Anarchismo

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Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Albero dell'Anarchismo e Anarchia.
Buenaventura Durruti, figura di spicco dell'anarchismo spagnolo, ebbe un ruolo fondamentale tanto nel periodo pre-rivoluzionario quanto in quello rivoluzionario vero e proprio. Morì assassinato in battaglia nel novembre 1936.

Anarchismo è un termine generico che descrive diverse filosofie politiche e movimenti sociali che propongono lo scioglimento di tutte le forme di governo e gerarchia sociale. Al posto di strutture politiche e poteri economici centralizzati questi movimenti favoriscono relazioni sociali basate su interazioni volontarie e sulla gestione autonoma, aspirando ad una società caratterizzata da autonomia e libertà. Queste filosofie utilizzano il termine anarchia per significare una società basata sull'interazione volontaria di individui liberi, e sull'idea che le comunità e gli individui abbiano un potere decisionale nelle scelte proporzionato al grado in cui sono coinvolti dai risultati di tali scelte.

Come movimento politico l'anarchismo nasce nel corso del XIX secolo, affondando le sue radici nell'Illuminismo, e si sviluppa poi nel secolo successivo. Dare un quadro del pensiero anarchico e delle pratiche libertarie non è facile perché da un lato non si può, nel caso dell'anarchismo, ricondurre tutte le sue manifestazioni all'attività di un solo teorico e, dall'altro, perché esse sono lontane dall'essere espressione di una ideologia fissa.

Abitualmente ci si riferisce a Stirner, Pierre Joseph Proudhon e Bakunin come ai tre principali teorici di questa corrente di pensiero. Ciò in realtà è vero solo in parte perché, per quanto riguarda Stirner, il suo pensiero rimane fino alla fine del XIX secolo praticamente sconosciuto fuori dalla Germania e totalmente estraneo alla nascita del movimento libertario propriamente detto.

Quanto a Proudhon, che può essere considerato giustamente come il "padre dell'anarchismo", il suo pensiero ha subito anche lunghi momenti di oblio ed è stato oggetto, in alcuni casi, di grossolane deformazioni. Per quanto riguarda Bakunin, se la sua influenza è diretta e decisiva sul movimento libertario, questo prende il suo slancio ed assume le sue caratteristiche solamente dopo la morte.

In realtà, le idee anarchiche sono conosciute essenzialmente attraverso l'opera dei suoi discepoli, come Pëtr Kropotkin ed Errico Malatesta, che non esitano su punti importanti a modificare, precisare, allargare l'eredità bakuniniana approdando esplicitamente al comunismo libertario.

Sul piano filosofico e delle idee, l'anarchismo può essere considerato come la manifestazione più estrema del processo di laicizzazione del pensiero occidentale che approda al rifiuto di ogni forma d'autorità esterna o superiore agli uomini, sia essa "divina" o umana, e al rifiuto di tutti i principi che, in tempi, forme e con modalità differenti, sono stati utilizzati dalle classi dominanti per giustificare la loro dominazione sul resto della popolazione.

Sul piano politico e sociale, l'anarchismo si ritiene continuatore dell'opera della Rivoluzione Francese, attraverso la realizzazione, accanto all'eguaglianza politica, di una vera eguaglianza economica e sociale; eguaglianza che nella società borghese si realizza attraverso la lotta contro il capitalismo e per l'abolizione del salariato. Questo, almeno, per ciò che riguarda l'anarchismo europeo, tradizionalmente orientato in senso socialista e rivoluzionario.

Etimologia ed origine storica

Jacques Pierre Brissot definiva gli Enragés «anarchici», per sottolineare la loro ostilità ad ogni forma di autorità.

Il termine "anarchismo" deriva dal greco ἀναρχία (an prefisso negativo "senza" e archéin "principiare", "governare"). Quindi letteralmente «mancanza di principio, di causa, di governo» ed il suffisso "ismo" designa la relativa dottrina.

I termini anarchia e anarchici furono utilizzati per la prima volta dal girondino Brissot nel 1793 (in piena rivoluzione francese), che così definiva la corrente politica degli Enragés (Arrabbiati). Erano il gruppo rivoluzionario più radicale del periodo e criticavano ogni forma d'autorità, da qualunque parte essa provenisse. Solo con Proudhon il termine anarchia comincerà ad assumere una connotazione positiva, grazie al suo celebre saggio Che cos'è la proprietà?.

