Propaganda col fatto

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Gli attentatori del re d'Italia Umberto I: Gaetano Bresci (29 luglio 1900), Pietro Acciarito (22 aprile 1897) e Giovanni Passannante (17 novembre 1878).

La propaganda col fatto o propaganda del fatto è un principio che sarà lanciato dal movimento anarchico come associazione alla propaganda verbale e scritta, consistente nel realizzare dei fatti che avrebbero potuto dar luogo all'anarchia.

« Morto un re se ne fa un altro. Vero. Ma il re che la corona raccoglie nel sangue del padre impara la prudenza, la moderazione, la saviezza. »

~ Luigi Galleani

Definizione

La propaganda col fatto è un mezzo d'azione diretta attraverso il quale si intende comunicare idee e pensieri non soltanto con la parola ma anche e soprattutto con il “fatto”. Sono così definibili anche tutte quelle azioni dirette volte a vendicare un determinato episodio, nella speranza di dare inizio ad una rivolta di più ampio respiro (es. Gaetano Bresci che colpisce a morte Umberto I per vendicare la strage dei moti di Milano del 1898) e di ingenerare una rivolta popolare. La propaganda col fatto storicamente si è concretizzata sia in tentativi insurrezionali (un esempio tipico è la banda del Matese), sia in attentati individuali o collettivi contro sovrani, capi di stato e di governo o altre importanti personalità, sia, in qualche occasione, in atti terroristici. Per quanto concerne quest'ultimo aspetto, è bene chiarire che la teoria della propaganda col fatto non contempla il terrorismo, ossia l'ingenerare il terrore nella massa (che è anzi l'effetto contrario rispetto a quello voluto), ma in alcuni casi, il fatto è stato attuato (anche per imperizia) in modo tale da caratterizzarsi come terroristico. Un esempio tipico è la strage del Teatro Diana, che intendeva colpire il questore Giovanni Gasti, in quanto rappresentante, e quindi complice, di quello Stato che deteneva in carcere senza prove Errico Malatesta ed altri anarchici. Lo stesso Malatesta, pur ribadendo la buona fede dei compagni propagandisti, non poté che condannarne l'operato.

Origine storica

L'espressione trova origine nella concezione di Carlo Pisacane secondo cui «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». [1]

La repressione che i comunardi subirono alla caduta della Comune di Parigi (1871), portò Bakunin, poco prima della sua morte (1876), a pensare che era finito il tempo delle parole e fosse necessario agire.

Nel 1876, nel congresso di Berna dell'Internazionale antiautoritaria, Malatesta e Cafiero lanciarono «la guerra continua alle istituzioni stabilite, ecco ciò che chiamiamo la rivoluzione in modo permanente!». «La Federazione italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nei più profondi strati sociali ed attrarre le forze vive dell'umanità nella lotta che l'Internazionale sostiene». [2] Si trattava cioè di propagandare le idee anarchiche non solo con le parole ma soprattutto con l'esempio concreto, affinché potesse essere imitato dalle masse popolari.

Il 9 giugno 1877, Andrea Costa animò a Genova una conferenza sulla «propaganda per il fatto». Andrea Costa è considerato da James Guillaume come l'inventore di questo neologismo, popolarizzato qualche settimana dopo da Paul Brousse in un articolo pubblicato nel Bulletin de la Fédération Jurassienne.

Dalla sua comparsa in Francia, la stampa anarchica difese questa modalità d'azione. La Révolution sociale inaugurò una rubrica di « Studi scientifici » sulla fabbricazione delle bombe. La Lutte, Le Drapeau noir, La Varlope e La Lutte sociale aprirono, in seguito, delle rubriche dai nomi evocatori come « Prodotti antiborghesi » o « Arsenale scientifico ». Quattro anni più tardi, il 25 dicembre 1880, Kropotkin dichiarò in Le Révolté: «La rivolta permanente mediante la parola, lo scritto, il pugnale, il fucile, la dinamite (...), tutto è buono per noi quello che non è la legalità».

