacca la testa. La rivolta dei "Non si parte!", lungi dal sedarsi, si inasprisce.

A Ragusa i rivoltosi si impadroniscono di alcuni quartieri elevando barricate ed iniziano la resistenza armata. La rivolta è guidata da militanti socialisti e soprattutto comunisti, ignari delle posizioni del partito, che ha stigmatizzato la rivolta come "rigurgito fascista". La vendetta dell'esercito sarà spietata. Le cifre ufficiali danno 18 morti e 24 feriti tra carabinieri e soldati, e 19 morti e 63 feriti fra gli insorti nella sola Ragusa e provincia, ma diverse fonti le ritengono cifre sottostimate.

A Naro (Agrigento) si acutizza la rivolta contro la chiamata dei giovani alla leva. Il bilancio della repressione sarà di 5 morti, 12 feriti e 53 arrestati.

A Licata (Agrigento) si verificano disordini contro la chiamata alla leva, nel corso dei quali viene ucciso un manifestante.

A Roma ingenti forze di polizia e dell'esercito rastrellano le borgate Gordiani e Quarticciolo, procedendo all'arresto di centinaia di militanti del PCI e di renitenti alla leva. Un sottufficiale dei carabinieri uccide, nei locali in cui veniva trattenuto in stato d'arresto, Arduino Fiorenza, comunista.

A Cagliari si verificano violenti incidenti fra le forze di polizia e gli studenti che manifestano contro il richiamo alle armi. Un agente di pubblica sicurezza muore a seguito del lancio di una bomba a mano da parte dei manifestanti, mentre numerosi fra questi ultimi vengono feriti dai colpi di arma da fuoco sparati dagli agenti. La città è infine presidiata dall'esercito.

A Roma, nel corso di una manifestazione organizzata dal PCI per protestare contro la fuga del generale Roatta dall'ospedale militare del Celio e per chiedere l'inasprimento delle sanzioni epurative contro i fascisti, si arriva allo scontro e alla morte, davanti al Quirinale, di un manifestante, Giuseppe Lasagna Mancini, per l'esplosione anticipata di una bomba.

A Palermo la folla assalta gli uffici delle imposte e la sede dell'ispettorato dei dazi e consumi, dirigendosi poi verso la prefettura. Negli scontri che ne seguono con le forze di polizia rimangono uccisi un commissario di pubblica sicurezza ed un giovane operaio.

A Gravina di Puglia (Bari) si arriva a scontri fra la popolazione e la polizia. Appartenenti alle forze di polizia uccidono Vincenzo Lobaccaro, bracciante, omonimo di un ex confinato antifascista e scambiato per quest'ultimo.

A Minervino Murge (Bari), in incidenti fra militanti comunisti e carabinieri con uso di armi da fuoco da entrambi i lati, rimane ucciso un dimostrante.

A Minervino Murge (Bari) i carabinieri, assediati nella loro caserma, tentano di aprirsi un varco sparando contro la popolazione che circonda lo stabile e uccidendo un manifestante.

A Piazza Armerina (Enna), nel corso di uno scontro con dimostranti, un carabiniere uccide il militante socialista Giovanni Pivetti.

A Lecce, nel corso di una manifestazione di operai edili dinanzi alla prefettura, si arriva allo scontro e i carabinieri sparano, uccidendo Francesco Schifa, Oronzo Zingarelli e Nicola Favatano e ferendo un numero imprecisato di altri dimostranti.

A Piazza Armerina (Enna) le forze di polizia caricano e procedono a numerosi arresti fra i contadini e i lavoratori che da due giorni manifestano contro il carovita e la mancanza di lavoro; la carica provoca un morto e diversi feriti.

A Molfetta (Bari) una manifestazione di "frantoiani" è duramente repressa dall'intervento delle forze di polizia. Anche a Bisceglie, Corato, Bitonto (tutti in provincia di Bari) si succedono, in queste settimane, manifestazioni per richiedere lavoro e più umane condizioni di vita, manifestazioni che vengono represse dalle forze di polizia con l'uso di armi da fuoco che provocano numerosi feriti e morti.

  • dicembre

A San Severo, San Marco in Lamis, Torremaggiore, Martinafranca (tutti in provincia di Foggia) e ad Ostuni (Bari) manifestazioni contadine vengono soffocate dalle forze di polizia, che in diverse circostanze uccidono tre contadini e ne feriscono altri due.

1946

Ad Andria (Bari) una manifestazione di disoccupati si trasforma in una vera e propria insurrezione. Le forze di polizia sparano uccidendo 4 dimostranti e ferendone un centinaio, ma infine vengono disarmate e tenute in ostaggio. Il giorno successivo (6 marzo), grazie all'intervento di rinforzi, le forze di polizia uccidono altri tre dimostranti. Muoiono anche un appuntato dei carabinieri e due militi. L'insurrezione avrà termine la sera per l'arrivo di preponderanti forze militari e di polizia. Racconterà nelle sue memorie il ministro degli interni Romita: «Voglio i responsabili, tutti, nessuno escluso, dissi: nel volgere di poche ore furono fermate centinaia di persone... ». La rivolta viene condannata dal segretario della CGIL Di Vittorio, che invita i rivoltosi a rientrare nell'ordine. Andria è l'episodio culminante di una lotta pre-insurrezionale che serpeggia in centinaia di località in tutta la Puglia: da Bari a Foggia, da Lecce a Ceglie, da Spinazzola a Bisceglie, con decine di morti e centinaia di feriti.

A Palermo disoccupati e reduci di guerra tentano di assaltare la prefettura per protestare per la mancanza di lavoro. Le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Giuseppe Maltesi e un altro dimostrante e ferendo 30 persone. Negli scontri muore anche il commissario di pubblica sicurezza Calderone.

A Messina, nel corso di una manifestazione di protesta contro la disoccupazione e l'assenteismo del governo, le forze di polizia sparano uccidendo il soldato di leva Salvatore Caramanna ed un bambino e ferendo altri 24 dimostranti.

A Foggia reduci e disoccupati assaltano il treno Bologna-Bari asportando generi alimentari, dopo aver danneggiato gli uffici annonari, quelli delle tasse ed il consorzio agrario. Le forze di polizia sparano uccidendo un dimostrante e ferendone 18.

A Molfetta (Bari) manifestanti attaccano il municipio, saccheggiano magazzini e alcuni pastifici. La polizia interviene facendo uso delle armi da fuoco ed uccidendo tre dimostranti.

A Cerignola (Foggia) la polizia reprime una manifestazione di contadini, facendo uso delle armi da fuoco e provocando la morte di due dimostranti.

20-25 aprile A Milano esplode la rivolta dei detenuti di San Vittore, nel quale sono rinchiusi sia fascisti che partigiani: la rivolta viene domata solo con l'intervento dell'esercito e di reparti alleati, con un bilancio di 5 morti e circa 200 feriti.

  • aprile

A Scrutto di San Leonardo (Udine) un soldato americano uccide con un raffica di mitra l'ex partigiano Ivo Primosig mentre issa su un palo una bandiera jugoslava.

A Napoli una folla di monarchici tenta di assaltare la caserma dei carabinieri di Capodimonte per impadronirsi delle armi. Nel corso degli scontri gli agenti uccidono con una raffica di mitra Carlo Russo: ha solo 14 anni. Per effetto dell'esplosione di una bomba, muore Ciro Martino e altre 6 persone rimangono ferite.

A Napoli, nel corso di ulteriori scontri, la polizia uccide Gaetano D'Alessandro (di 16 anni) mentre manifesta a favore della monarchia.

A Napoli Mario Fioretti tenta di togliere la bandiera rossa antistante la sede della federazione del PCI in via Medina: dall'interno gli sparano e lo uccidono. Una folla di monarchici si accalca dinanzi alla sede e la polizia spara a sua volta contro i dimostranti, uccidendo Michele Pappalardo, Felice Chirico, Guido Beninanto, Vincenzo di Guida, Francesco d'Azzo e Ida Cavalieri. Giorgio Amendola, presente all'interno della federazione, viene arrestato dagli alleati e poi rilasciato a seguito dell'intervento della questura.

