Militarismo

Da Anarcopedia.
(Reindirizzamento da Militari)
Jump to navigation Jump to search
Militarismo Prepotente, disegnato da Nicolás Reveles durante la rivoluzione messicana, pubblicato in Regeneración, periodico anarchico messicano

Con il termine militarismo si intende definire quella dottrina ideologica in cui l'elemento militare è preponderante nei principi costitutivi dello Stato e delle forze politico-istituzionali che lo difendono. Può anche essere definito come «la posizione di prestigio e di potere assunta, all'interno di uno stato, dalla classe militare, che implica, nelle principali istituzioni e nella società, il prevalere degli ideali di ordine e disciplina, il culto della nazione e della vita militare: il militarismo prussiano». [1]

Il militarismo afferma il primato della forza militare nelle relazioni tra gli Stati, sostenendo che l'esercito sia lo strumento più importante per difendere la sicurezza dei cittadini. In realtà, dietro queste considerazioni politiche si nasconde prima di tutto un cospicuo affare economico-finanziario con i detentori del potere politico e industriale, per cui si può affermare che il militarismo sia assolutamente complementare all'affarismo finanziario. [2]

Militarismo: un concetto attraversato dalla storia

«L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.» (Bruno Misefari)

Premessa

La parola "militarismo" ha risonanze antiche [3], legate ai secoli passati, tuttavia ancor oggi la sua valenza per lo Stato ed i suoi accoliti è notevole. Storicamente evoca l'antica Prussia e il kaiser Guglielmo II, che con la sua politica imperialista di riarmo mise le basi per lo scoppio della Prima guerra mondiale. Oppure, per venire ad epoche a noi più recenti, evoca regimi come quello nazista o giapponese di Hirohito, che investirono tantissimo nell'acquisto e produzione di armi, che comportò in seguito l'aggressioni di altri paesi europei e asiatici e quindi allo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Rosa Luxemburg, marxista antimilitarista

Inoltre, il termine "militarismo" è collegato anche con il "complesso militare-industriale", un mostruoso ibrido costituito da imprenditori, politici e militari responsabile di una massiccia escalation subito dopo la Seconda guerra mondiale, ampiamente sostenuta da vari rami del parlamento americano e dalle lobby affaristiche del paese. Un'escalation che, per inciso, ha raggiunto una delle sue vette culminanti con Ronald Reagan e George Bush, senior e junior.

Tra i primi ad usare il termine militarismo, a metà del XIX secolo, ci furono il socialista Louis Blanc e l'anarchico Pierre-Joseph Proudhon; entrambi vedevano in quel termine l'esemplificazione dell'autoritarismo dello Stato e del governo, che faceva ricorso all'esercito non solo per difendere o attaccare un paese straniero ritenuto "nemico", ma anche per reprimere e colpire il "nemico interno": la conflittualità alimentata dal malcontento delle classi diseredate e oppresse della stessa nazione. Per loro, un governo appoggiato nell'esercito, cioè nella Forza e non nel Diritto, era l'antitesi della libertà e l'ostacolo da superare per ottenere una società veramente libera ed equa.

L'esperienza francese del giugno 1848 è stata forse uno dei migliori esempi. Dopo la rivoluzione di febbraio, e prima dell'intensificazione delle proteste dei lavoratori, il governo emise un decreto che forzatamente arruolava nell'esercito molti operai che lavoravano nelle Officine Nazionali di Parigi, create in quell'anno per alleviare il grave problema della disoccupazione ma che si rivelarono dei luoghi in cui nascevano e sviluppavano pensieri rivoluzionari. Immediatamente, prima che la resistenza prendesse forma, l'esercito scese in strada a reprimere ogni forma di ribellione. L'istituzione militare, sin dalle sue origini, è stata di conseguenza utilizzata sia per neutralizzare le forze interne di opposizione che per il reclutamento e la militarizzazione forzata di potenziali sovversivi.

