Anarco-individualismo

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Max Stirner, autore de L'Unico e la sua proprietà

Il pensiero anarco-individualista non ha niente a che vedere con l'individualismo borghese; l'individualista anarchico semplicemente difende l'individuo dalle minacce della società contemporanea, tuttavia egli non è un eremita ma un uomo socievole che può rapportarsi mediante contratti associativi con il resto della società. È l'individualista stesso, insieme agli altri contraenti, a determinare i limiti del contratto (perennemente rinnovabile e cancellabile), non negando le regole, ma esigendo la partecipazione alla stesura delle stesse.

Gli anarco-individualisti sostengono che gli affari umani devono essere gestiti dagli individui stessi e dalle loro libere associazioni (autogestione), ritenendo che una società razionale possa funzionare solo ed esclusivamente se sviluppa uomini e donne consapevoli del valore della libertà. Si oppongono ad ogni forma di collettivismo e alle astrazioni concettuali (patria, Stato, collettività ecc.) che limitano la libertà individuale in nome di interessi considerati superiori. L'anarco-individualista ritiene che non esistono interessi superiori all'individuo e che mezzo e fine dell'anarchismo sia appunto l'individuo stesso.

Le due tradizioni dell'individualismo anarchico

Max Stirner, anche se non si definì mai anarchico, è considerato come il fondatore, nonché primo teorico, della corrente anarco-individualista, soprattutto per merito del testo L'unico e la sua proprietà [1].

Inizialmente L'Unico ebbe scarso impatto sull'anarchismo internazionale del XIX secolo. È con la pubblicazione di John Henry Mackay che l'autore viene riscoperto e "riconsiderato" rispetto alle rivendicazioni anarchiche, influenzando anche personaggi come Nietzsche, il quale lo considerò da sempre come «uno degli spiriti più fecondi del XIX secolo». C'è da dire che Nietzsche è una figura di primo piano dell'individualismo, anche se spesso i suoi pensieri sono stati mal interpretati, basti pensare all'interpretazione estetizzante di Gabriele D'Annunzio o a quelle accreditate da varie dottrine nazionalistiche o addirittura razziste.

È comunque in assoluto l'individualismo stirneriano ad essere il caposaldo dell'anarco-individualismo. Stirner è stato letto, commentato e assimilato principalmente negli Stati Uniti d'America e in Francia, da cui si sono sviluppate due tipologie d'individualismo ben distinte.

La scuola americana

L'anarco-individualismo

Testata del numero di gennaio 1901 del giornale anarco-individualista americano Lucifer, curato da Moses Harman.
LysanderSpooner.jpg

L'individualismo americano è stato poco condizionato dal movimento operaio europeo, piuttosto lo fu da pensatori liberali come John Stuart Mill e Spencer. Col tempo l'individualismo americano si evolse verso posizioni fortemente antiautoritarie e antistataliste. Secondo Rudolf Rocker, i primi individualisti americani furono «molto più influenzati nel loro sviluppo intellettuale dai principi della Dichiarazione di Indipendenza che da quello che ha rappresentato il socialismo libertario in Europa. Essi erano al cento per cento nativi americani, e quasi tutti erano originari degli stati del New England. Di fatto, questa scuola di pensiero ha trovato la sua espressione letteraria in America ben prima che ogni altro moderno movimento radicale in Europa sviluppasse le proprie idee.» [2]

La scuola individualistica americana si basa sulle esperienze personali d'azione diretta individuale, come quelle portate avanti da Josiah Warren, Henry David Thoreau (autore di Walden ovvero Vita nei boschi e Disobbedienza Civile) e Lysander Spooner (autore di azioni giuridiche antistatali).