Quindi, Anarchia e Anarchismo, nella loro accezione storica, si devono considerare come sinonimi di opposizione ad ogni forma di autorità, che è il principio attraverso cui un qualsiasi governo si regge, e tutto ciò che ad esso consegue, primo tra tutti il rapporto tra «comandare e obbedire».

Gli anarchici non professano affatto l'assenza di ordine, di regole e/o di strutture organizzate, ma un ordine libero, fondato sulle diversità individuali, laddove ciascun individuo agisce in piena autonomia e autoresponsabilità, rifiutando ogni forma di autoritarismo.

Talvolta, nell'accezione più comune, o in chiave provocatoria, si tende a utilizzare il termine "anarchia" o "anarchismo" in senso negativo come sinonimo di caos (con tutto il rispetto per la omonima teoria scientifica), di guerre civili e di situazioni di disordine sociale, insomma una condizione di "anomia" sociale.

Per evitare ogni confusione, che pregiudicherebbe la comprensione delle idee anarchiche, gli anarchici utilizzano talvolta il termine di "acrazia" [sempre dal greco "Kràtos = potere, dominio"] o ancorpiù il termine "libertario" (= sostenitore della libertà come valore fondamentale), entrambi termini come sinonimi di anarchico.

Origini dell'anarchismo

Elementi anarchici sono stati sempre presenti nella storia dell'umanità, a partire dalle società gilaniche del neolitico fino a tutti coloro che sono catalogati come precursori dell'anarchismo.

"Ufficialmente", dal punto di vista storico, il movimento anarchico "vero e proprio" si è però sviluppato in seno al movimento operaio in quanto espressione – al pari delle altre correnti socialiste – della protesta dei lavoratori contro lo sfruttamento moderno. Su questo punto, esso può essere considerato come una reazione radicale alla condizione operaia del XIX secolo, caratterizzata dalla forte gerarchizzazione del salariato e dalla netta divisione in classi della società. Dalla loro nascita, tuttavia le idee anarchiche entrano in conflitto sia con le concezioni riformiste del socialismo (che sostenevano la possibilità di cambiare "progressivamente" le basi inegualitarie della società capitalista) che con le concezioni marxiste, in particolare per quanto riguarda l'uso della dittatura come mezzo rivoluzionario.

Specificità della dottrina anarchica

L'obiettivo della teoria anarchica è la nascita di una società di uomini liberi e uguali. Libertà ed eguaglianza sono i due concetti-chiave attorno ai quali si articolano tutti i progetti libertari.
In quanto socialisti, gli anarchici sostengono il possesso collettivo dei mezzi di produzione e di distribuzione. In quanto libertari, essi pensano che la libertà dispieghi il suo reale significato in quanto accompagnata dall'eguaglianza. Libertà ed eguaglianza devono essere "concrete", cioè sociali e fondate sul riconoscimento uguale e reciproco della libertà di tutti.

Bandiera rosso-nera, due simboli anarchici

La libertà dell'individuo infatti non è limitata ma confermata dalla libertà altrui. "Sono partigiano convinto dell'eguaglianza economica e sociale – ha scritto Bakunin – perché so che al di fuori di questa eguaglianza, la libertà, la giustizia, la dignità umana, la moralità e il benessere degli individui così come la prosperità delle nazioni non saranno nient'altro che menzogne; ma, in quanto partigiano della libertà, questa condizione primaria dell'umanità, penso che l'eguaglianza debba stabilirsi attraverso l'organizzazione spontanea del lavoro e della proprietà collettiva delle associazioni dei produttori liberamente organizzate e federate nei comuni, non attraverso l'azione suprema e tutelare dello Stato".