Le conseguenze di questi atteggiamenti furono ampiamente previsti da molti pensatori, ma sostanzialmente non ebbero alcuna risonanza. La pacifista Bertha von Suttner si schierò contro l'imposizione del servizio militare obbligatorio nell'esercito austro-ungarico, copiando il modello prussiano, argomentando in nel suo romanzo autobiografico popolare Abbasso le armi! Storia di una vita le ragioni del suo antimilitarismo [4]:

«(...) Se in tutto il mondo è stato introdotto il servizio militare obbligatorio, non vi è alcun vantaggio per alcuno. La partita a scacchi della guerra si gioca con più pedine, ma il gioco dipende sempre dalla fortuna e dalla capacità del giocatore. Mettiamo il caso che tutte le potenze europee introducessero il servizio militare obbligatorio, quindi l'equilibrio del potere rimarrebbe esattamente lo stesso, l'unica differenza è che, al fine di raggiungere una decisione, dovrebbero essere uccise milioni di persone, piuttosto che centinaia di migliaia.»

Il modello prussiano: una visione estrema ed esclusiva del militarismo.

«Altri Stati dispongono di un esercito. In Prussia è l'esercito che dispone di uno Stato». (Octave Mirbeau)

Per i primi studiosi del militarismo, l'esempio prussiano-tedesco rappresenta il paradigma per eccellenza: all'epoca, gli studiosi di questo fenomeno si moltiplicarono tanto nell'ambiente liberale quanto in quello marxista. Alla vigilia della Prima guerra mondiale, il comunista Karl Liebknecht insistette sulla funzione repressiva del militarismo nei confronti dei "nemici interni" dello Stato (il nemico esterno quindi andrebbe in secondo piano rispetto alle funzioni strategiche del militarismo), sull'apparato guerrafondaio tedesco e, per estensione, su quello occidental-capitalistico.

Per gli autori marxisti, il militarismo andava analizzato da un doppio punto di vista: il primo riguarderebbe la funzione dell'esercito nell'aggressione di altri Stati o popoli, ed in questo senso appare strettamente legata al concetto di "imperialismo"; il secondo sarebbe quello legato alla repressione del dissenso interno. Così come la principale minaccia ai governi europei del XIX secolo veniva dalla forza del movimento operaio, così il clima militarista serviva ad impedire qualsiasi minaccia di destabilizzazione interna. Tuttavia, a quel tempo, non tutti concordavano col concetto di militarismo allora prevalente. A differenza di altri autori della tradizione marxista e di Liebknecht, i teorici della scuola liberale, soprattutto dei paesi anglosassoni, limitando lo status di "militarista" a pochi paesi, come la Germania e il Giappone [5] [6], si rifiutavano di definire allo stesso modo stati occidentali come la Francia o la Gran Bretagna. Nonostante il riarmo che infettò più o meno tutti i paesi occidentali, prima e dopo la Prima guerra mondiale, l'approccio liberale alla questione riteneva il militarismo un fenomeno molto ristretto, limitato al peso specifico dei militari nel sistema politico dello Stato.

Secondo questo punto di vista, oramai superato dagli eventi storici, uno stato dove il potere militare viene completamente subordinato a quello civile, anche se ha svolto una politica estera aggressiva, o di riarmo, non era definibile militarista. E lo era solo quando il braccio militare diventava irrequieto, assumendo prevalenza rispetto al potere civile e influenzandone le decisioni politiche. Sulla base di queste congetture liberali, la Germania non era da annoverare tra gli stati militaristi: ma come definire uno stato dove, a parte alcuni ambienti piccolo-borghesi del sud, la borghesia appoggiava in tutto e per tutto i militari? Non a caso, l'esercito prussiano fu decisivo nella repressione della Comune di Parigi e per questo, per la borghesia, il militarismo era considerato l'arma più efficace contro il socialismo (in tempo di pace gli effettivi erano più di 400.000 uomini). Fu approvata la legge sull'obbligatorietà del servizio militare e quella del settennato, cioè l'approvazione delle spese militari per un settennio (dopodiché occorreva la conferma parlamentare), consentendo di conseguenza una inusitata libertà d'azione ai militari, liberi durante quel periodo da ogni controllo parlamentare. In 20 anni l'esercito aumentò del 50%, mentre la popolazione era cresciuta solo del 25%. Le classi dirigenti avevano ogni interesse a sviluppare conflitti con gli altri Stati, soprattutto con la Francia, al fine di poter giustificare tutto quel macchinario di uomini e armamenti che dava loro enormi poteri e profitti.