Nel 1881, durante il congresso internazionale anarchico di Londra (dove erano presenti anche Louise Michel ed Emile Pouget), questa nuova strategia sarà proclamata ed enunciata come «propaganda col fatto» (per aggiungersi agli scritti ed alle parole). Per molti di questi pensatori, in primis Kropotkin, l'azione col fatto avrebbe scatenato una serie di eventi, tra loro indissolubilmente legati (determinismo), che sarebbero sfociati nell'anarchia.

Nel 1887, cioè sette anni dopo l'articolo comparso su Le Révolté, Kropotkin cambiò opinione e sullo stesso giornale pubblicò un articolo in cui scrisse che «un edificio fondato su secoli di storia non si distrugge con qualche chilogrammo di esplosivo». La propaganda col fatto affascinò molti anarchici del movimento anarchico, soprattutto in Italia e Francia (vedi Sante Caserio, Gaetano Bresci o Émile Henry), ed in seguito, nei primi due decenni del '900, quando ormai in Europa aveva intrapreso una parabola discendente [3], prese a diffondersi negli Stati Uniti grazie a Johann Most, Giuseppe Ciancabilla e soprattutto Luigi Galleani.

Anche molte azioni rivendicate ai giorni nostri dalla Federazione Anarchica Informale possono essere inquadrate nell'ambito della tradizione storica della propaganda col fatto.

Esempi di propaganda col fatto

«Freiheit», di Johann Most, giornale a favore della propaganda col fatto.
Rappresentazione dell'attentato compiuto da Vaillant
  • 6 agosto 1874: circa duecento rivoluzionari (tra cui Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Andrea Costa e Napoleone Papini), anziché i mille previsti (stesso “equivoco” capitò tre anni dopo alla banda del Matese), partendo da Imola si diressero verso Bologna, abbattendo la linea telegrafica, rompendo i binari e fermando i treni. Il piano non andò a buon fine perché la polizia, essendo stata messa al corrente dei preparativi da alcuni suoi informatori, intervenne in forze e bloccò sul nascere l'iniziativa degli anarchici.
  • Primi di aprile del 1877: la "Banda del Matese" (Carlo Cafiero, Errico Malatesta, Napoleone Papini, Cesare Ceccarelli e altri) attaccò un piccolo paesello, San Lupo (Benevento), occuparono il Municipio, staccarono immediatamente il ritratto del re Vittorio Emanuele, proclamarono decaduta la monarchia, dichiararono abolita la tassa sul macinato e bruciarono tutte le carte comunali e catastali. La rivolta però dopo breve tempo fu soppressa.
  • 17 novembre 1878: Giovanni Passannante, cuoco di 29 anni, tentò di accoltellare il re Umberto I a Napoli, che rimase leggermente ferito ad un braccio. Nella colluttazione si intromise anche il primo ministro Benedetto Cairoli, che subì un taglio non grave ad una coscia. Il gesto, più che un atto politico, era funzionale nel richiamare l'attenzione sulle miserrime ed ignorate condizioni sociali in cui versava il popolo italiano al tempo. L'anarchico venne prima condannato a morte e poi ad un ergastolo agghiacciante che lo rese insano di mente. Quello di Passannante fu il primo attacco ad un'alta carica dello stato dall'Unità d'Italia, nonché il primo nella storia di Casa Savoia.
  • 5 marzo 1886: Charles Gallo, che allora aveva 27 anni, lanciò una bottiglia d'acido cianidrico nella Borsa di Parigi al grido di «Viva la rivoluzione sociale! Viva l'anarchia! Morte alla magistratura borghese! Viva la dinamite!». La "bomba" piuttosto che esplodere lasciò un odore nauseabondo, seminando il panico tra gli operatori. Charles allora tirò fuori la pistola e sparò cinque colpi senza uccidere nessuno.
  • 9 dicembre 1893, in Francia, Auguste Vaillant lanciò un piccolo ordigno esplosivo (riempito di chiodi) nella Camera dei Deputati, al grido di: «Morte alla borghesia! Lunga vita all'anarchia!». Un gesto simbolico, fatto per protestare contro la repressione degli anarchici, ordita dal capo del governo Jean Casimir-Perier, piuttosto che per uccidere (non ci fu alcuna vittima). Vaillant fu condannato ugualmente a morte e ghigliottinato il 5 febbraio 1894.