Prima pagina di Liberty del 3 ottobre 1885

Furono in particolare Josiah Warren e James L. Walzer (metà del XIX secolo) a porre alla base di ogni azione umana una “filosofia egoistica stirneriana”, poi ripresa e resa popolare da Spooner, John Henry Mackay e Benjamin Tucker. “Gli americani” auspicarono, ed auspicano ancor oggi, la libera associazione e il rifiuto dell'uso della violenza (assai in voga nello stesso periodo in Europa), optando piuttosto per la disobbedienza civile. Benjamin Tucker, per esempio, predicò la disobbedienza civile di fronte al pagamento delle tasse, la creazione di cooperative indipendenti e praticanti il libero scambio, la creazione di un sistema bancario sganciato dall'influenza dello Stato ecc. Gli individualisti di questo tipo, secondo il principio di Pierre Joseph Proudhon, rifiutano esclusivamente il concetto di "nuda proprietà", ma non quello del possesso (usufrutto), ritenendo legittimo poter godere dei frutti del proprio lavoro.

Il primo periodico espressamente anarchico fu pubblicato a partire dal 1883 da Josiah Warren e si intitolava «The Peaceful Revolutionist» [3], anche se già da due anni Benjamin Tucker aveva iniziato la pubblicazione di «Liberty», un giornale propagandistico che pubblicava anche articoli anarcoindividualisti. A quel tempo cominciava a diffondersi l'anarco-comunismo e la «propaganda col fatto», entrambi molto odiati da Benjamin Tucker, il quale fu pesantemente e pubblicamente critico nei confronti dell'attentato compiuto dall'anarchico Alexander Berkman (compagno di Emma Goldman) contro l'industriale Henry Clay Frick:

«La speranza dell'umanità sta nel prevenire la rivoluzione che Berkman sta cercando di far arrivare.» [4]

L'individualismo anarchico americano può attualmente essere suddiviso in due correnti: i veri e propri libertari (molti di questi sono oggi attivi nell'ambito dell'ecologismo e dell'anarco-primitivismo, come Theodore Kaczynski, John Zerzan, John Moore ecc.) e gli anarco-capitalisti o libertarian, che chiaramente non sono ascrivibili tra le correnti anarchiche in quanto trattasi di pseudo-anarchismo.

La scuola francese

Zo d'Axa, editore di «L'Endehors»
L'anarco-individualista Albert Libertad tiene tra le mani «L'Anarchie».

Mentre negli Stati Uniti l'"individualismo" stirneriano si diffonde in un ambito liberale e capitalista, in Francia, al contrario, prende piede in un terreno maggiormente rivoluzionario e anticapitalistico. L'influenza della lunga tradizione di lotte sociali e egualitarie caratterizzano inequivocabilmente l'individualismo francese, distinguendolo in particolar modo dalla scuola americana.

Queste peculiarità sono state evidenziate da Charles August Bontemps, il quale riferendosi ai francesi, parla di individualismo sociale (definizione già adoperata da Pierre Joseph Proudhon), considerando la proprietà e il mercato come dei “fantasmi stirneriani” da cui originano le idee oppressive, tendenti a sacrificare la libertà e l'integrità dell'individuo.

Gli anarco-individualisti francesi si avvalsero di numerose riviste, una delle importanti fu «l'anarchie» di Albert Libertad (dopo la sua morte sarà diretto da Victor Serge e Rirette Maîtrejean) e «L'Endehors» di Zo d'Axa (titolo che nel 1922 sarà ripreso da Émile Armand e trasformato in «l'en dehors»), che portava la seguente epigrafe:

«Colui che nessuno arruola e che è guidato soltanto da una natura impulsiva, il passionale complesso, il fuorilegge, il fuori da ogni scuola, l'isolato ricercatore dell'aldilà»

Attualità

Questa doppia eredità (americana e francese), fa sì che alcuni anarchici americani, collaboratori della rivista Anarchy, a Journal of Desire Armed (Jason McQuin, Hakim Bey e Bob Black) rifiutino l'"etichetta" individualista, definendosi semplicemente "partigiani" dell'anarchia cosiddetta Post-Left Anarchy o, ancor meglio, «partigiani dell'anarchia».