Bandiera nera anarchica

Per realizzare una tale società, gli anarchici ritengono indispensabile combattere non solo le forme di sfruttamento economico ma anche quelle di dominazione politica, ideologica e religiosa. Per gli anarchici, tutti i governi, tutti i poteri statali, quale che sia la loro composizione, origine e legittimità, rendono materialmente possibile la dominazione e lo sfruttamento di una parte della società sull'altra. Secondo Proudhon, lo Stato non è che un parassita della società che la libera organizzazione dei produttori e dei consumatori deve e può rendere inutile. Su questo punto le concezioni anarchiche sono totalmente divergenti sia dalle concezioni liberali – che fanno dello Stato l'arbitro necessario ad assicurare la pace civile – che da quelle marxiste-leniniste – che intendono utilizzare il potere politico e dittatoriale di uno stato "operaio" per sopprimere gli antagonisti di classe.

Per la critica anarchica, il ricorso ad una dittatura, definita proletaria, non ha condotto al deperimento dello Stato ma allo sviluppo di una enorme burocrazia fonte di soffocamento della vita sociale e della libera iniziativa individuale. D'altra parte, fino alla sua caduta, proprio a tale burocrazia venivano imputate le ineguaglianze e i privilegi nei paesi dell'Est dove pure avevano abolito la proprietà capitalista. Come già aveva sottolineato Bakunin nella sua polemica con Marx «La libertà senza eguaglianza è una malsana finzione [...] L'eguaglianza, senza libertà, è il dispotismo dello Stato e lo Stato dispotico non potrebbe esistere per un solo giorno senza avere almeno una classe sfruttatrice e privilegiata: la burocrazia».

Al modo di organizzazione della vita sociale governativo e centralizzatore, i libertari oppongono un modo di organizzazione federalista che permetta di sostituire lo Stato, e tutta la sua macchina amministrativa, attraverso la presa in carico collettiva da parte degli stessi interessati di tutte le funzioni inerenti alla vita sociale che si trovano precedentemente monopolizzate e gestite da organismi statali, posti al di sopra della società.

Il federalismo, in quanto modo di organizzazione, costituisce il punto di riferimento centrale dell'anarchismo, il fondamento e il metodo sul quale si costruisce il socialismo libertario. Il federalismo così inteso ha ovviamente ben poco a che vedere con le forme conosciute di federalismo politico praticato da un buon numero di Stati. Per i libertari non si tratta di una semplice tecnica di governo ma di un principio di organizzazione sociale a sé stante, capace cioè di inglobare tutti gli aspetti della vita di una collettività umana.

I momenti basilari dell'azione filosofico-politica anarchica [1]

La A cerchiata, simbolo dell'anarchia

Possiamo definire tre momenti basilari dell'azione filosofico-politica anarchica:

  • il momento critico della realtà sociale;
  • il momento di oggettivazione della critica tramite la prassi rivoluzionaria;
  • il momento propositivo, progettuale d'una nuova configurazione sociale.

