Severino Di Giovanni

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Severino Di Giovanni

Severino Di Giovanni (Chieti, 17 marzo 1901 - Buenos Aires, 1 febbraio 1931), è stato un anarchico insurrezionalista e "illegalista" emigrato dall'Italia all'Argentina per sfuggire alla repressione fascista.

Biografia

Severino Di Giovanni nasce a Chieti il 17 marzo 1901. In gioventù subisce le conseguenze del periodo post-bellico (Prima guerra mondiale): fame, povertà difficoltà, lutti ecc. Da quel momento odierà ogni tipo di autorità.

Il periodo italiano: l'anarchismo

Di professione tipografo, si avvicina così, sin da giovanissimo, alle idee anarchiche: legge Bakunin, Malatesta, Proudhon ed altri. Nel 1921 diventa membro attivo del movimento anarchico. Nel 1922, quando il fascismo conquista il potere dando inizio alle persecuzioni degli anarchici e di tutti i dissidenti, Severino, insieme alla moglie Teresa Mascullo e ai suoi tre figli, decide di emigrare in Argentina.

L'arrivo in Argentina

América Josefina Scarfò, compagna di Severino Di Giovanni
Foto segnaletica di Francesco Barbieri, membro della banda di Di Giovanni

In questa terra, a 24 anni, s'innamora di una giovane ragazza quindicenne, América Josefina Scarfò. La famiglia Scarfò appartiene alla classe media argentina e certo non è favorevole a quell'amore, ma grazie alla complicità di alcuni compagni e dei fratelli di América (Paulino e Alejandro), pure loro anarchici e appartenenti alla banda di Di Giovanni, i due riescono a convivere per un lungo periodo. A Buenos Aires entra in contatto con l'anarchico calabrese Francesco Barbieri, che entrerà a far parte della sua banda occupandosi principalmente degli esplosivi.

Inizio dell'attività insurrezionale

In Argentina, grazie ad una nutrita presenza di anarchici italiani (Camillo Daleffe, Aldo Aguzzi, Luigi Tibiletti, Carlo Fontana, Pasquale Caporaletti, Giacomo Sabbatini, Luigi Zanetti, Giuseppe Pellegrini, Romeo Gentile, Clemente Daglia, Carlo Marchesi ecc.), Severino Di Giovanni prosegue il suo attivismo anarchico. Di Giovanni è prevalentemente un uomo d'azione: teorizza le rapine alle banche come mezzo di finanziamento e l'assalto alle centrali di polizia, dove notoriamente venivano torturati i comunisti e gli anarchici. [1] Soprattutto durante il concitato periodo delle grandi manifestazioni di solidarietà a Sacco e Vanzetti si verificano alcune clamorose rapine e manifestazioni pratiche di azione diretta. La polizia argentina arresta una prima volta l'anarchico italiano quando, dagli spalti del teatro Colòn di Buenos Aires, durante i festeggiamenti in onore del re d'Italia per i suoi 25 anni di regno, lancia diversi volantini antifascisti in favore del deputato Giacomo Matteoti, assassinato dal fascista Dumini, urlando: «Abbasso il fascismo!». Il volantino riportava il seguente testo:

Il volantino lanciato dagli spalti del teatro Colòn di Buenos Aires.
«Santificatori della monarchia Sabauda avete dimenticato che proprio sotto il regno di Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà... di pochi Re d'Italia; sorse, si alimentò nel sangue, quell'accozzaglia di briganti che si chiamano i FASCISTI... con tutti i suoi Dumini, i Filippelli, i Rossi, i De Vecchi, i Regazzi, i Farinacci... e che trova in Benito Mussolini la più precisa e perfetta raffigurazione di tutte le infamie...
Glorificatori della Monarchia appuntellata dal pugnale dei Dumini scrivete nella storia della Casa Savoia questo nome glorioso:
Matteotti!
Ricordate i 700 assassinati nel 1898 dai cannoni di Umberto il Buono. W la mano di Bresci!» (Volantino lanciato dagli anarchici dal loggione del teatro Colón, Buenos Aires, 6 giugno 1925) [2]

La collaborazione con il «Culmine»

Pur essendo "uomo d'azione", Di Giovanni non nega l'importanza della teoria. Pubblica numerosi testi anarchici e il giornale il «Culmine» (il primo numero uscì nell'agosto del 1925), che si pone l'obiettivo di:

  • diffondere le idee anarchiche tra i lavoratori italiani;
  • contrastare la propaganda dei partiti politici pseudo-rivoluzionari, che fanno dell'antifascismo una speculazione per le loro future conquiste elettorali;
  • iniziare tra i lavoratori italiani agitazioni di carattere esclusivamente libertario per mantenere vivo lo spirito di avversione al Fascismo;
  • interessare i lavoratori italiani alle agitazioni proletarie in Argentina;
  • stabilire un'intensa ed attiva collaborazione tra i gruppi anarchici italiani o i compagni isolati e il movimento anarchico locale.

Il «Culmine» diffonde molti appelli in favore di prigionieri politici (tra cui Sacco e Vanzetti), contro il fascismo in Italia e nel resto del mondo, contro la repressione argentina e anche contro lo stalinismo (una rubrica del periodico si intitolava «Dall'inferno bolscevico»).