Immagine allegorica del militarismo comunista, dove si mostra la libertà come donna, che pone una spada, serpenti e una fiaccola in nome della dittatura del proletariato

Tra le due guerre la situazione in Germania non cambiò rispetto al militarismo, portando non in lungo tempo alla nascita del Terzo Reich nazista che sfociò poi nelle aggressioni militari ad altri paesi d'Europa ed infine alla Seconda guerra mondiale.

I militarismi sono più d'uno. I complessi militari ed industriali

Sconfitto il fascismo nel 1945, il militarismo avrebbe dovuto avere le ore contate, soprattutto se lo si inquadrava nell'ottica del pensiero liberale, considerate le devastazioni provocate dalla guerra e il dispendio economico determinato dalla corsa agli armamenti. Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, opera degli americani, fu probabilmente l'episodio più conosciuto ma non il solo ad essere così cruento, si pensi per esempio al bombardamento di Dresda, in Germania, messo in atto quasi alla fine della guerra e che provocò una gigantesca carneficina. [7]

La bomba atomica esplose su un ospedale al centro di Hiroshima, causando immediatamente centomila morti, nella stragrande maggioranza civili, e altrettanti nei momenti successivi come conseguenza delle ustioni e delle radiazioni. Hiroshima e Nagasaki sono diventate nei libri di storia il «prezzo della pace richiesto», giacché dal giorno dopo il Giappone si arrese incondizionatamente. Quello che generalmente si tace è che i giapponesi da settimane chiedevano di avviare dei colloqui che portassero alla fine della guerra. Le motivazioni che spinsero gli americani ad usare l'atomica erano legate a diversi fattori che poco avevano a che fare con il porre fine alla guerra: dalla possibilità stessa di testare una bomba nucleare, che da anni era in fase di progettazione e sperimentazione, alla volontà degli Stati Uniti di sfruttare la situazione di guerra per distruggere le infrastrutture giapponesi e quindi eliminare uno stato rivale in termini economici e politici. Secondo alcune versioni, l'atomica fu anche un messaggio non troppo criptico lanciato anche agli stessi alleati degli americani, un avvertimento sulla loro potenza militare ed economica.

Ecco che quindi il militarismo non esplica più solo la funzione di combattere nemici interni ed esterni, ma anche sviluppare affari e creare giganteschi profitti. Nasce così un nuovo concetto: il "complesso militare-industriale" - CMI - che demoliva definitivamente la prospettiva liberale del militarismo. Nel complesso militare-industriale vengono coinvolti non solo i militari, ma anche, e forse più ancora, i politici e i partiti, gli uomini d'affari e i giornalisti.

Rispetto alla sua origine storica il concetto di militarismo è stato modificato, ampliato ed integrato con altri aspetti che via via si sono inseriti nello sviluppo storico, che di fatto rendono superata la tesi liberale: non solo le grandi potenze occidentali ma anche i paesi "sottosviluppati" possono essere militaristi. Gli stessi paesi del "socialismo reale", non erano di certo al di fuori dal fenomeno militarista. Infatti, anche in Unione Sovietica, approfittando della sua economia fondata sulla proprietà dello Stato, nei primi anni settanta si cominciò a parlare di un "complesso militare-industriale" di stampo sovietico. Di questo facevano parte militari, i leader dei partiti politici e alti burocrati dello Stato.

Tutto ciò comportò anche la revisione del concetto di imperialismo, che teoricamente dovrebbe stare in antitesi al marxismo, giacché esso poteva essere accostato sia ai paesi del blocco sovietico che alle società capitalistiche. Infatti, le operazioni militari dell'URSS in Afghanistan nel 1979 [8], furono anche conseguenza dell'ipertrofia del potere militare e nucleare in Unione Sovietica, così come le stesse cause furono alla base della guerra americana in Corea o Vietnam. Anche il militarismo sovietico si rese protagonista dell'uso dei militari come mezzo di repressione interna, come peraltro fu denunciato da pensatori marxisti antiautoritari come Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.