Questi tre passaggi costituiscono il fulcro inseparabile dell'anarchismo. L'anarchismo rifiuta ogni machiavellismo politico nella sua azione, infatti, i mezzi usati per attuare la liberazione dell'uomo debbono essere coerenti con il fine (vedi coerenza mezzi-fini). I mezzi vengono di volta in volta derivati dalla oggettività storico-sociale, all'interno della quale l'anarchismo si trova ad operare concretamente. Essi si adeguano, mutano, possono coesistere all'interno di stesse realtà, sono di fatto immanenti, ma debbono, per conservare la qualifica di mezzi-strumenti di liberazione rifarsi ad una unica entità o nucleo forte non suscettibile di modificazioni storico-sociali. La coesistenza di una pluralità di vie (di diverse possibilità) tutte tendenti alla liberazione (anarchica), tutte gravitanti attorno ad un unico centro, costituisce il freno ad ogni svolta totalitaria della teoria anarchica. Di fatto, in questo modo, è impossibile stabilire su un piano veritativo l'esistenza di un metodo (anarchico) unitario di interpretazione della realtà dal momento che l'anarchismo postula l'esistenza contemporanea di più possibili interpretazioni della realtà. Si può quindi affermare che il punto centrale dell'anarchismo, al di là di perseguire un generico fine (la costruzione della società dei liberi ed uguali), sia la sua struttura pluralistica. Essa diviene non semplicemente affermazione di principio, ma punto fondante la metodologia anarchica, ossia dell'approccio anarchico con la realtà. In questo senso il pluralismo non è solamente l'antitesi della coercizione e della centralizzazione (quindi fattore meramente sociale), ma momento metodologico fondante l'anarchismo. Una interpretazione della realtà rientra nel variegato mondo dell'anarchismo se, oltre a rispettare le premesse, è di fatto pluralista, ossia non si autoproclama come interpretazione veritativa della realtà ma, al contrario, solamente una delle possibili interpretazioni della stessa. In tal modo il divenire storico dell'anarchismo (la sua esistenza) è un fatto empirico, sperimentale, di volta in volta verificabile e ristrutturabile, non un fatto dogmatico. L'anarchismo, infatti, persegue un fine determinato (anche se generalissimo) ma non determina il mezzo per il suo raggiungimento. Lo strumento per edificare concretamente la società anarchica è dunque rapportato ad una trasformazione sociale individuata in termini di processi di mutamento e di conseguenza tendente a elaborare una strategia su più fronti. In questo contesto non esiste un unico mezzo per arrivare al fine, per meglio dire, non è pensabile un'unica linea di tendenza fondante l'intervento dell'anarchismo nella realtà sociale. L'esistenza dell'anarchismo assume la configurazione di imperativo ipotetico; mutando determinate condizioni esso può venir modificato senza venir meno alla sua caratteristica anarchica. Infatti, esso non ha valore di per sé, ma soltanto riferito alla realizzazione del fine. La metodologia è definibile come essenza dell'anarchismo ed il suo contenuto come esistenza dello stesso. La suddivisione qui proposta diviene intelligibile tenendo conto della postulazione volontaristica dell'anarchismo. Esso infatti, in quanto corpo dottrinale antidogmatico e pluralista, non può ammettere una razionalità sinottica ma, al contrario, si fonda su una razionalità limitata. In questo senso l'anarchismo non ammette una capacità di analisi globale ed onnicomprensiva della realtà sociale e, conseguentemente a ciò, un dato a cui fare riferimento; detto in altri termini, è inconcepibile nella concezione anarchica l'esistenza di una teoria globale della società a cui fare riferimento. Quindi l'anarchismo nel suo divenire storico si rifà solamente a teorizzazioni parziali; perciò la teoria anarchica non può venir definita razionalistica o scientifica (come ad esempio il marxismo) ma volontaristica. L'anarchismo di volta in volta sperimenta fra le varie alternative dettate dalla volontà umana e non attua un dato o stato di natura prestabilito. L'anarchismo, dunque, nella sua componente contenutistica, non può venire definito come l'attuazione graduale di un ordine prestabilito delle cose, ma piuttosto come momento empirico di ricerca e sperimentazione (sociale). Esso non postula un punto statico e presupposto d'arrivo (una marxiana "risoluzione di ogni antagonismo"), ma si definisce di volta in volta come negazione del dominio; il tal senso l'anarchismo è costante conflitto e negoziazione fra varie alternative (tutte tendenti verso il fine volontaristico dell'essere liberi). L'anarchismo non individua un dato (contenutistico) a cui fare riferimento e quindi si caratterizza come ricerca e sperimentazione. Ma la ricerca e la sperimentazione dell'anarchismo (contenutistico) deve sottostare ad un dato (metodologico) non modificabile. È l'adoperare un metodo antidogmatico e pluralista nel proprio divenire storico, che caratterizza l'essere anarchica di una teoria o l'essere anarchico di un movimento politico. La caratterizzazione metodologica in senso anarchico di una teoria avviene sia rispetto al momento propositivo di critica sociale (aspirazione ad una società di liberi ed eguali) sia rispetto al momento di oggettivizzazione della critica (quindi di strutturazione di un movimento politico tendente al nuovo assetto sociale). In questo senso possiamo individuare nella metodologia anarchica una duplice valenza; da un lato essa è momento propositivo e discriminante nei confronti dei movimenti tendenti alla liberazione, quindi metodologia "politica"; dall'altro è metodologia "scientifica" rispetto allo studio dei fenomeni sociali ed in particolare del rapporto individuo/Stato.