A Caccamo (Palermo), a causa della requisizione del grano, esplode il risentimento dei contadini, affrontati, armi alla mano, dalle forze di polizia. Il bilancio degli scontri che ne seguono è di 18 morti e un centinaio di feriti fra i contadini e di 4 morti e 15 feriti fra le forze di polizia.

In Puglia e in Calabria i contadini occupano 75.000 ettari di terre (in 72 comuni). Alcide De Gasperi ordina di «procedere energicamente a carico dei responsabili di occupazioni arbitrarie». E così sarà: le forze di polizia spareranno implacabilmente provocando morti e feriti.

A Crotone una manifestazione di protesta degli operai Montecatini è stroncata dall'intervento della polizia, che apre il fuoco ferendo gravemente tre giovani, uno dei quali morirà poco dopo in ospedale.

A Roma, nel corso della manifestazione indetta dagli operai del genio civile dinanzi al Viminale, si arriva allo scontro. L'intervento di reparti di cavalleria e di ulteriori rinforzi di polizia evita l'invasione del palazzo e, mentre gli operai si ritirano, viene aperto il fuoco contro di loro. Il bilancio finale è di tre operai uccisi (Enrico Costantini, Giuseppe Grossetti, Adolfo Scurti), 82 feriti tra i dimostranti e 59 feriti tra le forze di polizia.

A Roma una folla di disoccupati tenta l'assalto al palazzo del Viminale, sede della presidenza del consiglio e del ministero dell'interno. Negli incidenti con la polizia si registrano un morto ed un centinaio di feriti.

A Bari, ad una manifestazione contro la disoccupazione seguono scontri nel corso dei quali le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo lo studente universitario Annino Liaci ed un operaio. Altri 25 dimostranti rimangono feriti insieme a 6 agenti.

1947

A Taranto inizia il processo a carico del sottotenente Calogero Lo Sardo, di tre sottufficiali e 17 soldati ritenuti responsabili della strage di Palermo del 19 ottobre 1944, quando aprirono il fuoco sulla folla che manifestava pacificamente, uccidendo 26 persone e ferendone altre 158.

Il tribunale militare di Taranto proscioglie, dopo tre giorni di processo, il sottotenente Lo Sardo, tre sottufficiali e 17 soldati, responsabili della strage di Palermo del 19 ottobre 1944, per sopravvenuta amnistia.

A Messina, nel corso di uno sciopero generale contro il carovita e per aumenti salariali, i carabinieri caricano e uccidono gli operai comunisti Biagio Pellegrino e Giuseppe Maiorana e feriscono altri tre dimostranti.

  • marzo

Ad Andria (Bari) la polizia carica una manifestazione per il lavoro provocando morti e feriti.

A Petilia Policastro (Catanzaro), nel corso di una manifestazione di protesta, la polizia spara e uccide Francesco Mascaro e Isabella Carvelli e ferisce molti altri manifestanti.

A Roma una dimostrazione di protesta contro le precarie condizioni di vita è repressa dalla polizia con l'uso di armi da fuoco, che provocano un numero imprecisato di vittime.

A Potenza una manifestazione contadina per il lavoro viene stroncata dalla polizia, la quale, quando la folla tenta di occupare la prefettura, apre il fuoco uccidendo uno studente liceale e ferendo altri 14 dimostranti.

Il colonnello D'Ambrosio, che come pubblico ministero militare aveva impugnato la sentenza del tribunale militare di Taranto che proscioglieva per amnistia i responsabili della strage del 19 ottobre 1944, rinuncia al ricorso senza alcuna motivazione. Il 4 giugno, la sentenza passa in giudicato.

A Messina, durante una manifestazione contro la disoccupazione, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo Ludovico Maiorana, Antonio Pellegrini e Carlo Rocco.

A Caccamo (Palermo), si verificano violenti scontri fra la popolazione e le forze dell'ordine in seguito alla requisizione del grano: 12 braccianti e 4 militi restano uccisi.

A Cerignola (Foggia), nel corso di una manifestazione contadina, la polizia apre il fuoco uccidendo Domenico Angelini e Onofrio Perrone. Per reazione, i dimostranti danneggiano il palazzo di un agrario e le sedi di alcuni partiti. Anche due agenti di pubblica sicurezza rimangono uccisi negli scontri. 114 lavoratori vengono incriminati.

A Corato (Bari), nel corso di uno sciopero generale, la polizia apre il fuoco contro i contadini uccidendo Diego Masciavè, sindacalista CGIL, il bracciante Pietrino Neri e la contadina Anna Raimondi. Altri 10 manifestanti rimangono feriti. A Trani, nel corso del medesimo sciopero generale, la polizia carica ferendo gravemente due dimostranti. A Bisceglie (Lecce), la polizia apre il fuoco su una folla di disoccupati che chiedono lavoro.

A Campisalentino (Lecce), nel corso di una manifestazione di contadini che contrappone crumiri e scioperanti, i carabinieri sparano contro questi ultimi, uccidendo Antonio Augusti e Santo Niccoli e ferendo altri 7 dimostranti.

A Bisignano (Caserta), nel corso di una manifestazione ostile dinanzi alla sede de "L'Uomo Qualunque", la polizia apre il fuoco sui dimostranti uccidendo l'operaio Rosmundo Mari e ferendone numerosi altri.

Ad Agrigento una manifestazione di disoccupati è repressa dalla celere con l'uso di armi da fuoco. Viene ucciso un dimostrante e feriti gravemente tre donne e un bambino.

A Roma, nel quartiere di Primavalle, nel corso di uno sciopero degli edili, le forze di polizia aprono il fuoco sui manifestanti uccidendo l'operaio Giuseppe Tanas e ferendone altri due.

A Canicattì (Agrigento), nel corso di uno sciopero, i carabinieri, intervenuti a proteggere la sede de "L'Uomo Qualunque", aprono il fuoco uccidendo Giuseppe Amato, Salvatore Lauria e Giuseppe Lupo, ferendo gravemente 9 persone e lievemente altre 11.

1948

A Cerignola (Foggia) la polizia spara nel corso di una manifestazione di militanti di sinistra uccidendone 5.

A Pantelleria (Trapani) una manifestazione contro l'iniquità delle sanzioni fiscali è repressa dalle forze di polizia con l'uso di armi da fuoco che provocano la morte di Antonio Valenza, Giuseppe Pavia e Michele Salerno.

Ad Andria (Bari), nel corso di uno sciopero agricolo represso dalle forze di polizia, viene ucciso a colpi di moschetto il bracciante Riccardo Suriano, rimasto isolato dai suoi compagni perché stordito dai gas lacrimogeni.

A Trecenta (Rovigo), nel corso dello sciopero indetto dai braccianti nell'azienda dei conti Spoletti, i carabinieri intervengono arrestando il contadino Bruno Barberini per poi aprire il fuoco contro la massa di braccianti in attesa nella piazza del paese, uccidendo Evelino Tosarello, comunista, e ferendo gravemente Vanilio Pagaini e Silvio Berterelli.

A Spino d'Adda (Cremona), nel corso di una manifestazione di braccianti contro gli agrari, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo il contadino Luigi Venturini.

A San Martino in Rio (Reggio Emilia), nel corso di uno sciopero, i carabinieri intervenuti in forza per reprimerlo uccidono il contadino Sante Mussini, schiacciato da una autoblinda.

A Roma una folla straboccante invade piazza Esedra e piazza Colonna per protestare contro l'attentato a Palmiro Togliatti. Scontri si accendono in diverse zone della città, nel corso dei quali le forze di polizia uccidono l'operaio edile Filippo Ghionna e un secondo manifestante, mentre 30 risultano i feriti di entrambi i lati e 160 gli arrestati.

A Napoli, nel corso di un comizio a piazza Dante di protesta contro l'attentato a Togliatti, la polizia carica senza preavviso i partecipanti ferendone 20 e uccidendo lo studente Giovanni Quinto e l'operaio Angelo Fischietti.

A Taranto, nel corso dello sciopero dei cantieri navali e delle officine per protesta contro l'attentato a Togliatti, le forze di polizia caricano i manifestanti dinanzi alla sede della camera del lavoro, uccidendo l'operaio Angelo Gavartara e ferendo altri 4 manifestanti. Rimane gravemente ferito l'agente di pubblica sicurezza Giovanni D'Oria, che morirà qualche giorno più tardi in ospedale.