Pur nell'ambiguità di una posizione per nulla trasparente e vicina a quella che viene definita la "rivoluzione conservatrice", va almeno menzionata la ripresa evidente dei temi individualisti stirneriani svolta da Ernst Jünger, in particolare nella figura dell'anarca o, come anche lo definisce Jünger, l'"anarchico radicale", che comunque non ha nulla a che vedere con la figura del vero anarchico legato alla tradizione storica e filosofica dell'anarchismo. Spesso sono proprio elementi neofascisti a definirsi "anarca", dando luogo ad un'interpretazione tradizionalista di Stirner del tutto priva di fondamento; allo stesso modo appaiono strumentali le interpretazioni dello stesso filosofo tedesco da parte dei cosiddetti anarco-capitalisti che ne vorrebbero fare un'icona del liberismo.

L'anarco-individualismo in Italia

Renzo Novatore, anarco-individualista italiano

Alla fine del XIX secolo gli individualisti italiani cominciarono a far sentire la propria "voce" con la politica del fatto più che con le parole: Giovanni Passannante (1878) attentò alla vita del Re Umberto I; Sante Caserio (1894) uccise il Presidente francese Sadi Carnot; Michele Angiolillo (1897) sparò al primo ministro spagnolo A.Canovas; Luigi Luccheni (1898) pugnalò a morte Elisabetta “Sissi” d'Austria; Gaetano Bresci (1900) uccise Re Umberto I.

Durante il fascismo molti atti individuali furono compiuti, o solamente progettati ma non portati a termine, per cercare d'uccidere Benito Mussolini. Tra questi vanno ricordati gli anarchici Gino Lucetti (condannato a 30 di galera per aver lanciato un ordigno contro il Duce), Michele Schirru e Angelo Sbardellotto (condannati entrambi a morte per aver progettato un attentato contro Mussolini). Sotto i colpi delle milizie fasciste perì invece Renzo Novatore, uomo d'azione e di pensiero, di cui rimangono numerosi scritti che ancora oggi mantengono la propria validità e modernità:

«L'anarchico è solo colui che dopo una lunga, affannosa e disperata ricerca ha trovato sé stesso e si è posto, sdegnoso e superbo "sui margini della società", negando a qualsiasi il diritto di giudicarlo. Ogni Società che voi costruirete avrà i suoi margini e sui margini di ogni Società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati, dai pensieri vergini e selvaggi che solo sanno vivere preparando sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli! Io sarò tra quelli!»

Gli "anni 60 e 70" portarono alla ribalta le tragiche vicende di Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda legate alla “strage di piazza Fontana[5]) e alla cosiddetta «strategia della tensione», in cui gli anarchici, particolarmente quelli legati alla corrente individualista, furono talvolta utilizzati e manovrati mediante l'utilizzo di infiltrati fascisti (vedi Mario Merlino e circolo anarchico 22 Marzo) e polizieschi.

Più recentemente, a cavallo tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo, molti individualisti, soprattutto la corrente insurrezionalista, salgono alla ribalta per alcuni atti d'"azione diretta" e per gli scritti insurrezionalisti di Alfredo Maria Bonanno.

Caratteristiche dell'individualismo anarchico

Definire l'anarco-individualismo è ben difficile, come ha giustamente scritto Émile Armand: «Non è facile trovare due individualisti con le medesime teorie». L'individualismo si oppone tenacemente alle correnti legate alla "sinistra politica" (soprattutto gli individualisti insurrezionalisti), principalmente all'anarco-comunismo e all'anarco-sindacalismo. Chiaramente questo pensiero non può essere confuso con le teorie conservatrici o reazionarie (a parte l'anarco-capitalismo che reazionario lo è di certo), visto che si oppone al capitalismo e a tutto ciò che da esso ne deriva (sfruttamento, oppressione, schiavitù ecc.).

L'individuo

L'individuo è la sola realtà e il solo parametro di valutazione della stessa. Rispetto agli individualisti liberali, gli anarco-individualisti concepiscono l'individuo come l'Unico, il reale, esistente, effettivo e differente da tutti gli altri Unici, per le proprie intrinseche peculiarità.