Vittime illustri

Gli autori degli attentati che videro soccombere teste coronate, capi di stato, capi di governo.

Nella storia della "propaganda col fatto" si contano 9 successi illustri:

Gli attentatori di Mussolini

Riuniti in questa foto gli attentatori del duce: (dall'alto) Tito Zaniboni, Anteo Zamboni, Gino Lucetti, Michele Schirru, Violet Gibson e Angelo Sbardellotto.
  • Il 4 novembre 1925 Tito Zaniboni organizzò un attentato contro Benito Mussolini. Egli avrebbe dovuto far fuoco con un fucile di precisione austriaco da una finestra dell'albergo Dragoni, fronteggiante il balcone di Palazzo Chigi, da cui si sarebbe dovuto affacciare il duce per celebrare l'anniversario della vittoria. Ma Zaniboni non sapeva che del suo gruppo faceva parte un informatore della polizia (tale Carlo Quaglia), e che quindi tutte le sue mosse erano state fino a quel momento sorvegliate dal questore Giuseppe Dosi. L'operazione di polizia scattò quando Zaniboni, giunto in albergo, si apprestò a salire nella sua camera. In un armadio della camera stessa fu trovato il fucile, e nei pressi di piazza San Claudio fu trovata parcheggiata una Lancia Dilambda, che lo Zaniboni aveva acquistato pochi giorni prima e che gli sarebbe servita per la fuga. Zaniboni fu quindi arrestato tre ore prima dell'attentato, insieme al generale Luigi Capello.
  • Il 7 aprile 1926 Mussolini era appena uscito dal palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando Violet Gibson gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. La Gibson, faticosamente sottratta a un tentativo di linciaggio, fu condotta in questura; interrogata, non rivelò la ragione dell'attentato. L'attentatrice, per volontà dello stesso Mussolini, che ai tempi era in buoni rapporti con Winston Churchill, venne assolta in istruttoria dal Tribunale speciale per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall'Italia verso l'Inghilterra. Rimase per trent'anni ricoverata in una clinica psichiatrica, il St Andrew's Hospital a Northampton, ove morì.
  • L'11 settembre 1926 Gino Lucetti si appostò sul piazzale di Porta Pia a Roma e lanciò una bomba contro la Lancia Lambda Coupé de ville che trasportava Mussolini nel consueto tragitto da casa a Palazzo Chigi. La bomba rimbalzò sul bordo superiore del finestrino posteriore destro dell'automobile e, qualche secondo dopo, esplose a terra ferendo otto passanti e lasciando illeso l'obbiettivo. Lucetti fu immediatamente immobilizzato da un passante, tale Ettore Perondi, e poi raggiunto dalla polizia. Nel corso delle indagini la polizia cercò invano le prove di un complotto, arrestò la madre, il fratello e la sorella di Lucetti, vecchi amici carraresi e anche chi aveva alloggiato con lui in albergo. Lucetti dopo l'arresto in commissariato dichiarò: «Non sono venuto con un mazzo di fiori per Mussolini. Ma ero intenzionato di servirmi anche della rivoltella qualora non avessi ottenuto il mio scopo con la bomba.» Nel 1943, dopo 17 anni di detenzione, Lucetti fu liberato dagli Alleati ma morì poco dopo ad Ischia a causa di un bombardamento il 17 settembre 1943.
  • La sera del 31 ottobre 1926, quarto anniversario della sua nomina a primo ministro in seguito alla marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna, dove si era recato il giorno prima per inaugurare lo stadio Littoriale. Alla fine delle celebrazioni, Mussolini venne accompagnato verso la stazione a bordo di un'automobile scoperta, guidata da Leandro Arpinati. Alle 17.40 il corteo aveva raggiunto l'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza. Anteo Zamboni, di professione fattorino nella tipografia del padre, era in questa via, appostato tra la folla sotto il primo arco di portico e mentre l'automobile rallentava per svoltare, sparò contro Mussolini, mancandolo. Il proiettile aveva seguito una traiettoria dall'alto verso il basso: colpì il cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della giacca del duce, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Puppini (che questi teneva sulle ginocchia) e si conficcò nell'imbottitura della portiera dell'automobile. In reazione a tale gesto, gli squadristi di Leandro Arpinati (fra i quali Arconovaldo Bonacorsi) e gli arditi milanesi capitanati da Albino Volpi, si gettarono sullo studente quindicenne e lo linciarono. Il tenente del 56º fanteria che per primo individuò e bloccò il giovane attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini. Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come «criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento».