Azioni dirette

Severino Di Giovanni in un momento processuale

Diviso tra teoria e pratica, Di Giovanni compie azioni dirette, anche perché la necessità di reperire fondi per poter condurre una vita votata alla clandestinità ed alla guerriglia urbana, spinge il gruppo del Culmine alle rapine di banche, portavalori, gioiellerie e grandi aziende.

Il 16 maggio 1926, alle 23, una potente bomba sgretola la porta dell'Ambasciata americana, senza, per fortuna, provocare vittime, ma solo danni a tutti gli edifici vicini, compreso un negozio, che si trova di fronte.

Il 22 luglio del 1927 vengono messi a segno altri due attentati: il primo al monumento a Washington e l'altro alla sede di una concessionaria Ford. Due settimane dopo, l'8 agosto, vengono colpiti il palazzo del Tribunale e la stazione Vólez Sarsfield. La settimana successiva, il 16 agosto, è la volta della casa del commissario di polizia Eduardo Santiago, nel quartiere di Almagro.

L'esecuzione, nell'agosto del 1927, di Sacco e Vanzetti, convince il gruppo di Di Giovanni che è giunto il momento di passare ad attentati di ben altra portata ed effetto. Tra l'agosto del 1927 ed il maggio del 1928, Severino esegue più di 20 attentati. Fino al dicembre 1927 non ci sono vittime, malgrado due delle bombe esplose siano ad alto potenziale ed imbottite di pallini e chiodi, insomma, costruite per uccidere.

Il 24 dicembre 1927 vengono compiuti due attentati: il primo alla City Bank, affollata di clienti e di venditori che offrivano alle impiegate merce pregiata, profumi, champagne e calze di seta (risultato: 23 feriti e 2 morti, un'impiegata ed il venditore di calze); il secondo al Banco di Boston (la bomba non esplode).

Il 23 maggio 1928 Severino intende portare una bomba al Consolato italiano di Buenos Aires, fin dentro la stanza del Console, Italo Capanni, chiuderlo dentro a viva forza e lasciare che l'ordigno esploda. Ma le cose non vanno come previsto e alla fine la bomba viene lasciata giusto nell'atrio accanto alle scale (risultato: 9 morti e 34 feriti gravi). La stessa mattina (ore 12.30) Di Giovanni piazza un'altra bomba nella farmacia del dr. Benjamin Mastronardi, presidente del Comitato Fascista (la bomba viene involontariamente disinnescata da un bambino, il figlio di Mastronardi).

Il 14 ottobre 1928 Di Giovanni tenta di far saltare una nave di un armatore che ha rifiutato ogni concessione alle maestranze in agitazione; il 14 novembre, giornata di sciopero generale per Radowitzki, un altro ordigno toglie la vita a un innocente accanto alla cattedrale di Buenos Aires e due bombe scoppiano a Rosario; il 25 aprile 1929 l'ex amministratore del Culmine, Giulio Montagna, cade sotto i colpi di Di Giovanni, che lo ritiene un delatore; il 22 ottobre il vice commissario della polizia di Rosario, Juan Velar, noto torturatore di sovversivi, viene sfigurato da una scarica di pallini da caccia.

Il 20 gennaio 1930 viene ucciso a Rosario Agostino Cremonesi, un militante libertario che da qualche tempo intratteneva “amichevoli relazioni” con la polizia: i sospetti si indirizzano, di nuovo, su Di Giovanni, che respinge le accuse. Il 6 settembre il generale Uriburu instaura una dittatura militare in Argentina, avviando nel paese una dura politica di repressione antioperaia e sopprimendo i partiti, i sindacati, i giornali, i circoli, le associazioni operaie e di sinistra. La fine della democrazia non impedisce a Severino di andare avanti per la sua strada, assaltando, il 2 ottobre, l'Opera sanitaria, dove rapina 286.000 pesos per autofinanziarsi, e impadronendosi poi di 23.000 pesos in una fabbrica di scarpe.

Reazioni della stampa anarchica ed omicidio di Emilio López Arango

Il 26 maggio 1928 La Protesta pubblica un editoriale intitolato Scuola della violenza, nel quale non solo prende le distanze dagli attentatori, ma afferma che «il terrorismo non è anarchismo, anche se un certo tipo di azioni individuali potrebbe essere messo in relazione con alcune manifestazioni dello spirito di vendetta che porta uomini dal temperamento eccitabile ad attuare, per conto proprio, rappresaglie contro i più vistosi responsabili di un crimine collettivo».

La Antorcha del 9 giugno 1928 scrive: «L'Anarchia non è questa. Non si esprime attraverso la violenza cieca o disperata. La sua violenza è difensiva e cosciente [...]».

L'Allarme del 20 giugno 1928 riporta in prima pagina: «La bomba del Consolato Italiano non poteva essere più spaventosa. Fu atroce. Qualunque sia stata l'intenzione non si può sottrarsi alla terribile realtà. L'attentato del 23 maggio 1928 fu un carnaio d'innocenti».