L'Associazione

La maggior parte degli individualisti distinguono la società dall'Associazione. Quest'ultima viene vista come uno strumento dell'individuo, mentre la prima è uno strumento d'oppressione dello stesso. La società "sacralizzata", in nome di questa "sacralità ", opprime gli individui, al contrario, la libera associazione serve gli individui, responsabilizzandoli e di fatto rendendoli effettivamente liberi. Un'associazione di egoisti dunque è pensabile solo se è un modo per soddisfare, unendo le forze, gli interessi individuali. L'associazione quindi, non deve diventare un dovere obbligatorio, permanente e superiore agli interessi degli individui. È molto importante distinguere, in questo, l'individualismo anarchico, da qualsiasi altra forma di individualismo fasullo, per coloro che aderiscono a questo indirizzo di pensiero filosofico. Indipendentemente dalle differenze stilistiche e linguistiche, adottate dai vari esponenti, e da una certa reticenza nell'autoproclamarsi e nel tracciare dei parametri definitivi, esistono, sicuramente, elementi comuni e costanti atti a definire, sul piano teorico e pratico una certa linea. La proprietà privata è da considerarsi come un nemico di tali aggregazioni, ad esempio. Un elemento incompatibile con la libera espressione individuale. Un'entità che aliena le persone, le rende conformiste ed estranee a loro stesse, falsificando ogni rapporto con gli altri. Nell'associazione i lavoratori sono qualcosa di molto simile a dei "liberi artigiani", (nel senso più ampio del termine) che, come autori del proprio operato divengono "padroni" dei loro rapporti di interdipendenza. Si può fare affidamento su tutto ciò che è spontaneo, senza mortificare l'istinto. L'auto-limitarsi crea incomprensione, false necessità e sicurezze inutili. Le reali forze produttive vengono, inoltre, pregiudicate, mistificate, laddove là libertà creativa è osteggiata. L'associazione deve essere piccola, informale, limitata, aperta, possibilmente federata e a tempo determinato.

Storia dell'individualismo anarchico

L'individualismo d'"azione"

Errico Malatesta, fautore, insieme a Carlo Cafiero della «propaganda col fatto» al congresso di Berna del 1876 dell'Internazionale antiautoritaria

Una prima affermazione ed un primo avallo autorevole all'individualismo d'azione avviene al Congresso internazionale anarchico di Londra nel 1881, presenti fra gli altri Kropotkin e Malatesta. Esso approva una risoluzione che teorizza non solo la «propaganda col fatto», sia individuale che di gruppo, ma anche i mezzi di questa propaganda, proponendo quindi il passaggio alla «lotta armata, violenta ed espropriatrice». Ciò è comprensibile oggi tenendo ben presente che il movimento anarchico di allora era pervaso dalla convinzione profonda che la rivoluzione fosse alle porte. Pertanto nel corso degli "anni Ottanta" esso finì per trascurare il lavoro organizzativo e implicitamente si trovò a perdere contatto direttamente con le masse popolari e specialmente con la classe operaia, che veniva contemporaneamente sempre di più guadagnata alla socialdemocrazia. È in questo quadro che va spiegata l'azione individualista degli attentati in Francia la prima metà degli "anni Novanta", azione il più delle volte sviluppata come risposta estrema e disperata di alcuni individui alla repressione feroce del governo della borghesia. Prodotto diretto delle convinzioni storiche del tempo, l'individualismo d'azione non esprime pertanto una consapevolezza teorica precisa. L'ideologia di questi attentatori non si riferisce quindi all'individualismo cosiddetto teorico; di fatto essi erano ben lontani dall'esigenza ideologica di distinguersi anche nei fini, come individualisti. Essi erano e rimanevano anarchici "generici" (se così si può dire) preoccupati più che altro di rispondere con la violenza, considerata giustiziera, alla violenza legalizzata e istituzionalizzata del potere. Questa ventata ebbe una vita breve perché, dopo il 1895, con la creazione delle Borse del Lavoro da parte di Fernand Pelloutier e dei suoi compagni, con la conseguente nascita dell'anarco-sindacalismo, il movimento anarchico ritrovò quel contatto organico con le masse perso negli "anni Ottanta". Inoltre, al suo interno, ridimensionata notevolmente la prospettiva "catastrofica" del processo rivoluzionario si veniva sempre di più distinguendo la corrente organizzatrice che, già dal 1891 con il Congresso di Capolago, per quanto riguarda l'Italia, tendeva di fatto a distinguersi nettamente dagli individualisti e dagli allora nascenti antiorganizzatori.