Finmeccanica: un esempio italiano

Finmeccanica è il secondo gruppo industriale italiano, il primo nell'alta tecnologia, e tra i primi cinque al mondo. È una holding attiva nei seguenti settori: aeronautica, elicotteri, sistemi di difesa, elettronica per la difesa e la sicurezza, energia, spazio, trasporti. L'azienda è installata in più di cento paesi e in particolare in Gran Bretagna, dove il gruppo ha acquisito molte aziende della difesa. Conta più di 58.000 persone. Il suo fatturato nel 2010 ammontava a 18,7 miliardi di euro, con utile pari a 557 milioni. Lo Stato italiano, attraverso il Ministero dell'Economia, possiede circa il 30% delle sue azioni.

Gli "affari" della NATO

La NATO è la sigla con cui si indica l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (in inglese North Atlantic Treaty Organization), ovvero l'organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa. Il trattato istitutivo della NATO, il Patto Atlantico, fu firmato a Washington, D.C. il 4 aprile 1949 ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno.

La NATO non assolve esclusivamente compiti militari di difesa dei paesi, ma anche quello di «promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell'affrontare le sfide del 21° secolo» [9]. Per far questo si avvale dell'Atlantic Council, un think tank ((letteralmente "serbatoio di pensiero"; in pratica è è un organismo, un istituto, una società o un gruppo, a volte, ma non sempre, formalmente indipendente dalle forze politiche, che si occupa di analisi delle politiche pubbliche e quindi nei settori che vanno dalla politica sociale alla strategia politica, dall'economia alla scienza e la tecnologia, dalle politiche industriali o commerciali alle Consulenze militari.) americano con sede a Washington, D.C. Uno dei centri più importanti dell'Atlantic Council è il Business and Economics Advisors Group, che «lavora per sviluppare e rafforzare l'integrazione economica già profonda tra l'Europa e gli Stati Uniti nonché a promuovere la leadership transatlantica nell'economia globale.» Riunendo gli imprenditori migliori, i responsabili politici di governo, e gli esperti economici, il programma esplora le globali importanti per gli Stati Uniti e la comunità imprenditoriale europea. In sostanza, il Business and Economics Advisors Group è il braccio affaristico dell'Atlantic Council, di cui peraltro fanno parte numerosi banchieri, tra cui il "nostro" Mario Monti.

In un articolo intitolato I servizi militari del lobbing occulto, scrive il COMIDAD (gruppo anarchico napoletano che aderisce alla FAI):

«L'alibi della "consulenza" è quindi una porta girevole che funziona a due sensi: consente agli uomini delle istituzioni di farsi agganciare dalle banche, ma permette anche ai banchieri di insediarsi direttamente nelle istituzioni in veste di consulenti. L'intreccio tra militarismo e finanza che si verifica all'interno della NATO, è certamente un matrimonio di convenienza, ma è soprattutto un'affinità elettiva. L'arte del lobbying non consiste affatto nel modo di presentare un'offerta, bensì nella capacità di creare false domande, false esigenze, false emergenze; allo stesso modo in cui la pubblicità induce nei consumatori dei falsi bisogni. Il lobbying esprime perciò la sua massima efficacia quando è occulto, cioè intrecciato in modo inestricabile con le istituzioni, usando direttamente gli uomini delle istituzioni, e avvalendosi della copertura del segreto di Stato o del segreto militare. Il militarismo diventa quindi lo strumento ideale del lobbying, e ciò non si limita al grande business delle armi e delle commesse militari. Una base militare può diventare infatti un'idrovora di denaro pubblico. Centotredici basi USA o NATO in Italia non hanno alcuna giustificazione di tipo strategico-militare, ma si spiegano come calamite di spesa pubblica, come modo di occupare un territorio e di assorbire le sue risorse. »

Sparta e Stati Uniti: due esempi di militarismo passato e presente

La città -stato di Sparta è stata storicamente l'esempio più emblematico di Stato militarista. L'obiettivo di un rigoroso sistema educativo gerarchico e autoritario - imperniato su durissimi addestramenti militari e sui frugali banchetti comunitari (il cibo era sempre semplice e rustico, e così rimaneva per tutta la vita) - impartito tanto agli uomini quanto alle donne, era quello principalmente di evitare che gli schiavi si ribellassero. Le spedizioni militari lontano dalla città venivano intraprese con molta riluttanza, perché c'era il timore che gli schiavi iloti, in assenza dell'esercito, potessero cercare di rovesciare i loro padroni. Anche nel caso di Sparta, come negli altri esaminati, la funzione del militarismo è principalmente quella di difendere lo Stato dai nemici interni (gli schiavi) e secondariamente dagli esterni.