A Livorno si ingaggia una vera battaglia di strada; i dimostranti svaligiano negozi di armi e disarmano pattuglie di agenti di pubblica sicurezza. Nel corso degli scontri che ne seguono viene ucciso un operaio ed altri 18 dimostranti sono feriti. Viene ucciso anche l'agente di pubblica sicurezza Giorgio Lanzi e altri 4 rimangono feriti.

A Genova, esplode la rivolta operaia per l'attentato contro Palmiro Togliatti. Migliaia di manifestanti affluiscono in piazza De Ferrari, poi viene attaccata la caserma della polizia a ponte Spinola, presa ed incendiata una camionetta della polizia e presi in ostaggio 6 celerini, devastata la sede del MSI in via XX settembre, dove i manifestanti bloccano 5 autoblinde della polizia, saltando sulle torrette e disarmando gli occupanti. Tutte le fabbriche sono ferme e un comizio alle 17 vede la partecipazione di 100.000 lavoratori, mentre in tutta la città accadono episodi di fraternizzazione fra operai e soldati. Sorgono barricate difese da mitragliatrici, radio e giornali passano sotto il controllo della camera del lavoro. La rivolta si estende a Sestri Ponente, Bolzaneto, Chiavari, Nervi. Alle 13 del 15 luglio il prefetto dichiara lo stato d'assedio e viene scatenata una repressione durissima, mentre i dirigenti di PCI, PSI e CDL invitano i dimostranti a desistere. La polizia fa uso massiccio di armi da fuoco che uccidono, nel primo giorno della rivolta, Biagio Stefano e Mariano d'Amori e, il giorno seguente, Angiolina Alice Roba, mentre 43 sono i manifestanti feriti.

A Bologna, nel corso della manifestazione di protesta per l'attentato a Togliatti, la celere apre il fuoco uccidendo un operaio e ferendone gravemente altri 11.

A Porto Marghera (Venezia) i manifestanti comunisti provvedono a disarmare agenti di pubblica sicurezza e carabinieri, ma in uno scontro a fuoco la polizia uccide l'operaio Cesare Pietro e ne ferisce un secondo.

A Gravina di Puglia (Bari) i manifestanti invadono il pastificio Divella e nel successivo intervento le forze di polizia uccidono a colpi di moschetto il bracciante comunista Michele d'Elia.

Il ministro degli interni Mario Scelba comunica il bilancio ufficiale degli incidenti seguiti all'attentato contro Palmiro Togliatti: 7 morti e 120 feriti tra le forze di polizia; 7 morti e 86 feriti tra i cittadini.

A Siena, nel corso dei funerali dei due rappresentanti delle forze di polizia rimasti uccisi ad Abbadia San Salvatore il 15 luglio, la polizia invade la sede della Confederterra e uccide il capo lega di Torrenieri Severino Meattini, malmenando i presenti e arrestando il segretario.

A Gravina di Puglia (Bari), nel corso di una manifestazione di braccianti, le forze di polizia, intervenute con l'abituale violenza, uccidono l'attivista sindacale Luigi Schiavino e, sempre negli stessi giorni, il bracciante Bonifacio Loglisci.

A Tricarico (Matera) la polizia apre il fuoco sui partecipanti ad una manifestazione di sinistra uccidendone tre.

A Dairago di Arconate (Milano), nel corso di una manifestazione, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Pietro Paganini, presidente dell'ANPI di Dairago.

A Pistoia, nel corso di una manifestazione degli operai della San Giorgio e della SMI in lotta contro la smobilitazione, le forze di polizia sparano uccidendo l'operaio Ugo Schiano e ferendone altri tre.

A Bondeno (Ferrara), nel corso di una manifestazione per richiedere la gestione diretta del collocamento al lavoro, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo il contadino Fernando Ercolei e ferendone altri 10.

1949

A Isola Liri (Frosinone), nel corso di una manifestazione di protesta organizzata da operai in sciopero, i carabinieri aprono il fuoco provocando il ferimento di 35 dimostranti, dei quali 7 in gravi condizioni, e la morte dell'operaio Tommaso Diafrate, travolto da un automezzo dei militi.

A Terni, nel corso di una manifestazione di protesta contro il Patto Atlantico, le forze di polizia sparano uccidendo l'operaio delle Acciaierie Luigi Trastulli e ferendone altri 12.

A Mazara del Vallo (Trapani), viene strangolato nella locale caserma dei carabinieri il bracciante Francesco La Rosa, che era stato convocato per un interrogatorio.

A Mazara del Vallo (Trapani), nel corso di una manifestazione di braccianti, la polizia apre il fuoco uccidendo un contadino.

A Molinella (Bologna), nel corso di uno sciopero generale dei braccianti in Val Padana, la socialista Adele Toschi è ferita da un colpo di fucile al braccio e la mondina Maria Margotti è falciata da una raffica di mitra, mentre altre 30 persone sono ferite.

A Forlì, nel corso dello sciopero alla Mangelli, le forze di polizia intervenute a difesa dei crumiri uccidono l'operaia Jolanda Bertaccini e feriscono il bracciante Antonio Magrini a colpi d'arma da fuoco.

A Gambara (Brescia), nel corso di uno sciopero di braccianti, un carabiniere fracassa la testa con una fucilata a Marziano Girelli.

A Minervino Murgia, nel corso di incidenti tra forze di polizia e braccianti, rimane ucciso Felice Magginelli.

A Bolzano i carabinieri uccidono il pubblicista Gaifas in circostanze non chiare.

A Medigliano (Padova), nel corso di una manifestazione le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo davanti alla lapide dei caduti il partigiano Bruno Cameran.

A Melissa (Catanzaro), nel corso dell'occupazione della tenuta Fragalò (incolta) del barone Berlingeri, le forze di polizia aprono il fuoco sui contadini, uccidendo Giovanni Zito, Francesco Nigro, Angelina Mauro e provocando altri 15 feriti.

A Isola di Caporizzuto (Catanzaro) la polizia apre il fuoco sui partecipanti ad una manifestazione di braccianti, uccidendo Matteo Aceto, organizzatore di occupazioni di terre. Un altro bracciante viene assassinato a Bondeno. Nel solo crotonese sono stati occupati 6.000 ettari di terra e la lotta ha coinvolto migliaia di persone.

A Mantova si svolge il 2° congresso della Federbraccianti. Uno dei dati che emerge, limitato all'ultimo sciopero nazionale, è un bilancio di 7 morti, 1.073 arresti e 7.600 denunce.

A Crotone (Catanzaro), nel corso di una manifestazione contadina, la polizia apre il fuoco uccidendo una donna.

A Torremaggiore (Foggia), nel corso di un comizio di protesta per delle violenze verificatesi il giorno precedente a San Severo, le forze di polizia caricano senza preavviso i partecipanti facendo anche uso di armi da fuoco e uccidendo i braccianti Giuseppe La Medica e Antonio Lavacca, mentre la sarta Giuseppina Faenza muore a causa dello spavento; altri 10 i feriti.

A Bagheria (Palermo), nel corso di una manifestazione contadina, i carabinieri intervengono aprendo il fuoco e uccidendo la contadina Filippa Mollica Nardo.

A Montescaglioso (Matera), nel corso di un rastrellamento alla ricerca dei responsabili di alcune occupazioni di terre avvenute nei giorni precedenti, i carabinieri uccidono i braccianti Michele Oliva e Giuseppe Novello, mentre altri 5 rimangono feriti.

1950

Strage della polizia a Modena, dove i lavoratori del complesso siderurgico Orsi, dopo il licenziamento di 200 operai su 800 ed una serrata padronale di 40 giorni, si erano avvicinati ai cancelli nell'intento di riprendere il lavoro. La polizia apre il fuoco uccidendo Angelo Appiani di 30 anni, Renzo Bersani di 21, Arturo Chiappelli di 43, Ennio Garagnani di 21, Arturo Malagoli di 21 e Roberto Rovati di 36. Altri 51 operai rimangono feriti.

A Seclì (Lecce), nel corso di una manifestazione di braccianti in sciopero, la polizia apre il fuoco, uccidendo Antonio Micali.

A Petralia (Palermo), nel corso di una manifestazione di protesta, la polizia apre il fuoco sui dimostranti, uccidendone due e ferendone un terzo.

