Pietro Acciarito

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Pietro Umberto Acciarito.

Pietro Umberto Acciarito (Artena, Roma, 27 giugno 1871 – Montelupo Fiorentino, 4 dicembre 1943) è stato un anarchico italiano conosciuto per aver tentato nel 1897 di accoltellare il re d'Italia Umberto I. Acciarito fu quest'azione fu arrestato, processato e condannato all'ergastolo.

Biografia

Nato ad Artena (Roma) da Camillo e Anna Jossi, a causa delle ristrettezze economiche della sua famiglia Pietro Umberto Acciarito deve ben presto smettere di andare a scuola. A causa di problemi lavorativi, Pietro emigra nella vicina Roma per cercare un'occupazione più stabile.

I circoli anarchici romani

Nella capitale riesce ad aprire una piccola officina dove svolge l'attività di fabbro, ma anche là il lavoro scarseggia e l'uomo non se la passa benissimo. Inizia proprio da questo momento a frequentare gli ambienti socialisti ed anarchici, ma non è molto conosciuto nell'ambiente e in tanti non lo reputano nemmeno anarchico.

Il 20 aprile 1897 Acciarito chiude definitivamente la propria officina e si reca dal padre, annunciandogli che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti [1]. Altri testimoni in seguito dichiareranno di aver sentito Pietro Acciarito pronunciare minacce contro "pezzi grossi" [2].

L'attentato ad Umberto I

Il 22 aprile 1897 tenta di pugnalare a morte Re Umberto I, in occasione dei festeggiamenti dell'anniversario di matrimonio del “Re buono”. Al termine del pranzo di gala il Re si concede una passeggiata per fare un bagno di folla, ma giunta la carrozza a porta San Giovanni, fra il vicolo della Morana e il cascinale dei Valloni, Pietro si lancia con il suo pugnale sul Re, perde l'equilibrio e non riesce a colpirlo. Cade a terra e per poco non viene investito dalla carrozza. Arrestato immediatamente, la monarchia utilizza questo pretesto per un inasprimento della repressione. Già l'indomani del tentato regicidio, Di Rudinì favoleggia su un gigantesco complotto ordito ai danni della casa reale, nonostante Acciarito dichiari:

«Io l'attentato che ho fatto, prima di tutto non c'è complotto e non sono stato spinto da nessuno, ma lo feci perché ero in miseria. Si buttano li milioni in Africa e il popolo ha fame perché mancano li lavori. È questa la questione: è la micragna.»

Il processo

Il 28 e 29 maggio 1898 si svolge il processo a suo carico. Nonostante non abbia ferito o ammazzato nessuno viene condannato ai lavori forzati a vita e a sette anni di segregazione cellulare. Udita la sentenza Acciarito proclama:

«Oggi a me, domani al governo borghese. Viva l'anarchia! Viva la rivoluzione sociale!»

La tesi del complotto

Non contento della condanna di Acciarito, lo Stato italiano intende dimostrare a tutti i costi che si sia trattato di complotto antimonarchico. Per primo viene arrestato il falegname anarchico Romeo Frezzi, che morirà nel carcere di San Michele a causa dei maltrattamenti subiti durante l'interrogatorio. La polizia cerca di far passare la sua morte come un suicidio, ma viene smascherata dall'«Avanti», giornale socialista, suscitando gran clamore in tutto il paese.

Si tratta di una vera e propria trama ordita tra la fine del 1897 e l'inizio del 1898 dal direttore generale delle carceri e il Ministero della Giustizia con l'intento di incrementare e giustificare la repressione sociale. Nel novembre del 1897 si conclude con un «non luogo a procedere contro tutti gli imputati per difetto e insufficienza di indizi» il processo a carico di diversi anarchici (Pietro Colabona, Cherubino Trenta, Aristide Ceccarelli, Ernesto Diotallevi, Federico Gudino, Ettore Sottovia, Umberto Farina ed Eolo Varagnoli).

All'inizio del 1899 ne vengono fermati altri cinque, tra cui il noto anarchico romano Aristide Ceccarelli. Nonostante lo stato d'arresto in cui si trova, Pietro Acciarito è costretto a subire nuovi e pesanti interrogatori sul presunto complotto ordito ai danni dei Savoia. Alla fine, stressato e impaurito dalle minacce, Acciarito rilascia una falsa testimonianza. Il 22 giugno a Roma si tiene il processo per il "complotto", ma tutto si ritorce contro lo Stato italiano, visto che in aula l'anarchico ritratta e accusa le autorità di avergli estorto con la forza la confessione precedente. Peraltro i testimoni dell'accusa non riusciranno a dimostrare l'esistenza di un complotto antigovernativo. Un membro della giuria abbandona l'aula, il processo viene rinviato e poi insabbiato del tutto (nessun responsabile della macchinazione processuale verrà però incriminato).

Tutto questo però non servirà all'anarchico di Artena per cambiare il proprio destino, nonostante un ultimo vano tentativo di Francesco Saverio Merlino di ricorrere in Cassazione contro la condanna all'ergastolo.

Pietro Acciarito muore nel carcere di Montelupo Fiorentino il 4 dicembre 1943.

Note

Bibliografia

  • I. Del Biondo, Pietro Acciarito, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 6-7
  • Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante. La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale'e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo, 2004.
  • Bianca Ceccarelli, Mio padre, l'anarchico, Gesualdi, Roma, 1986.

Voci correlate