L'anarchismo non è un'ideologia [1]

Al pari del mondo delle scienze, la struttura ideologica si fonda sulla posizione di ipotesi interpretative della realtà, ipotesi non necessariamente frutto di una osservazione empirica della stessa, ma protese ad offrire alla realtà una rappresentazione funzionale ad operare sulla stessa, tanto da individuare (e fondare sull'ipotesi assunta) delle leggi di evoluzione della realtà, attraverso le quali prevederla e, quindi, dominarla. Ma si tratta a ben vedere di leggi (scientifiche) a cui si attribuisce (o si può attribuire) un valore universale soltanto offuscando (o dimenticando) la loro radice particolare, in quanto fondata fermamente ed esclusivamente nell'ipotesi convenzionalmente assunta. In questo senso, la struttura ideologica si riconnette «con la pretesa razionalistica che postula da un lato la riduzione di ogni forma di sapere umano alla conoscenza scientifica e che dall'altro, dimenticandone la natura convenzionale, vagheggia un padroneggiamento della natura e della storia da parte dell'uomo/scienziato». [2] Così intesa, l'ideologia si presenta quale teoria interpretativa della realtà, teoria che prende le mosse da ipotesi convenzionalmente assunte e che dalle stesse si sviluppa per deduzione. In questo senso, l'ideologia, semplificando e racchiudendo la realtà all'interno delle convenzioni che le sono proprie, se si sviluppa in modo corretto rispetto agli assiomi che la caratterizzano e la distinguono dalle altre ideologie, produce un discorso scientifico sulla realtà, dotato (avuto riguardo alle proprie ipotesi) di senso. Se poi tali sviluppi potessero ritrovare verificazione empirica, la teoria (ideologia) dimostrerebbe la sua efficacia operativa attraverso il dominio della realtà e risulterebbe, perciò, una teoria valida anche da punto di vista empirico.

L'anarchismo potrebbe venire assimilato ad un'ideologia, nel momento in cui si sviluppasse dall'assioma irrinunciabile e, quindi, non problematizzabile, per il quale, ad esempio, l'essere umano, liberato dal giogo dell'oppressione, risulterebbe intrinsecamente buono; esplicitamente verrebbe, infatti, attribuita la causa di ogni male alla società concreta, al contesto sociale ed alle sue articolazioni istituzionali, che l'anarchismo di volta in volta critica. Pertanto, ogni costruzione ideologica appare intrinsecamente non anarchica, nel momento in cui si costituisce su enunciazioni non problematicizzabili e, quindi, assumibili solo quali dogmi (dogmatismo), attraverso i quali si tenta una operazione di dominio (nel senso di spiegazione e previsione) sulla realtà (determinismo); nel nostro caso, la realtà sociale che viene rappresentata in funzione dell'operazione prefissata. L'anarchismo, se vuole porsi come pensiero di libertà, non può in nessun modo assumere connotati ideologici perché la stessa struttura ideologica, attraverso la posizione di ipotesi non problematicizzabili, si pone quale limitazione della libertà; va, dunque, rigettata ogni prospettiva ideologica proprio al fine di far emergere l'anarchismo, quale irriducibile forma di critica (an-arcos).

Le ideologie marxista e liberale

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Il marxismo come ideologia borghese (di Murray Bookchin).
Copertina di Contro l'anarchismo, raccolta di scritti di Marx ed Engels, Edizioni Rinascita, Roma, 1950

L'anarchismo, in quanto movimento di pensiero che rifugge il dogmatismo, evita di costituirsi in una teoria, ove per la stessa si intenda una serie di concatenate deduzioni a partire da un insieme di assiomi ipoteticamente posti ed in quanto tali indiscutibili. L'anarchismo, non costituendosi in teoria, non si pone di fronte alla complessità sociale con intenti scientifici. L'anarchismo si distingue perciò profondamente dall'altra anima del pensiero socialista, il marxismo, che non a caso si autodefinisce socialismo scientifico. Né l'anarchismo si ricollega in ciò con il liberalismo, il quale, sia pure con i dovuti distinguo, si pone anch'esso quale teoria scientifica della realtà.

Il domino della realtà circoscritta dall'indagine avviene, come accennato, attraverso l'assunzione di ipotesi interpretative della stessa, ovvero rappresentandola in funzione dell'operazione che si deve svolgere. Attraverso la teoria la realtà viene semplificata, dato che la sua complessità viene ridotta nelle ipotesi; una realtà così semplificata è prevedibile attraverso l'individuazione delle leggi che la regolano.