A Porto Marghera (Mestre), nel corso di una manifestazione di protesta contro i licenziamenti degli operai della Breda, le forze di polizia aprono il fuoco uccidendo Nerone Piccolo di 25 anni e Virgilio Scala di 33 e ferendo altri 5 lavoratori. I lavoratori di Venezia organizzano una manifestazione di protesta, aperta dai parenti delle vittime, che recano gli indumenti degli operai uccisi, insanguinati e forati dalle pallottole. Rinvenuti sul luogo della sparatoria 1 Kg di bossoli di armi automatiche di grosso calibro.

A Torino, nel corso di una manifestazione antifascista, la polizia carica i partecipanti uccidendo il pensionato Camillo Corino di 51 anni.

A Parma, nel corso di un comizio sindacale, si arriva allo scontro provocato dalle forze di polizia, che uccidono l'operaio disoccupato Attila Alberti di 32 anni.

A Lentella (Chieti), nel corso di una manifestazione si arriva allo scontro e le forze di polizia uccidono Nicola Mattia e Cosimo Maciocco.

Ad Avezzano (L'Aquila), nel corso di una manifestazione di protesta per i fatti di Lentella, la polizia apre il fuoco sui dimostranti uccidendo Francesco Laboni.

A San Severo (Foggia) una manifestazione antifascista viene sciolta dal brutale intervento delle forze di polizia, che aprono il fuoco uccidendo Michele Di Nunzio.

A Celano (L'Aquila), nel corso di una manifestazione, la polizia apre il fuoco uccidendo Antonio Berardicurti e Agostino Paris, mentre altri 12 dimostranti vengono feriti. Il comunista Antonio d'Alessandro viene ucciso nelle medesime circostanze da fiancheggiatori delle forze di polizia al servizio degli agrari.

Secondo fonti sindacali, il bilancio della repressione tra il luglio 1948 e la fine del 1950 è di 62 uccisi, 3.126 feriti e 92.169 arrestati per motivi politici (di cui 19.306 condannati a complessivi 8.441 anni di carcere).

1951

Ad Adrano (Catania), la polizia apre il fuoco sui militanti di sinistra che protestano contro la visita di Eisenhower, uccidendo Girolamo Rosano, bracciante diciannovenne iscritto alla CISL, e ferendo altre 11 persone, fra le quali, gravissimo, il sedicienne Francesco Greco. Una donna muore per attacco cardiaco poco dopo la sparatoria. La prima carica, con uso di armi da fuoco, avviene davanti alla camera del lavoro, dove i manifestanti si stavano concentrando, la seconda contro il corteo, effettuata con mitra e lacrimogeni. Secondo il quotidiano L'Unità si sarebbe sparato anche dai balconi di tale Filadelfio Cancio, iscritto al MSI, e dell'avvocato Danielo, già segretario del fascio.

A Comacchio (Ravenna), una manifestazione di protesta contro Eisenhower, contro la NATO e per le precarie condizioni dei braccianti agricoli, viene stroncata dalle forze di polizia con estrema violenza e l'uso di armi da fuoco. Nella carica, ordinata verso mezzogiorno dai carabinieri, all'incrocio fra corso Garibaldi e via Bonnet, rimane ucciso il bracciante Antonio Fantinuoli di 61 anni; si contano decine di feriti, fra i quali sono gravi Gaetano Farinelli e il diciassettenne Eros Bonazza.

A Piana degli Albanesi (Palermo) i manifestanti che protestano contro la visita del generale Eisenhower, al grido di «non daremo i nostri figli alla guerra americana» e «via lo straniero», vengono caricati dai carabinieri con bombe lacrimogene. I dimostranti riescono a spegnerle e continuano la protesta. Il maresciallo dei carabinieri ordina il fuoco e un milite spara al bracciante Domenico Lo Greco, padre di 4 figli, il quale, portato in ospedale, muore qualche ora dopo.

1952

  • 19 marzo

A Villa Literno (Caserta), nel corso di una manifestazione contadina indetta per protestare contro le ingiuste assegnazioni delle terre già dell'Opera Nazionale Combattenti, le forze di polizia caricano e uccidono Luigi Noviello, padre di 8 figli, feriscono gravemente Armando Vitiello e provocano diversi contusi.

A Bologna la corte di assise si pronuncia sulla strage del 9 gennaio 1950 a Modena, scrivendo, fra l'altro: «Quando la pressione aggressiva era quasi cessata e la folla stazionava compatta ma inerte, l'uccisione di Renzo Bersani ed Ennio Garagnani deve ritenersi conseguenza di uso frettoloso e lesivo delle armi, senza alcuna necessità, perché i colpiti stavano allontanandosi; ma le indagini non hanno dato alcun risultato, perché nessuno di coloro che avrebbero assistito all'uccisione [...] è stato in grado di fornire elementi utili per la identificazione degli sparatori o dell'unico sparatore».

A Villamarzana (Rovigo) una riunione indetta all'interno di una palestra (per discutere la richiesta di lavori di sistemazione nelle zone disastrate e protestare contro la decisione prefettizia di ridurre l'assistenza) viene dispersa dalla polizia, che fa irruzione nel locale malmenando i presenti e fermando 11 persone, fra le quali il vicesindaco comunista Paiola e il dirigente della locale Coldiretti Munari. Per lo spavento muore, in seguito a un attacco cardiaco, Giovanni Sicchieri.

1953

A Bitonto (Bari), durante la protesta nazionale contro la "legge truffa", la polizia, caricando i manifestanti, colpisce a morte Francesco Ricci di 57 anni, che morirà alcuni giorni dopo.

La corte d'appello di Bologna conferma la sentenza di primo grado e condanna alla modica pena di 6 mesi e 15 giorni di reclusione il carabiniere Francesco Galeati, uccisore della mondina Maria Margotti, non infliggendo alcuna condanna a carico dei superiori del Galeati.

A Trieste la polizia alleata spara sui manifestanti a favore del ritorno della città all'Italia, uccidendo lo studente di 16 anni Pietro Addobbati e il lavoratore Antonio Zavadil e ferendo oltre 100 persone, di cui uno, Domenico Scoroglia, gravemente. Il fuoco viene aperto davanti alla chiesa di Sant'Antonio, con inseguimento dei dimostranti anche all'interno del tempio, dove si erano rifugiati per trovare scampo.

A Trieste la polizia alleata apre il fuoco sui dimostranti pro-Italia uccidendo Saverio Montano, Erminio Bassa, Francesco Paglia e Leonardo Manzi di 15 anni e ferendo altre 80 persone. I dati ufficiali delle due giornate parlano di 6 morti, 82 feriti, 55 fermati fra i dimostranti e 79 feriti fra i poliziotti.

1954

A Milano, nel corso di una manifestazione dei lavoratori dell'OM, le forze di polizia, capeggiate dal commissario Allitto, aprono il fuoco in piazza Sant'Ambrogio, mentre una delegazione di lavoratori attende di essere ricevuta dalla presidenza dell'azienda, uccidendo l'operaio Ernesto Leoni e abbandonandosi ad aggressioni brutali, con l'inseguimento degli operai fin dentro la basilica.

A Mussomeli (Caltanissetta), nel corso di una manifestazione popolare di protesta per la cronica mancanza di acqua e la pretesa dell'Ente Acquedotti di riscuotere comunque le bollette, le forze di polizia aprono il fuoco sulla folla davanti al municipio, uccidendo Onofria Pellicceri, Giuseppina Valenza, Vincenza Messina e Giuseppe Cappalonga di 16 anni. Fra i numerosi feriti, 9 sono gravi e fra loro vi è un bambino di 7 anni, Baldassare Mistretta.

A Barrafranca (Enna) i carabinieri sparano contro i partecipanti ad una manifestazione contadina uccidendo un bambino di 5 anni.

A distanza di poco più di un mese dall'eccidio suddetto, 2.300 poliziotti invadono Mussomeli (Caltanissetta) perquisendo decine di abitazioni ed operando una trentina di arresti fra coloro che si erano adoperati per evitare il massacro o che l'avevano denunciato: fra gli altri, i consiglieri comunali Calogero Amico e Vincenzo Consiglio, comunisti, il segretario della CDL Salvatore Guarino ed il consigliere democristiano Giovanni Vullo, che aveva sottoscritto un dettagliato esposto alla procura della repubblica.