L'individualismo antiorganizzatore

Benjamin Tucker, individualista statunitense fautore dell'antiorganizzazione.
Paolo Schicchi, individualista siciliano

Finita l'era degli attentati che trovò soprattutto in Francia il suo epicentro, la storia dell'anarchismo registra ora la nascita quasi contemporanea di due tendenze individualiste: quella organizzatrice e quella antiorganizzatrice. Vediamo di analizzare le istanze teoriche di quest'ultima. Essa trova soprattutto in America del Nord un notevole seguito per opera del Galleani, che esprime una sintesi fra l'istanza puramente individualista di stampo anglosassone e americano (ben espressa negli scritti di Tucker) e quella profondamente socialista del movimento anarchico di lingua italiana. Questa commistione di elementi individualisti e comunisti - che caratterizza bene la corrente antiorganizzatrice - rappresenta lo sforzo di quanti avvertirono in modo estremamente sensibile l'invadente burocratismo che pervadeva il movimento operaio e socialista.

Anche qui - come per l'individualismo cosiddetto d'azione - non vi è una chiara consapevolezza teorica individualista, perché tutti coloro che si richiamarono a questa corrente furono individualisti in quanto furono antiorganizzatori. A parte lo Schicchi, personaggio troppo bizzarro e di per sé difficilmente inquadrabile, vi è per esempio tutta una serie di anarchici italiani che nel ribadire la loro fede comunista o in tutti i casi societaria, ripropongono di fatto metodi ed azioni che si richiamano all'individualismo. Un esempio lo possiamo trovare in Giovanni Gavilli, che riassume in sé sia l'istanza comunista (nei fini) sia l'istanza individualista (nei mezzi). La contraddizione, che potrebbe sembrare a prima vista insanabile, è in realtà una contraddizione continuamente superata dalla pratica quotidiana che pone di fatto gli antiorganizzatori sul terreno comune degli organizzatori: la lotta operaia e popolare. Pensiamo pertanto che sia per gli individualisti d'azione sia per gli individualisti antiorganizzatori non si possa parlare di una vera e propria dottrina individualista. I primi la praticarono con i fatti senza porsi vere e proprie pregiudiziali teoriche, i secondi posero una continua istanza di autonomia all'interno del processo rivoluzionario, pur confermando la loro concezione comunista della società: Luigi Galleani è forse l'esempio più significativo.

L'individualismo teorico

La nascita di una vera e consapevole corrente individualista avviene all'interno del movimento anarchico nei primi anni del Novecento. In Francia essi si raccolgono attorno al giornale L'Anarchie diretto interamente da Albert Libertad, che propugna lo stirnerismo ormai conosciuto e divulgato; in Italia si possono rintracciare a Milano anch'essi attorno al giornale «Il Grido della folla», a cui collaborarono soprattutto individualisti ed antiorganizzatori come Nella Giacomelli ed Ettore Molinari. Mentre in Italia tale movimento scemerà dopo il periodo giolittiano (nel primo dopoguerra gli individualisti ereditarono «Gli scamiciati» a Genova-Pegli, «L'individualista» a Milano e pochi altri fogli), in Francia esso continuò per opera soprattutto di Émile Armand e di altri individualisti di tendenza pacifista ed educazionista. Comune a tutti gli individualisti è la volontà di lottare contro ogni forma di autorità perché essa li opprime direttamente e non tanto perché opprime anche tutti gli altri. Da ciò consegue che l'anarchico individualista lotta in prima persona senza curarsi - in linea di principio - della lotta altrui, perché l'unico punto di riferimento giustificativo di tale lotta, l'unica certezza di valore dei suoi scopi, l'unico confronto obiettivo delle sue azioni e della sua strategia, è sempre e soltanto lui stesso e nessun altro, perché ogni diritto, come afferma Stirner, «non sta mai fuori o sopra di me... ma sotto di me».