Il marxismo e il liberalismo, che proprio a causa della loro struttura ideologica si pongono quali teorie scientifiche della realtà sociale, si propongono anzitutto di offrire spiegazioni scientifiche della realtà sociale e della sua evoluzione, ritenendo di aver individuato le leggi che ne regolano obiettivamente i movimenti. Marxismo e liberalismo, sia pur con i distinguo del caso, si autoproclamano quali approcci scientifici alla realtà sociale e, conseguentemente, quali momenti di analisi sociale obiettiva. Il socialismo marxiano e marxista amerebbe essere di per sé stesso scienza, nel momento in cui propone come spettro d'osservazione e d'analisi della realtà sociale il suo materialismo dialettico, da cui consegue il determinismo storico da esso propugnato; il liberalismo, appoggiandosi all'economia politica classica, utilizza la scienza economica come chiave di lettura (scientifica) della realtà. Entrambe le prospettive politiche qui richiamate formulano od utilizzano leggi scientifiche che si pongono come necessarie, in quanto a queste non si danno alternative razionalmente accettabili. Sono leggi che spiegano oggettivamente l'andamento dei fenomeni sociali nello stesso modo in cui le leggi fisico-matematiche spiegano i fenomeni naturali e ne prevedono l'evoluzione. Il più delle volte queste ideologie politiche di chiara ispirazione scientifica deviano dalla retta metodologia, assumendo, come detto, le proprie ipotesi quali verità incontrovertibili (ovvero contrabbandandole quali verità di principio, le quali a ben vedere hanno tutt'altra natura da quelle ipotetiche, essendo autoevidenti). La deriva scientista marxista, in particolare, proclama, di fatto, la sua particolare interpretazione della realtà quale verità assoluta, in quanto derivata da un'analisi scientifica sviluppatasi da proposizioni ipotetiche, che però vengono dogmaticamente assunte.

Benché il marxismo e il liberalismo non si propongano, in prima istanza, quali scelte valoriali, presentano entrambi al loro interno delle norme ideali verso le quali attrarre i concreti comportamenti sociali e con cui allo stesso tempo censurare quelli che da queste si allontanano palesemente (da cui i richiami alla giustizia sociale, all'eguaglianza, al valore assoluto della libertà e così via). In questo senso, sia il materialismo storico che le teorie della mano invisibile appaiono costruzioni interpretative della realtà funzionali alle operazioni che sulla stessa si vogliono compiere (dalla rivoluzione proletaria alla vigenza di un libero mercato), e la (s)piegano entro gli spazi, in vero angusti, della loro rispettiva teoria, sì da ritrovare nella stessa, con l'utilizzo ognuna del proprio e particolare spettro, costanti conferme delle ipotesi di partenza, ipotesi che, in quanto assiomi teorici, sono sottratte alla discussione.

L'anarchismo non è un'utopia [1]

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Utopia (concetto).

« Le utopie autoritarie del XIX secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. Tahiti di Diderot o Notizie di Morris ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti. »

~ Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso Utopia
bolo'bolo è un romanzo dello svizzero Hans Widmer, conosciuto come «p.m.»

L'utopia è «un ordine nuovo che si contrappone al presente disordine, come alternativa globale. Quanto più si accentua la valenza operativa dell'utopia, tanto più precisa si delinea la sua pretesa di costituire un'alternativa globale del presente, immediatamente identificato col negativo, con ciò che deve essere totalmente rifiutato e soppresso». [3] Una prospettiva utopica non accetta pertanto alcun accomodamento parziale, non mira a riformare la realtà in quanto non accetta compromessi con l'esistente, il suo compito è quello di rivoluzionarlo; la prospettiva utopica non si pone il problema del miglioramento dell'esistente, esige il bene assoluto. In questo senso, «l'utopista rifiuta la possibilità di una riforma, perché non riconosce alternative parziali». [4] A differenza della prospettiva ideologica, l'utopia nel suo irriducibile moto di negazione non sottopone, a ben vedere, a critica la realtà esistente; si limita, per l'appunto, a negarla nella sua interezza, perorando la causa di una realtà totalmente altra e nuova rispetto all'esistente; un'utopia in cui l'ordine preconizzato regnerà nella sua assoluta perfezione. La struttura utopica preconizza lo speculare rovesciamento dell'esistente nell'auspicio che in tale radicale cambiamento il disordine si tramuti in ordine.