  • Il 2 gennaio 1931 Michele Schirru, in Francia, si avviò verso l'Italia con l'intenzione di realizzare il piano. L'accompagnò al treno lo stesso Lussu, che descriverà così l'ultimo saluto: «Lì, alla Gare de Lyon, salutandolo dal marciapiede sotto la vettura, dissi arrivederci e gli sorridevo. Anche lui sorrideva, ma triste. Rispose: no, non arrivederci. Addio. Soltanto questo disse, e sollevò il vetro del finestrino». Giunse a Roma la sera del 12 gennaio, alloggiando all'albergo Royal, scelto come luogo strategico rispetto agli itinerari abituali di Mussolini, che vi transitava quattro volte al giorno. Per due settimane studiò attentamente il tragitto attraverso Villa Torlonia, Porta Pia, il Viminale, Via Nazionale e Piazza Venezia, senza incrociare una sola volta le trasferte dell'obiettivo. Scoraggiato, conobbe una ballerina ungherese di 24 anni, Anna Lucovszky, della quale s'innamorò e alla quale dedicava le sue giornate. Ma la sera del 3 febbraio venne arrestato da un maresciallo all'Hotel Colonna, luogo degli incontri con Anna. In commissariato tentò il suicidio con la propria pistola: il proiettile trapassò entrambe le gote e Michele sopravvisse, sfigurato. In esecuzione della sentenza del 28 maggio 1931 e Schirru vvenne condannato alla pena di morte in quanto: «Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell'Italia, attenta all'umanità, perché il Duce appartiene all'umanità». L'avvocato presentò domanda di grazia, ma questa non viene nemmeno inoltrata dal comandante a cui era stata affidata. Il 29 maggio 1931, venne eseguita la sentenza di morte. Mussolini volle che fossero 24 sardi volontari a sparare all'anarchico. Davanti al plotone d'esecuzione il giovane grida: «Viva l'anarchia, viva la libertà, abbasso il fascismo!».
  • Nel corso di riunioni tra anarchici Angelo Pellegrino Sbardellotto, in Belgio, espresse più volte l'intenzione di rientrare in Italia con l'intenzione di uccidere il capo del governo per vendicare la morte di Michele Schirru che era stato fucilato per l'attentato descritto sopra. Inviato a Parigi presso l'organizzazione Concentrazione antifascista un individuo non certo gli procurò un falso passaporto svizzero intestato ad Angelo Galvini, una pistola e due bombe. Il 25 ottobre 1931 Sbardellotto si trovò a Roma in occasione delle celebrazioni per l'anniversario della Marcia su Roma, ma pur avendo tentato di avvicinarsi a Mussolini l'impresa si rivelò impossibile e decise di ritornare in Francia dove si incontrò nuovamente con il misterioso individuo a cui riconsegnò le bombe. In Belgio, la polizia venuta a conoscenza dei suoi propositi di uccidere Mussolini lo arrestò per breve tempo e lo sottopose a un regime di stretta osservanza a Seraing, vicino a Liegi. Nel 1932, in occasione delle celebrazioni per il Natale di Roma, fattosi riconsegnare il falso passaporto e le bombe ritornò in Italia ma anche questa volta non riuscì ad avvicinarsi a Mussolini e rientrò a Parigi. Sbardellotto ritornò in Italia il 30 maggio 1932, in occasione della traslazione delle ceneri di Anita Garibaldi a Roma nel monumento sul Gianicolo, per il suo terzo tentativo, ma nuovamente l'occasione venne a mancare e incominciò a girovagare in Piazza Venezia dove il 4 giugno 1932 fu casualmente fermato da un agente di polizia, che lo trovò in possesso di una pistola e di un ordigno. Condotto davanti al Tribunale Speciale, ammise di essere venuto in Italia per uccidere Benito Mussolini e, dopo un processo durato due giorni, fu quindi condannato alla pena di morte per l'intenzione di uccidere Mussolini. Fu fucilato il 17 giugno 1932 a Forte Bravetta da un drappello di militari capitanati da Armando Giua.