A Caltanissetta viene emessa dal tribunale una sentenza per i fatti di Mussomeli, dei quali sono chiamati a rispondere, anziché le forze di Stato responsabili dell'eccidio, 35 cittadini che avevano manifestato per la mancanza d'acqua. Il segretario della camera del lavoro Salvatore Guarino viene condannato a 9 mesi e 15 giorni di reclusione per «oltraggio aggravato»; con la medesima imputazione sono comminate condanne da 6 a 8 mesi per Francesco Catania, Salvatore Mancuso, Diego Seminatore, Vincenzo Russo, Antonino Collura, Calogero Castello, Michele Noto, Nicola Cardinali, Alfonso Caruso, Calogero Amico, Vincenzo Consiglio, Vincenza Randasso, Vincenza Giovino, Calogero Immermano, Giuseppe Savia, Vincenzo Lobrutto, Giuseppe Di Liberto, Marcangelo Lo Presti, Salvatrice La Rocca, Giuseppe Bonfanti, Calogero Castello, Gaetano Barba, Eraldo Martinassi, Giovanni Calà, Concetto Evelino, Angela Torquato, Giovanna Giovino.

Secondo stime dello storico Sereni, la repressione di classe dal 1° gennaio [[1948] al 31 dicembre 1954 fornisce il bilancio che segue: 75 morti, 5.104 feriti, 148.269 arrestati, 61.243 condannati a 20.426 anni di carcere e 18 condanne all'ergastolo. I dati sono parziali perché riferiti a 38 province soltanto.

1956

A Venosa (Potenza), nel corso di uno sciopero dei braccianti, le forze di polizia aprono il fuoco sui dimostranti uccidendo Rocco Girasole.

Ad Andria (Bari) la polizia apre il fuoco su una manifestazione di braccianti uccidendo Domenico Ruotolo e ferendone vari altri.

A Comiso (Ragusa) un'assemblea di braccianti che protestano per la mancanza di lavoro viene assalita dalle forze di polizia, che uccidono Paolo Vitale e Cosimo De Luca.

A Barletta (Bari) una folla di circa 4.000 persone, accalcata dinanzi alla sede della Pontificia Opera di Assistenza per ritirare pacchi di viveri ed indumenti, viene caricata dalle forze di polizia, che aprono il fuoco uccidendo Giuseppe Di Corato, Giuseppe Spadaro e Giuseppe Lojodice e ferendo gravemente altre 6 persone.

1957

A Palermo divampa una rivolta all'interno del carcere dell'Ucciardone. L'intervento della polizia provoca la morte di un detenuto ed il ferimento di altri 20.

A San Donaci (Brindisi), nel corso di una manifestazione di viticultori, la reazione di un gruppo di giovani all'arresto di una donna provoca la spropositata reazione della polizia, che apre il fuoco uccidendo Luciano Valentini, Mario Celò e Antonio Carignano.

1959

A Palermo esplode una rivolta nel carcere dell'Ucciardone contro le disumane condizioni di vita. Le forze di polizia intervengono facendo largo uso delle armi da fuoco, uccidendo un detenuto e ferendone gravemente altri 7.

A Spoleto (Perugia) una manifestazione di protesta per la chiusura del cotonificio è caricata dalle forze di polizia, che lanciano candelotti lacrimogeni, il fumo dei quali provoca la morte dell'operaio Arcangelo Fiorelli che, arrampicato su un palo della luce per ragioni di lavoro, precipita al suolo.

1960

Il precedente di Genova 2001: Genova 1960

Genova, 30 giugno 1960, corteo antifascista.

Nel marzo del 1960 il democristiano Fernando Tambroni riceve l'incarico di formare il governo, viste le dimissioi di Antonio Segni. Nella DC Tambroni è considerato elemento di "sinistra", tuttavia la fiducia al suo governo è votata in parlamento dai neofascisti del MSI, voti che risultano fondamentali per la tenuta del governo. Tambroni, travolto dalle polemiche e dalle accuse di filo-fascismo, deve però dimettersi. Dopo una serie di tentativi, il governo Tambroni ottiene nuovamente la fiducia grazie all'appoggio esterno del MSI, scatenando una reazione antifascista in tutta Italia contro lo sdoganamento dei fascisti che intende proporre Tambroni.

Addirittura, provocatoriamente, i neofascisti del MSI decidono di fare il loro 5° congresso a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza e da cui partì l'insurrezione del 25 aprile, invitando a partecipare al congresso anche il famigerato Carlo Emanuele Basile [1], prefetto repubblichino della città [2], tristemente noto per i suoi "editti", che causarono la deportazione di almeno 2.000 operai rei di "sciopero bianco" [3].

Il 6 giugno i rappresentanti locali dei partiti della sinistra e gli antifascisti fanno stampare un manifesto dove esprimono «il disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del fascismo» [4]. Il 25 giugno, durante un corteo di protesta, iniziano gli scontri con i poliziotti; il 28 giugno il futuro presidente della repubblica, Sandro Pertini, affermando la sua opposizione al congresso, dichiara: «Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto, ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera, sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della Casa dello Studente, che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori» [5].

Il 30 giugno è indetto lo sciopero generale dalle 14 alle 20, con corteo e manifestazione antifascista. Durante la manifestazione politici e comandanti partigiani sfilano preceduti dai gonfaloni della città. Gli organi di repressione dello Stato vengono sconfitti in piazza De Ferrari e costretti alla fuga dalla enorme folla dei manifestanti, guidata da un gruppo di 5.000 fra operai metalmeccanici e portuali, che funge da "ariete", arrivando a disruggere i nidi di mitragliatrici ubicati dai poliziotti presso il cinema Augustus di via XX settembre. La polizia ed i carabinieri debbono lasciare la città in mano agli insorti, che prendono anche la prefettura, portandandosi dietro moltissimi feriti non da arma da fuoco ma da "arma" da lavoro [6].

Sandro Pertini scrive nella presentazione del libro A Genova non si passa, di Francesco Gandolfi (Edizioni Avanti!, 1960): «È Genova che ha riaffermato come i valori della Resistenza costituiscano un patrimonio sacro, inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l'antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico».

A Licata (Agrigento) una manifestazione popolare contro il carovita e la mancanza di lavoro è caricata selvaggiamente dalla polizia. Rimane ucciso Vincenzo Napoli, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini.

A Reggio Emilia la polizia interviene contro una massa di cittadini che segue, all'esterno del teatro dove si svolge, un comizio contro il governo Tambroni. Per disperdere la folla di circa 20.000 cittadini, oltre ai caroselli con le jeep, la polizia apre il fuoco uccidendo Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi e Afro Tondelli. 21 risultano i feriti. Dopo la strage perpetrata dalla polizia viene arrestato Alberto Bedini. Gli agenti inquisiti saranno assolti definitivamente nel luglio 1960.

A Palermo il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla CGIL. Alle violente cariche i dimostranti rispondono. Vengono uccisi, non si sa se da poliziotti o mercenari, Francesco Vella (mentre soccorre un ragazzo colpito da un lacrimogeno), organizzatore delle leghe edili, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera e Andrea Cangitano di 18 anni. Una manifestazione indetta alle 18 davanti a municipio, questura e prefettura viene respinta con l'impiego di armi da fuoco. Gli scontri continuano fino a notte, seguiti da rastrellamenti e pestaggi dei fermati. Bilancio: 300 fermi, centinaia di feriti e contusi, 40 persone medicate per ferite da armi da fuoco.

A Catania, nel corso dello sciopero contro il governo Tambroni, le forze di polizia caricano i manifestanti con lancio di candelotti lacrimogeni. Un edile disoccupato, Salvatore Novembre, rimasto isolato, viene massacrato a manganellate e finito a colpi di pistola. Altri 7 manifestanti rimangono feriti.

1961

A Sarnico (Bergamo) una manifestazione di protesta da parte degli operai contro i licenziamenti viene stroncata dai carabinieri, che aprono il fuoco senza alcuna motivazione plausibile, uccidendo il disoccupato Mario Savoldi.