Se fosse privo di una riflessione intorno ad una intelaiatura giuridica non autoritaria (ma così non è: vedi diritto), l'anarchismo si potrebbe strutturare soltanto come una sorta di ideologia dagli esiti utopistici, che presupporrebbe ed attenderebbe, quale protagonista delle proprie vicende, un uomo nuovo sorto dalle ceneri della società oppressiva, che veleggia verso lidi contrassegnati, una volta approdato nel "paese della cuccagna" [5], dalla assoluta libertà e dalla altrettanta assoluta uguaglianza.

Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'anarchismo [6] va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'anarchismo depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'anarchismo un genuino (in quanto dialettico) approccio critico alla realtà sociale.

È stato sottolineato che lo stesso «Malatesta sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». [7] Pare, invece, che proprio Malatesta riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo. [8] Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.

Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'anarchia non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna archia (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, Ucraina libertaria e Rivoluzione spagnola); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un sistema capitalistico, il suo essere anarchico.

L'organizzazione anarchica

Vignetta che raffigura l'ostilità degli anarchici nei confronti di ogni autorità e gerarchia.

Il pensiero anarchico è dunque ben lontano dal negare il problema dell'importanza dell'organizzazione, ma esso si pone come obiettivo un'altra forma di organizzazione con la quale rispondere agli imperativi collettivi. Alla base, il federalismo si poggia sull'autonomia dei lavoratori e delle industrie così come delle comuni. Gli uni e le altre si associano per garantirsi vicendevolmente e per provvedere ai bisogni individuali e collettivi. Così, se l'autogestione nelle imprese rende possibile la sostituzione del salariato con la realizzazione del lavoro associato, l'organizzazione federativa dei produttori, delle comuni, delle regioni permette la sostituzione dello Stato.

Essa intende presentarsi come il complemento indispensabile per la realizzazione del socialismo e la migliore garanzia della libertà individuale. Il fondamento di tale organizzazione è il contratto, uguale e reciproco, volontario, non "teorico" ma effettivo, che si può modificare per volontà dei contraenti (associazioni dei produttori e dei consumatori ecc.) e capace di riconoscere il diritto di iniziativa di tutti i componenti della società.

Così definito, il contratto federativo permette di precisare anche i diritti e i doveri di ciascuno e di sviluppare i principi di un vero diritto sociale in grado di regolamentare gli eventuali conflitti che possono sorgere tra individui, gruppi o collettività, o anche fra regioni, senza per altro rimettere in causa l'autonomia dei suoi componenti, il che permette all'organizzazione federalista di opporsi tanto al centralismo che al "lasciar fare" dell'individualismo liberale.

Secondo gli anarchici tuttavia una tale organizzazione non può pretendere di sopprimere tutti i conflitti ed essi potranno continuare a prodursi a tutti i livelli anche nella società federalista. Tuttavia il federalismo costituisce un metodo per risolvere le questioni sociali nel rispetto della massima libertà di ciascuno senza dar ricorso ad arbitraggi governativi possibili fonti di nuovi privilegi.

L'azione anarchica

Per gli anarchici esiste un legame indissolubile tra il fine perseguito e i metodi adoperati per raggiungerlo. Tuttavia essi pensano che il fine non giustifica i mezzi e che questi ultimi devono sempre, nella misura del possibile, essere in accordo con il fine perseguito.

Lo scopo dell'azione anarchica non vuole essere in alcun caso la "conquista" del potere o la gestione dell'esistente. Nel 1872, il Congresso internazionale di St.Imier, in Svizzera, dette ufficialmente vita alla Internazionale antiautoritaria branca antiautoritaria dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (A.I.T.) in opposizione alle tesi marxiste. In quella sede si affermò che il primo dovere del proletariato non è la conquista del potere politico ma la sua distruzione.