Fatti in ordine cronologico (fino al 1932) [4]

24 dicembre 1927: bombe alla City Bank (23 feriti e 2 morti, un'impiegata e un venditore di calze) e al Banco di Boston (ordigno inesploso);
23 maggio 1928: bombe al Consolato italiano (fallito tentativo di uccidre il console Italo Capanni; 9 morti e 34 feriti gravi) e alla farmacia del dr. Benjamin Mastronardi, presidente del Comitato fascista (ordigno inesploso).

Note

  1. C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano, 1956
  2. Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli, 1973, p. 108
  3. Il 24 novembre 1898 a Palazzo Corsini a Roma si era tenuta la Conferenza per la difesa sociale contro gli anarchici: i 21 paesi partecipanti avevano stabilito all'unanimità che l'anarchia non doveva essere considerata una dottrina politica e che gli attentati attuati dagli anarchici dovevano essere puniti come azioni criminali oggetto di potenziale estradizione.
  4. Per distinguere la propaganda col fatto dal mero illegalismo, nell'elenco non sono riportati gli atti di illegalisti come, ad esempio, la banda Bonnot, Marius Jacob e Sante Pollastri.
  5. Destinatari dei pacchi-bomba:
    • Theodore G. Bilbo, Governatore del Mississippi;
    • Frederick Bullmers, editore del Daily News di Jackson, Mississippi;
    • Albert S. Burleson, Direttore generale delle poste degli Stati Uniti d'America;
    • John L. Burnett, membro del Congresso per lo Stato dell'Alabama;
    • Anthony Caminetti, Commissario Generale per l'Immigrazione;
    • Edward A. Cunha, Assistente Procuratore Distrettuale di San Francisco;
    • Richard Edward Enright, Commissario di Polizia di New York;
    • T. Larry Eyre, Senatore della Pennsylvania;
    • Charles M. Fickert, Procuratore Distrettuale di San Francisco;
    • Rayme Weston Finch, agente del Bureau of Investigation;
    • Ole Hanson, Sindaco di Seattle;
    • Thomas W. Hardwick, ex-Senatore della Georgia;
    • Oliver Wendell Holmes, Jr, membro della Corte Suprema degli Stati Uniti;
    • Fredric C. Howe, Commissario per l'Immigrazione del Porto di New York;
    • John F. Hylan, sindaco di New York;
    • Albert Johnson, membro del Congresso per lo Stato di Washington;
    • William H. King, Senatore dello Utah;
    • William H. Lamar, Rappresentante legale dell'Ufficio Postale degli Stati Uniti;
    • Kenesaw Mountain Landis, Giudice Distrettuale, Chicago;
    • J. P. Morgan, Jr, Imprenditore;
    • Frank Kenneth Nebeker, Assistente particolare del Procuratore Generale;
    • Lee S. Overman, Senatore della Carolina del Nord;
    • A. Mitchell Palmer, Procuratore Generale degli Stati Uniti;
    • John D. Rockefeller, Imprenditore;
    • William I. Schaffer, Procuratore Generale della Pennsylvania;
    • Walter Scott, Sindaco di Jackson, Mississippi;
    • Reed Smoot, Senatore dello Utah;
    • William C. Sproul, Governatore della Pennsylvania;
    • William B. Wilson, Segretario del Lavoro degli Stati Uniti;
    • William Madison Wood, Presidente dell'American Woolen Company.

Scritti

Voci correlate

Collegamenti esterni