Attualmente, in pieno periodo di "guerra al terrorismo", di cui frequentemente si parla nelle prime pagine dei giornali (in riferimento ad Afghanistan, Cecenia, Iraq, Iran ecc.), c'è stato un incremento della spesa globale degli armamenti e una riscoperta da parte dei media occidentali di una parola che sembrava antica e superata: il militarismo.

Militarista fu la politica del presidente George W. Bush jr, che dopo gli attacchi del 11 settembre portò all'incremento della spesa militare come ai tempi della presidenza di Ronald Reagan. Nel 2001, con il controverso scudo missilistico di difesa in atto, il bilancio della difesa americana era pari a 310.5 miliardi di dollari; una cifra altissima se si pensa che il secondo paese con la spesa militare più alta era la Russia con 44, seguita dalla Francia con circa 26. Nel 2002, le spese di bilancio in armamenti degli USA superavano la sommatoria delle spese dei quindici paesi più armati al mondo dopo gli USA. Nel 2003, poco prima dell'attacco all'Iraq, Bush annunciò una nuova fetta di spesa pari a 95 miliardi da aggiungere ai già cospicui 379 miliardi di dollari del precedente bilancio.

In linea con questa spesa colossale, la "Nuova Strategia Nazionale di Sicurezza", progettata dall'amministrazione, optò per il mantenimento e la valorizzazione di questo enorme potere militare, arrogandosi il diritto di lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi paese del mondo che minacciasse i propri interessi nazionali. [10]Non si è trattato di qualcosa di nuovo, giacché anche l'amministrazione Clinton attaccò la Serbia in spregio al diritto internazionale, ma la novità degli attacchi preventivi di Bush furono nel messaggio di forza lanciato tanto agli alleati quanto ai paesi nemici. Ciò ha determinato anche lo sviluppo di analoghi comportamenti: si pensi alla Russia di Putin, che sotto i suoi mandati ha attaccato con veri e propri metodi terroristici illegali la Cecenia, comportando anche un notevole incremento delle proprie spese militari.

Definizioni di militarismo

Una volta inquadrato globalmente il complesso fenomeno militare, ben lungi dal ridurlo al solo cerchio istituzionale dello Stato, esso può essere esteso a tutta la sfera sociale, sulla base del quale si possono dare diverse definizioni. Michael Klare, a partire dai suoi studi sul militarismo durante la Guerra Fredda, ha proposto la seguente, che col tempo è diventata una delle più ricorrenti:

(«...) La tendenza dell'apparato militare di una nazione (che include le forze armate, le forze paramilitari, burocrati e servizi di intelligence) di assumere un controllo sempre maggiore sulla vita e sul comportamento dei cittadini, sia attraverso mezzi unilaterali (preparazione alla guerra, l'approvvigionamento di armi, lo sviluppo dell'industria militare) o con valori militari (centralizzazione dell'autorità, la gerarchia, disciplina e conformismo, combattività e la xenofobia), al fine di dominare sempre più la cultura, l'educazione, mass-media, religione, politica ed economia a scapito delle istituzioni civili».
Paesi privi forze armate: il Costarica è l'esempio più emblematico di Stato sovrano non dotato di esercito e ceti militari.

Tornando alla realtà del Complesso militare-industriale degli Stati Uniti, il senatore Goldwater nel 1969 difese la sua importanza:

«[...] Questo Complesso è secondo noi lo scudo che ci protegge. È il principio in base al quale la nostra nazione prospera e raggiunge il benessere. È la nostra armatura, purtroppo in un mondo diviso».

A partire da questo principio, la massima priorità dell'amministrazione Bush jr non fu quella di risolvere i gravi problemi all'interno della società americana - la disoccupazione, le sacche di emarginazione sociale - bensì difendere la nazione dai suoi nuovi nemici - «dalle minacce di terroristi e tiranni» - attraverso una politica estera aggressiva che legittimasse gli attacchi preventivi ed improvvisi e, attraverso una politica di sicurezza interna, il rafforzamento dei poteri dello Stato. Il controllo sociale fu ugualmente una priorità dell'amministrazione conservatrice di G. Bush. Nessuna meraviglia, di conseguenza, ci fu quando fu creato un poderoso Department of Homeland Security, che centralizzava e coordinava tutte le forze pubbliche del paese contro il terrorismo, un pò come quando la presidenza Truman, all'inizio della guerra fredda, sviluppò politiche di centralizzazione delle agenzie militari e di intelligence.