Il 26 marzo 1929 La Protesta accusa pubblicamente il gruppo di Di Giovanni di essere il responsabile dell'attentato al Consolato. Il direttore Emilio López Arango critica l'apologia della violenza e del furto, sostenendo che Di Giovanni è soltanto un bandito, un «agente della polizia e del fascismo».

Il 29 ottobre 1929 López Arango viene ucciso da un misterioso sicario (anche Luigi Fabbri è oggetto di minacce, dopo aver scritto su Pagina italiana un articolo pieno di dolore e d'indignazione, paragonando l'attentato al Consolato ad altri simili avvenuti in Italia ad opera dello squadrismo fascista). In molti puntano il dito contro Severino, che nega con forza e con sdegno di essere l'autore dell'omicidio e cerca di difendersi attraverso una serie di articoli pubblicati sul Culmine e attraverso una lettera a L'Adunata dei Refrattari (organo degli anarco-individualisti italiani negli Stati Uniti), in cui chiede l'istituzione di un Gran Giurì Anarchico Internazionale che giudichi i fatti. Luigi Fabbri e Vincenzo Capuana mostrano attenzione ai suoi scritti, inducendo Di Giovanni a credere che si tratti di una specie di assenso alle sue azioni. Tuttavia, il gruppo di Di Giovanni viene isolato dal movimento anarchico argentino. Il gruppo continua a rapinare banche e a colpire i simboli del fascismo italiano, anche se i suoi compagni cadono ad uno ad uno (Alejandro Scarfò viene arrestato e rinchiuso nel manicomio criminale di Vieytes).

Salvatore Cortese, ingiustamente posto dalla polizia argentina in relazione con Di Giovanni, in un articolo pubblicato il 25 aprile 1932 sulla rivista Studi sociali di Luigi Fabbri ed intitolato L'anarchismo e la violenza, scrive: «L'anarchismo, essendo un ideale umano, non può e non deve fare scempio della vita altrui e tanto meno deve fare uso della violenza in modo sordido, pretendendo di riparare un'ingiustizia col commetterne un'altra equivalente o superiore».

Cattura e morte

Momenti della fucilazione di Severino Di Giovanni

«Di rose il sangue quel bel corpo ammanta
mentre negli occhi è naufragato il cielo...
un rosignolo dolcemente canta
e l'alba si dissolve in tenue velo... ». [3]

Il 29 gennaio 1931 la tipografia di Severino viene circondata dalla polizia. I componenti del gruppo cercano di fuggire, uccidono due poliziotti, ma alla fine Di Giovanni, sentendosi perduto, tenta invano il suicidio. Ormai moribondo Severino viene fermato dalla polizia e condotto velocemente in ospedale dove i medici gli "salvano" la vita, affinché sia poi lo Stato argentino a condannarlo a morte. Il 1° febbraio 1931, poche ore dopo il suo arresto, viene condannato alla fucilazione insieme a Paulino Scarfò [4].

In omaggio a Severino Di Giovanni

In Italia è stato attivo un «Archivio Severino Di Giovanni», che ha curato l'edizione di libri e articoli. [5]

Attualmente è attivo in Cile un gruppo anarchico, fautore dell'insurrezionalismo e dell'azione diretta, a cui vengono attrbuiti numerosi attentati contro lo Stato cileno, banche e istituzioni varie.

Note

  1. «La discriminante che Di Giovanni imponeva sia ai singoli che ai gruppi organizzati era l'accettazione, incondizionata, che il ricorso alla violenza fosse indispensabile. L'uso della violenza non dovrà essere indiscriminato, non fine a sé stesso, però la violenza dovrà essere in grado di disorientare, di spiazzare, di sconvolgere e quindi di modificare gli equilibri esistenti, prima che essi si consolidino in modo da permettere alla rivoluzione di avanzare. "Bandito illegale contro banditi legali" si autodefinì Severino in un articolo del 1926, visto che il potere non lascia alcuna possibilità di scelta» (A. Orlando - A. Pagliaro, Chico il professore, p. 75).
  2. da Iconoclasta.noblogs.org
  3. Tratto dal poema Viva l'Anarchia composto, in memoria di Severino Di Giovanni e Paulino Scarfò, da Virgilia D'Andrea e pubblicato su L'Adunata dei Refrattari di New York il 28 marzo 1931.
  4. Prima di morire, Di Giovanni incontrò l'amata América Josefina Scarfò, esortandola a studiare e a fondare una nuova casa editrice. Più tardi la Scarfò insegnò italiano all'Università di Buenos Aires, continuando a militare nel movimento anarchico. Nel 1951 giunse in Italia e si recò a Chieti alla ricerca dei parenti di Severino.
  5. Articolo: Archivio Severino Di Giovanni

Bibliografia

  • F. Bucci, G. Ciao Pointer, F. Palombo, G. Piermaria, Severino Di Giovanni, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 524-526
  • E. Puglielli, Dizionario degli anarchici abruzzesi, CSL "C. Di Sciullo", Chieti, 2010
  • Osvaldo Bayer, Severino Di Giovanni (Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, 1973)

Voci correlate

Collegamenti esterni