l'en dehors, rivista anarco-individualista francese, diretta per lungo tempo da Émile Armand

Queste due proposizioni comportano ora una terza ed ultima definizione teorica che si qualifichi adesso rispetto alla concezione sociale degli individualisti. È Émile Armand a riassumerla esemplarmente: «La società è il prodotto addizionale degli individui». Questa proposizione significa che per gli individualisti la società non rappresenta oggettivamente una forza collettiva (come per esempio per Proudhon) che superi la semplice somma delle forze individuali. Non riconoscendo né sul piano analitico né su quello valutativo questo quid superiore, gli individualisti non possono che approdare ad una concezione atomizzata della società. Essa quindi si prefigura sul piano economico come una struttura di equilibrio che implica un libero ed equo scambio fra i produttori. Nella visione di Benjamin Tucker la proprietà privata non è abolita ma è ripartita fra ogni individuo il quale la rende funzionale al proprio diretto lavoro. Riprendendo l'idea proudhoniana del credito gratuito, egli propone l'abolizione di ogni monopolio, compreso quello dello Stato di battere moneta. Costruendo una banca che «opera senza capitale, col solo mezzo di una carta sociale che registri tutti servizi sociali e produttivi scambiati» si potrà ridurre «al solo costo di lavoro, ossia a meno dell'uno per cento, ogni credito, che potrà quindi essere esteso universalmente a tutti in base al proprio diretto lavoro». Nella fondamentale preoccupazione di mantenere completamente integra l'autonomia individuale, gli individualisti direttamente o indirettamente si facevano paladini della proprietà privata concepita sempre però come una emanazione del lavoro individuale sviluppato in prima persona, senza cioè salariati o dipendenti. In questo senso e con questa visione la proprietà privata finiva addirittura col diventare un presidio irriducibile della libertà e pertanto una lotta contro essa non aveva senso. Non è dunque nel regime del salariato che si trova l'origine dei mali sociali, perché essi sono «dovuti soprattutto alla mentalità difettosa degli uomini presi in blocco». Con questa concezione psicologica comune a quasi tutti gli individualisti, sì può capire il senso delle loro proposte operative che si basano su una radicale rivoluzione di coscienza, l'unica rivoluzione che non comporta ritorni o deviazioni. La rivoluzione individualista è dunque una rivoluzione che parte dalla coscienza per trasformare le cose e non viceversa. Sensibilissimi alla funzione dei rapporti umani, propugnano forse con maggior lucidità di ogni altra corrente anarchica la libertà dei rapporti sessuali considerati, giustamente, fondamentali per la crescita equilibrata ed armonica dell'uomo. Di qui la dimensione educazionista delle loro proposte, di qui l'alternativa stirneriana della rivolta permanente al posto della rivoluzione tesa a trasformare solo l'apparato istituzionale.

Modalità d'azione

L'individualismo anarchico s'oppone all'idea del “mito rivoluzionario”, visto come strumento potenzialmente repressivo. Essi credono che i movimenti rivoluzionari tendono ad essere ingabbiati in organizzazioni militarizzate e quindi ponendosi agli antipodi dei principi libertari. Spetta quindi all'individuo liberare sé stesso e rifiutare la società dominatrice.

Per molti essere individualisti significa vivere secondo i propri principi, rifiutando ogni collaborazione con le istituzioni e rifiutando tutte le idee che, con il pretesto di servire gli ideali libertari, non fanno altro che reprimere e dominare.