Stasa Zajovic, come femminista e attivista per la pace nell'ultima guerra balcanica, dopo l'esperienza vissuta nella Serbia di Milosevic, diede la sua definizione, evidenziando come un paese nel quale il culto della morte e l'esaltazione della sofferenza era divenuta un'attività quotidiana (in Serbia, la genealogia dei martiri e degli eroi si perde nella notte dei tempi), una delle tante risorse per la preparazione e il sostentamento della guerra:

«A livello ideologico, la militarizzazione si realizza soprattutto attraverso l'imposizione di valori, simboli e linguaggio militarista; con la necrofilia coma forma di contaminazione sociale e spirituale (l'ossessione della morte e delle tombe si rivelano nei seguenti termini: «i confini della Serbia sono le tombe dei serbi»ecc.), con lo spirito politico autoritario che arriva fino ad eliminare l'altro, il diverso, sia attraverso linguaggi ideologici, etnici, sessuali ecc.; nella glorificazione che arriva all'adorazione della figura collettiva del padre della nazione, impersonata dal presidente dello Stato o dal capo delle forze armate, e nella rigida separazione dei ruoli di genere: moglie/madre, uomo/guerriero; nella marginalizzazione politica delle donne. Nel Parlamento di Serbia, che ha duecento e cinquanta deputati ci sono solo quattro donne.»

Descrivendo questo fenomeno, la femminista americana Cynthia Enloe ha voluto affrontare in modo originale la questione, preferendo parlare di «essere militarizzato» o «militarizzata» anziché di militarismo. A partire da questo concetto, i modi in cui una persona è stata militarizza sono diverse. La più ovvia è quella di entrare a far parte di un'istituzione militare o in una ad essa indirettamente collegata. Ma una persona diventa militarizzata anche...:

«(...) semplicemente adottando un modo di pensare militare, che comprende una visione del mondo composta da NOI e LORO, soprattutto quando LORO sono percepiti come una minaccia fisica. Per me quest'ultimo è spesso il primo passo del cammino verso la militarizzazione. Il paese non necessariamente deve essere governato dai militari. Non c'è bisogno di portare una pistola o indossare una divisa, ma sei sulla strada della militarizzazione se si immagina il mondo in questo modo. In seguito, il secondo passo è quello di pensare che l'unico modo per risolvere i problemi sia attraverso la forza fisica.».
Manifesto antimilitarista italiano (Carrara 1977)

Antimilitarismo

Exquisite-kfind.png Vedi Antimilitarismo.

L'antimilitarismo è una dottrina e un movimento sociale che avversa la guerra e quindi le istituzioni militari, il loro sviluppo e quanto concorra all'esaltazione e alla diffusione dello spirito militaristico. Per gli anarchici l'antimilitarismo ha una valenza particolare e rappresenta la prosecuzione della lotta alla gerarchia, all'autorità, allo Stato e ad ogni forma di dominio e discriminazione.

Antimilitarismo e anarchismo

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Una nobile follia.

L'antimilitarismo è un sentimento comune a tutte le correnti anarchiche, tanto di quelle pacifiste quanto di quelle insurrezionaliste. Quantunque un antimilitarista non debba necessariamente essere anarchico, il movimento libertario si è storicamente sempre distinto nelle lotte contro la subcultura militare. Un esempio di lotta antimilitarista è stata quella compiuta dall'anarchico e obiettore di coscienza turco Mehmet Tarhan, arrestato per essersi rifiutato di svolgere il servizio militare obbligatorio e liberato nel marzo 2006 dopo diversi mesi passati in carcere.

L'anarchismo considera il militarismo in antitesi ai principi di orizzontalità, mutuo appoggio, libertà, internazionalismo e superamento del concetto di patriottismo e nazionalismo.

Note

Bibliografia

Exquisite-kfind.png Vedi Testi: antimilitarismo.

Voci correlate

Collegamenti esterni