1962

A Ceccano (Frosinone) i carabinieri aprono il fuoco sugli operai del saponificio Scala, che protestano, in sciopero da 34 giorni, contro i crumiri assunti dalla direzione. Viene ucciso l'operaio Luigi Mastrogiacomo e altri 7 rimangono feriti.

Ad Orgosolo (Nuoro) la popolazione si oppone ai reparti dell'esercito che hanno occupato un'area del territorio comunale, adibita a pascolo libero, con l'intenzione di creare un nuovo poligono di addestramento. Secondo quanto riportato dal "contogiornale" degli studenti [7], «nella piazza Pateri si svolge un'assemblea cui partecipa tutta la popolazione. All'unanimità viene presa la decisione di recarsi in massa, l'indomani mattina, nei pascoli di Pratobello per manifestare il dissenso di tutti i cittadini all'inizio delle esercitazioni militari e di impedirle con la presenza fisica di tutti gli orgolesi». Il 19 giugno La Nuova Sardegna scrive: «Oltre duemila orgolesi marciano su Pratobello. Nessun incidente, anche per il prudente intervento di autorità ed esponenti politici». La lotta degli orgolesi durerà circa una settimana, al termine della quale l'esercito si ritirerà.

La corte d'assise di Milano, presieduta da Paolo Curatolo, emette la sentenza a carico dei 63 imputati per i fatti di Reggio Emilia del luglio 1960, assolvendo da ogni addebito i poliziotti che avevano aperto il fuoco contro i manifestanti.

A Milano, mentre è in corso una manifestazione contro il blocco aeronavale imposto dagli Stati Uniti a Cuba, i reparti della celere caricano i partecipanti travolgendoli e uccidono, schiacciandolo contro un muro, lo studente Giovanni Ardizzone.

1968

A Lodè (Nuoro), nel corso di una manifestazione, i carabinieri intervengono aprendo il fuoco sui dimostranti e uccidendo l'operaio Vittorio Giua.

Ad Avola (Siracusa) la celere apre il fuoco contro una manifestazione di braccianti in agitazione nel quadro di una settimana di scioperi per il rinnovo del contratto, uccidendo Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona.

1969

A Battipaglia (Salerno) viene caricata violentemente una manifestazione di operai e braccianti dalla polizia, che spara uccidendo Teresa Ricciardi e Carmine Citro (19 anni) e ferendo molti altri manifestanti. La manifestazione, che aveva bloccato il traffico sull'Autosole, era stata indetta nel corso di uno sciopero cittadino per protestare contro la chiusura degli stabilimenti che davano occupazione alla zona e chiedere terra e lavoro.

A Battipaglia (Salerno), in relazione alla manifestazione nella quale sono stati uccisi Citro e Ricciardi, vengono incriminate 119 persone per blocco stradale, violenza e resistenza a pubblico ufficiale.

Giuseppe Pinelli

A Pisa, la polizia carica manifestanti uccidendo con un candelotto lacrimogeno sparato a tiro teso ed ad altezza d'uomo lo studente Cesare Pardini; numerosi altri manifestanti rimangono feriti. Vengono spiccati 12 mandati di cattura per «adunata sediziosa, resistenza, violenza privata, lesioni aggravate, danneggiamento aggravato, detenzione, uso e trasporto di materiali esplosivi»; 5 manifestanti (tre operai e due studenti) sono arrestati e tradotti nel carcere di Livorno, gli altri 7 si rendono latitanti.

Il ministro degli interni Franco Restivo, intervenendo al senato per riferire sull'uccisione da parte della polizia dello studente Cesare Pardini, a Pisa, afferma: «Questi avvenimenti, che purtroppo hanno avuto la loro vittima, ci ammoniscono ad opporci all'eversivo operare di minoranze di facinorosi che, trasformando anche le più civili manifestazioni in violenti tumulti, perseguono il fine di turbare gli animi, di esasperare le passioni e di attentare all'ordine democratico».

A Napoli, nel carcere di Poggioreale, si uccide Domenico Criscuolo, tassista incarcerato in occasione di una manifestazione sindacale caricata dalla polizia il 13 ottobre. Aveva appena avuto un colloquio con la moglie, che, insieme a 5 figli, non sapeva come procurarsi il denaro per vivere.

A Milano una bomba esplode alla Banca Nazionale dell'Agricoltura: 18 morti e 88 feriti. Inizia un periodo di grande confusione sociale, la cosiddetta "strategia della tensione", che permetterà la repressione del movimento autonomo e degli anarchici. Di tale infame strage saranno immediatamente e ingiustamente accusati gli anarchici, tra cui Giuseppe Pinelli (che morirà defenestrato dalla questura nella notte tra il 15 e il 16 dicembre) e Pietro Valpreda.

1970

A Reggio Calabria, si verificano dimostrazioni e scontri tra forze di polizia e popolazione alla notizia che è stata prescelta la città di Catanzaro come capoluogo di regione. Nel corso degli scontri, per lo più strumentalizzati dalla destra fascista del MSI, la polizia uccide il ferroviere Bruno Labate.

A Reggio Calabria, nel corso di incidenti con i manifestanti per ‘Reggio capoluogo', la polizia uccide Angelo Campanella.

Ad Avola (Siracusa), il giudice istruttore Dionisio Mangiacasale invia 85 mandati di comparizione ad altrettanti braccianti, per i reati di ‘blocco stradale', ‘resistenza a pubblico ufficiale', ‘violenza', a seguito della repressione poliziesca del 2 dicembre 1968

A Milano, la polizia guidata dal vicequestore Vittoria carica con lacrimogeni e pestaggi un corteo indetto dalla sinistra extraparlamentare e dagli anarchici nell'anniversario della ‘strage di Stato'(Vedi Giuseppe Pinelli), e per solidarizzare con i militanti dell'Eta sotto processo a Burgos, uccidendo l'anarchico Saverio Saltarelli di 22 anni, provocando decine di feriti fra i quali il giornalista Giuseppe Carpi, colpito da un proiettile. Per la morte di Saltarelli saranno successivamente inquisiti il capitano dei carabinieri Antonio Chirivi e il capitano di Ps Alberto Antonietti.

1971

A Foggia, nel corso di uno sciopero, la polizia apre il fuoco uccidendo il bracciante Domenico Centola.

A Milano, nel corso dello sgombero di una palazzina IACP di via Tibaldi, occupata da decine di famiglie operaie, il denso fumo provocato da decine di candelotti lacrimogeni sparati dalle forze di polizia provoca la morte di Massimiliano Ferretti, un bimbo di 7 mesi.

A Palermo un attivista del PRI, Michele Guaresi di 32 anni, viene ucciso con un colpo di pistola da un agente di pubblica sicurezza perché sorpreso ad affiggere manifesti elettorali del suo partito dopo il termine consentito.

A Reggio Calabria, nel corso di incidenti con dimostranti contrari alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro, le forze di polizia fanno uso di armi da fuoco uccidendo Carmelo Jaconis.

1972

Franco Serantini

A Milano la questura autorizza un raduno della "maggioranza silenziosa" che raccoglie alcune centinaia di persone a piazza Castello; a margine di questa manifestazione vengono malmenati un cronista de Il Giorno e un fotografo. La questura vieta la piazza alla sinistra extraparlamentare che vuole manifestare per la libertà di Valpreda] e contro il governo Andreotti e la strage di Stato. I giovani si radunano egualmente in vari punti della città ed impegnano la polizia, tenendo il centro per tutto il pomeriggio. Rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno, sparato ad altezza d'uomo dalla polizia, il pensionato Giuseppe Tavecchio, per la cui morte verrà incriminato per omicidio colposo il capitano di pubblica sicurezza Dario Del Medico (condannato in primo grado e, infine, assolto in appello perché «il fatto non costituisce reato»), e si contano 40 feriti. Nei giorni seguenti si hanno perquisizioni a tappeto e la questura annuncia 99 arresti: fra essi Luigi Cipriani, "comandante" delle forze di piazza, che dovrà rendersi latitante per sfuggire all'arresto, e l'avvocato Leopoldo Leon (non presente ai fatti), che sta raccogliendo testimonianze sul comportamento della polizia (motivo dell'arresto: «concorso ideologico nei reati di resistenza aggravata e devastazione»).