Essi propongono l'azione diretta, violenta (insurrezionalismo) o non violenta (è possibile che gli insurrezionalisti sostengano o compiano azioni non violente... nel senso che la violenza può essere utilizzata anche solo ed esclusivamente in determinati momenti strategici... ). L'azione non violenta può essere intesa in due modi: da una parte l'obiezione di coscienza (disobbedienza civile) e la rottura pratica con i principi di vita autoritaria e dall'altra la pedagogia libertaria (vedi Francisco Ferrer y Guardia).

Strategia sperimentale

La prima delle strategie proposte si basa sulla non sottomissione e la messa in pratica immediata dei modi di vita antiautoritari, accettando perfino determinate regole se queste non ledono il proprio modo d'essere. Quando, per esempio, lo Stato individua, determinate azioni come fossero un dovere, per esempio il «diritto-dovere del voto», egli rifiuta l'obbedienza, delegittimando l'autorità dello Stato.

Si tratta quindi di liberarsi e liberare spazi e uomini, poiché, come sosteneva Michail Bakunin, «maggiore è il numero delle persone libere, maggiore è la nostra stessa libertà», ovvero la libertà altrui incrementa la propria.

L'esperienza immediata della libertà passa, secondo gli individualisti, per la sperimentazione di vite e valori antiautoritari: alcuni intraprendono pratiche trasgressive; l'amore libero, il naturismo, il vegetarismo, i centri sociali ecc.

Strategie educazionali

Alcuni individualisti ritengono che la società non possa cambiare se prima non cambiano gli individui stessi. Non si può quindi concepire un sistema nuovo e libero, secondo gli educazionisti, senza la formazione di un uomo nuovo ottenuto con un sistema educativo libero e indipendente dall'influenza della Chiesa e dello Stato.

Note

  1. Testo scaricabile liberamente
  2. Rudolf Rocker, Paul Avrich Collection (Library of Congress), Rocker Publications Committee, 1949. Original from the University of Michigan. p. xx
  3. Frank H. Brooks, The Individualist Anarchists: An Anthology of Liberty (1881–1908), Transaction Publishers (1994), p. 4
  4. Lillian Symes and Travers Clement, Rebel America: The Story of Social Revolt in the United States. New York: Harper & Brothers Publishers, 1934; pg. 156
  5. Strage Piazza Fontana

Bibliografia

  • Claudio Balestri [1] Cronologia di un anarchico, Tintino Persio Rasi, cenno biografico e tentativo di ordinamento cronologico della vita del sovversivo alias Auro o Tatiano d'Arcola, Gold O' Bay, Carlo Carli, Crespellano 2009.
  • Massimo Novelli, La furibonda anarchia, Bra (CN), Araba Fenice, 2007
  • Max Stirner, L'unico e la sua proprietà, edizione 1921, Fratelli Bocca Editori
  • Max Stirner, L'Unico, versione dal tedesco con introduzione di E. Zoccoli (Torino 1902, 1909, 1921, 1944)
  • Max Stirner, Il falso principio della nostra educazione. Le leggi della scuola, con introduzioni di J. Barrué e una bibliografia di A. M. Bonanno (Catania 1982)
  • Francesco Pellegrino, Libertà estrema: le ultime ore dell'anarchico Bruno Filippi, DeriveApprodi Editore,
  • Bruno Filippi, I grandi Iconoclasti. Scritti postumi
  • Henry David Thoreau, Disobbedienza civile (titolo originale: Civil Disobedience), o Resistenza al governo Civile (Resistance to Civil Government), 1849
  • Henry David Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi (titolo originale: Walden; or, Life in the Woods), o semplicemente Walden, 1854
  • Henry David Thoreau, Apologia per John Brown (titolo originale: A Plea for Captain John Brown), 1859
Note bibliografiche
  1. Claudio Balestri è discendente di Tintino Persio Rasi.

Voci correlate

Collegamenti esterni