A Pisa le forze di polizia caricano i militanti della sinistra extraparlamentare che contestano il comizio del missino Niccolai, provocando decine di feriti e procedendo a 20 arresti. Fra questi, l'anarchico Franco Serantini di 20 anni, che al momento del fermo viene selvaggiamente percosso con i calci dei fucili, pugni e calci. Morirà due giorni dopo nel carcere di Pisa, privo di cure, per frattura della scatola cranica. Il pretore condannerà il capitano di pubblica sicurezza Amerigo Albini e l'agente Giovanni Colantoni a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per «falsa testimonianza».

A Bergamo le forze di polizia caricano violentemente i militanti di sinistra che contestano il comizio del missino Tremaglia, provocando il ferimento di 15 giovani.

1973

A Milano, in serata, 100 poliziotti agli ordini dei vicequestori Paolella e Cardile e del tenente Vincenzo Addante circondano la Bocconi contro una manifestazione di studenti del movimento indetta per protestare contro i provvedimenti repressivi della libertà di riunione, adottati sulla scia di quelli presi alla Statale. Un agente di pubblica sicurezza apre il fuoco contro i manifestanti in fuga, colpendo a morte lo studente Roberto Franceschi. Rimane ferito anche l'operaio Roberto Piacentini, al quale una pallottola sfiora un polmone: il giorno successivo, in gravissime condizioni, verrà incriminato per ben 5 reati. Si verifica nei giorni successivi un rimbalzo di responsabilità per l'intervento della polizia fra il rettore Giordano Dell'Amore e la questura, che avanza la versione dell'«agente in preda a raptus».

1974

A Firenze, nel corso di una protesta inscenata dai detenuti nel carcere cittadino "Le Murate", un secondino uccide con una raffica di mitra Giancarlo Del Padrone, di 20 anni, mentre altri 4 rimangono feriti.

Ad Eboli (Salerno), a causa delle promesse mai mantenute riguardo la costruzione di fabbriche e nuovi posti di lavoro da parte di politici locali e nazionali, scoppia una violenta rivolta per le strade cittadine. La rivolta, culminata con le occupazioni dell'autostrada e delle stazioni, blocca l'intero commercio nazionale durante tutto il periodo della ribellione.

Ad Alessandria una rivolta dei detenuti, che hanno preso degli ostaggi, viene stroncata dal procuratore generale di Torino Carlo Reviglio Della Veneria e dal generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che ordinano un attacco militare che si conclude con l'uccisione di due detenuti, di due secondini, del medico del carcere e di una assistente sociale.

A Roma si rinnovano gli interventi repressivi della polizia nel quartiere san Basilio contro gli occupanti di case, anche con l'uso di armi da fuoco che uccidono il militante di sinistra Fabrizio Ceruso.

1975

In molte città si svolgono manifestazioni di protesta per l'uccisione di Claudio Varalli da parte del fascista Braggion. A Milano la manifestazione è repressa dalla polizia con ampio uso di armi da fuoco. Un manifestante, l'insegnante Giannino Zibecchi di 27 anni, è ucciso da un camion dei carabinieri guidato dal milite Sergio Chiairieri, salito sul marciapiede per caricare i partecipanti. I tre militi inquisiti per l'uccisione saranno definitivamente scagionati nel novembre 1980.

A Firenze una manifestazione antifascista organizzata dall'ANPI è attaccata dalla polizia con l'uso di armi da fuoco. Un agente di pubblica sicurezza, Orazio Basile, uccide Rodolfo Boschi e ferisce Alfredo Panichi. Al processo che ne seguirà l'agente sarà condannato a 8 mesi con la condizionale per «eccesso colposo di legittima difesa»; 10 anni di reclusione saranno inflitti invece a Francesco Panichi, imputato di reati minori.

A Napoli la polizia carica i disoccupati che hanno occupato la sala consiliare del comune, provocando 34 feriti e travolgendo con un automezzo Gennaro Costantino, determinandone la morte. Numerosi sono gli arrestati fra i dimostranti, che si sono difesi con sassaiole, impegnando la polizia in scontri.

A Roma il vicebrigadiere di pubblica sicurezza Antonio Tuzzolino, recatosi con altri nell'appartamento di Anna Maria Mantini, sospettata di appartenere ai NAP, la uccide con un colpo di pistola in fronte senza alcuna motivazione logica, essendo la ragazza disarmata. La comunicazione giudiziaria a suo carico non avrà alcun seguito, rivestendo un carattere meramente formale. Lo stesso giorno nella capitale un agente di pubblica sicurezza uccide Rosaria Palladino di 25 anni, perché sospetta che tenga nella borsetta una pistola.

Il quotidiano comunista L'Unità riporta uno stralcio dell'ordinanza istruttoria sulla morte di Saverio Saltarelli, che vede come indiziati di reato il capitano dei carabinieri Antonio Chirivì e il capitano di pubblica sicurezza Alberto Antonietti. Il magistrato ammette che da parte degli organi giudiziari e di polizia «è evidente che fu posto in essere un ostruzionismo sottile, bizantino, fondato su manipolazioni procedurali, che ha avuto quale unico effetto quello di allontanare nel tempo l'accertamento della verità».

A Roma, nel corso di una manifestazione a favore della liberazione dell'Angola dal dominio portoghese, i carabinieri aprono il fuoco uccidendo il diciottenne Pietro Bruno e ferendo gravemente altri tre militanti di sinistra. Per l'uccisione di Bruno saranno inquisiti il sottotenente dei carabinieri Saverio Bosio, il carabiniere Pietro Colantuono e l'agente di pubblica sicurezza Romano Tammaro. Il giudice istruttore Pasquale Lacanna, nella sua ordinanza di proscioglimento, scriverà: «Se per la difesa dei superiori interessi dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti ad una reazione proporzionata alla offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni ma non si possono ignorare fondamentali principi di diritto. La colpa della perdita di una vita umana è da ascrivere alla irresponsabilità di chi, insofferente della civile vita democratica, semina odio tra i cittadini».

1976

A Roma, davanti all'ambasciata spagnola, è stata indetta una manifestazione antifranchista dalla sinistra rivoluzionaria e dal movimento studentesco. La carica della polizia, che si lancia in caroselli al Pincio, uccide un anziano, l'ingegner Marotta, che passeggiava in via Belvedere, e ferisce uno studente.

A Roma, in occasione della trattazione in cassazione del caso Marini, per il quale è riconfermata la condanna, manifestano gli anarchici e la sinistra rivoluzionaria dinanzi al "palazzaccio" e al ministero di grazia e giustizia. Il secondino Domenico Velluto, in servizio dinanzi al ministero, spara contro alcuni giovani che avevano lanciato delle bottiglie molotov contro l'edificio, uccidendo con un colpo alla nuca il ventunenne Mario Salvi.

A Milano viene condannato per omicidio colposo, in relazione alla morte di Saverio Saltarelli, il capitano di pubblica sicurezza Alberto Antonetti: 9 mesi con la concessione delle attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione.

1977

Il tribunale di Pisa modifica la sentenza emessa dal pretore il 1 ottobre 1975, assolvendo il capitano di pubblica sicurezza Amerigo Albini e l'agente Giovanni Colantoni, accusati di falsa testimonianza per la morte di Franco Serantini.

A Bologna la polizia carica i militanti di sinistra e del Movimento che manifestano per le vie cittadine. I carabinieri aprono il fuoco uccidendo Pier Francesco Lorusso di Lotta Continua. I giovani continuano a manifestare, caricati a più riprese. Sono arrestate in seguito agli scontri 45 persone, fra cui Renato Resca, Nicola Rastigliano, Diego Benecchi, Alberto Armaroli, Mauro Collina, Raffaele Bertoncelli, Giancarlo Zecchini, Albino Bonomi, Fausto Bolzani, Carlo Degli Esposti. Per la morte di Lorusso sarà inquisito il capitano dei carabinieri Pietro Pistolese.

A Roma l'agente di pubblica sicurezza Claudio Graziosi è ucciso su un autobus mentre tenta di arrestare Maria Pia Vianale, senza darsi conto che accanto vi è un suo compagno armato. In seguito al fatto la polizia scatena una caccia all'uomo, nel corso della quale viene ucciso «per errore» Angelo Cerrai.

A Firenze è condannato, in relazione all'uccisione di Rodolfo Boschi, qualificata come «omicidio colposo in eccesso di legittima difesa», l'agente Orazio Basile alla pena assai mite di 8 mesi con la condizionale.

A Roma la polizia carica una dimostrazione pacifica organizzata dai radicali per ricordare la vittoria del referendum sul divorzio, facendo largo uso di armi da fuoco ed uccidendo Giorgiana Masi, diciannovenne, e ferendo altri 7 giovani, tra i quali Elena Ascione. Fra gli agenti di pubblica sicurezza che aprono il fuoco viene ritratto in una foto Giovanni Santone, in forza alla squadra mobile.

A Roma il tribunale assolve il secondino Domenico Velluto dall'accusa di «omicidio preterintenzionale» nei confronti di Mario Salvi, per «aver fatto uso legittimo delle armi».

La sezione istruttoria della corte di appello di Bologna annulla il mandato di cattura a carico del carabiniere Massimo Tramontani, accusato di aver ucciso Francesco Lorusso l'11 marzo 1977.

1978

A Roma una pattuglia di carabinieri ferisce in modo grave, sparandogli, Alberto Di Cori, impegnato a tracciare scritte sui muri nelle vicinanze della residenza privata di Giulio Andreotti.

A Roma, in via Acca Larentia, le forze di polizia intervengono contro i militanti del MSI che manifestano per protestare contro l'uccisione di Stefano Bigonzetti e Francesco Ciavatta da parte di avversari politici rimasti ignoti. La polizia fa uso delle armi da fuoco e uccide Stefano Recchioni: per questa morte sarà inquisito il capitano dei carabinieri Sivori, successivamente prosciolto da ogni addebito.

1979

A Roma, nel corso di incidenti con le forze di polizia, viene ucciso con un colpo di pistola alle spalle il militante missino Alberto Giaquinto, di 18 anni. La polizia si discolperà affermando che il giovane era armato, ma sarà smentita dalle risultanze processuali.

A Milano, al processo per la morte di Roberto Franceschi, sono assolti gli agenti incriminati per la impossibilità, a giudizio del tribunale, di stabilire la dinamica dei fatti; assolti con formula dubitativa anche i manifestanti Piacentini e Cusani. Le uniche condanne sono, per «falsa testimonianza», quelle del capitano Savarese e all'agente Puglisi.

1980

A Roma, nel quartiere Montesacro, i carabinieri uccidono Maria Minci nel corso di un'operazione antiterrorismo («per errore», affermeranno successivamente).

1981

A Roma, nel corso di un controllo antiterrorismo, la DIGOS uccide «per errore» Laura Rendina.

A San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) agenti di polizia in borghese, appostati sotto l'abitazione di Roberto Peci, uccidono Vincenzo Illuminati, che, in compagnia della fidanzata, non si era fermato all'alt temendo di avere a che fare con dei banditi.

A Roma il giudice istruttore Ettore Torri rinvia a giudizio per «eccesso colposo nell'uso delle armi» l'appuntato di pubblica sicurezza Alessio Speranza, che, il 10 gennaio 1979 aveva ucciso, sparandogli alla nuca, il giovane missino Alberto Giaquinto, diciassettenne.

1985

A Trieste, nel corso dell'operazione finalizzata all'arresto dell'autonomo Pietro Maria Greco, alla quale partecipano, fra gli altri, l'agente di pubblica sicurezza Mario Passanisi, il viceispettore Giuseppe Guidi e l'agente di pubblica sicurezza Nunzio Romano (in forza al SISDE), il giovane viene ucciso benché non abbia opposto resistenza e sia disarmato.

1986

A Milano la polizia uccide, nel corso di un'operazione di ordine pubblico, il militante di Democrazia Proletaria Luca Rossi.

2001

Durante la manifestazione del 17 marzo 2001, a conclusione delle quattro giornate di mobilitazione contro il Global Forum sull'e-government, polizia e carabinieri caricano il corteo ed in seguito arrestano 80 persone (anche prelevandole dal pronto soccorso). Gli arrestati sono condotti nella caserma Raniero e lì subiscono pestaggi e lesioni, come emerge dall'inchiesta che porterà all'arresto di 6 poliziotti e due alti funzionari della polizia di Stato di Napoli: «stanza delle torture» verrà definita la sala dove si consumano le violenze. Le principali accuse saranno: sequestro di persona, abuso di atti di ufficio, violenza privata, danneggiamenti, lesioni personali aggravate e perquisizione arbitraria [8] [9].

A Genova, in una città blindata in occasione del vertice dei G8, continuano le dimostrazioni iniziate il giorno precedente con il "corteo dei migranti", mentre la città è affollata di giovani e non, che hanno risposto all'appello, lanciato dal Genoa Social Forum, dalle Tute Bianche, da Rifondazione Comunista, da Campo Antimperialista e da altri gruppi antiglobalizzazione, per contestare lo strapotere dei grandi Stati. Il 20 luglio, nel giorno della "disobbedienza civile", le Tute Bianche inscenano lo sfondamento della rete che protegge la "zona rossa". Da una camionetta di carabinieri, circondata da alcuni ragazzi armati di soli oggetti contundenti, parte un proiettile che colpisce alla testa Carlo Giuliani, 23 anni. Per inscenare l'incidente, non sapendosi filmati, i carabinieri innescano la retromarcia e la camionetta passa sul corpo del ragazzo, già caduto a terra in una pozza di sangue. Il giorno seguente 200.000 persone accorrono per la dimostrazione finale unitaria e per protestare contro l'uccisione del ragazzo. Le forze di polizia prendono a pretesto l'azione di alcuni gruppi di giovani, che effrangono le vetrine di alcune banche e bruciano macchine di lusso, e caricano con lanci di lacrimogeni e pestaggi indiscriminati la folla di manifestanti, per la gran parte indifesi e privi di servizi d'ordine. Diverse testimonianze parlano di infiltrati. La giornata si chiude con un altro violentissimo pestaggio poliziesco alla scuola Diaz, messa a disposizione dal comune per accogliere i giovani: le forze dell'ordine operano decine di arresti e provvedono altresì ad effrangere, nella scuola adibita a sede del Genoa Social Forum, i computer e ad asportare il materiale fotografico e video che gli organizzatori avevano raccolto per documentare le violenze della polizia. Le persone fermate ed arrestate (circa 500) durante i giorni della manifestazione vengono in gran parte condotte nella caserma di Genova Bolzaneto, dove molti di loro subiscono veri e propri atti di tortura fisica e piscologia. Amnesty International ha definito i fatti accaduti alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale» [10].

Note

  1. In un decreto Basile scriveva: «Agli operai un ultimo avviso [...] Vi avverto che qualora crediate che uno sciopero bianco possa essere preso dall'Autorità come qualcosa di perdonabile, vi sbagliate, questa volta. Sia che incrociate le braccia per poche ore, sia che disertiate il lavoro, in tutte e due i casi un certo numero di voi tratti a sorteggio verrà immediatamente [...] inviato, non in Germania, dove il lavoratore italiano è trattato alla medesima stregua del lavoratore di quella Nazione nostra alleata, ma nei campi di concentramento dell'estremo Nord, a meditare sul danno arrecato alla causa della Vittoria» (decreto del prefetto).
  2. Nicola Tranfaglia, L'Italia repubblicana, in La storia, Mondadori, p. 307
  3. Così li facevo ridere nel lager, tesimonianza di Mario Magonio
  4. Indro Montanelli, L'Italia dei due Giovanni, Rizzoli Editore, Milano, 1989, p. 130
  5. Discorso di Sandro Pertini a Genova, piazza della Vittoria, prima dei gravi fatti del 30 giugno
  6. Foto della manifestazione e degli scontri: 30 giugno 1960: le giornate di Genova antifascista, I fatti di Genova del 30 giugno 1960
  7. Storie di Sardegna: I fatti di Pratobello
  8. I processi a carico dei poliziotti e a carico dei manifestanti
  9. Video delle proteste contro il vertice dei G8 a Napoli: video, video
  10. Proposta d'inchiesta parlamentare sulle vicende relative ai fatti accaduti a Genova nel luglio 2001 (relazione alla camera dei deputati del 24 luglio 2007)

Collegamenti esterni