L'approccio dei libertari è quello di opporre soluzioni sociali alle soluzioni politiche dimostrandosi con ciò non politici ma antipolitici. D'altra parte, storicamente, i libertari hanno sempre considerato almeno con scetticismo l'idea di poter utilizzare l'arma elettorale o il parlamentarismo per mutare le condizioni di vita in seno alle democrazie borghesi. All'azione politica e parlamentare, tesa alla conquista del potere, essi preferiscono l'azione diretta di massa, vale a dire l'autogestione generalizzata e senza deleghe di potere.

Manifestazione antifascista: l'azione diretta è una prerogativa dell'anarchismo.

I libertari ritengono che per i lavoratori la pratica dell'azione diretta, e in particolare dello sciopero, sia anche il migliore e più efficace mezzo di lotta. Essi propagandano inoltre l'autorganizzazione e l'azione collettiva e autonoma dei lavoratori.

Gli anarchici non sono e non aspirano a divenire un'avanguardia o a svolgere un ruolo dirigente, poiché ritengono che non esista nessuno che può occuparsi dei propri affari meglio dell'interessato stesso. Ma perché ciò sia possibile occorre che i lavoratori prendano coscienza di ciò che Proudhon ha definito la "loro capacità politica". I lavoratori rappresentano la forza reale di una società e solo da essi può venire una sua trasformazione profonda. L'azione anarchica ha sempre mirato, prima di ogni altra cosa, alla difesa degli sfruttati e appoggia tutte le rivendicazioni che vanno nel senso di un miglioramento delle condizioni di vita e del progresso sociale.

Numerosi libertari hanno visto nelle organizzazioni sindacali non soltanto degli organismi di difesa degli interessi dei salariati, ma anche una potenziale forza di trasformazione sociale. Da questo punto di vista, il federalismo libertario non può essere realizzato senza il concorso attivo dei sindacati operai poiché, da una parte, questi ultimi sono qualificati ad organizzare la produzione e, dall'altra, essi hanno il vantaggio di raggruppare i lavoratori in quanto produttori. Da un punto di vista libertario, un'organizzazione sindacale deve, nel suo funzionamento come nei suoi principi:

  • cercare di mantenere la sua autonomia nei riguardi di tutte le organizzazioni politiche che vorrebbero controllarla e nei riguardi dello Stato;
  • praticare il federalismo e una vera democrazia diretta, sole garanzie solide contro ogni forma di burocratizzazione;
  • darsi contemporaneamente l'obiettivo di ottenere la soddisfazione delle rivendicazioni immediate, materiali, e di preparare i lavoratori ad assicurare la gestione della produzione nel futuro.

Quest'ultimo punto è assai importante poiché, per gli anarchici, il sindacato e l'azione sindacale non sono e non possono essere considerati come una finalità in sé. La sua autonomia non deve significare "neutralità " nei riguardi del potere o dei partiti perché ciò significherebbe perdere una gran parte delle sue potenzialità di cambiamento e di rottura. Gli anarchici ritengono che il sindacato, se non vuol cadere nel tradeunionismo, si doti di un programma di trasformazione sociale e di una pratica conseguente.

L'azione sindacale non è tuttavia il solo mezzo di lotta di cui dispongono i lavoratori, che possono e devono, secondo le circostanze dotarsi delle forme organizzative e di resistenza che paiono loro utili e opportune.

L'anarchismo di ieri e di oggi

L'influenza esercitata dal movimento libertario sul movimento operaio è stata notevole, anche se oggi viene spesso trascurata. Gli anarchici rappresentano una parte a sé stante del movimento sindacale e operaio internazionale, e la loro presenza si rintraccia in tutti i movimenti rivoluzionari, del XIX e del XX secolo, come la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione russa del 1917 e la rivoluzione spagnola del 1936.

L'influenza delle idee anarchiche si è soprattutto manifestata in maniera significativa in senso alle organizzazioni sindacali come la CGT in Francia, l'Unione Sindacale Italiana in Italia, la CNT in Spagna, ma anche la FORA in Argentina, le IWW negli Stati Uniti, la FAU in Germania o la SAC in Svezia. Basti pensare che nel 1922 l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), che raggruppava le organizzazioni anarcosindacaliste che avevano rifiutato di aderire all'Internazionale bolscevica, contava più di un milione di aderenti.

Bandiera IFA - FAI

L'anarchismo ha tuttavia conosciuto nel corso degli anni '20 e '30 un periodo di crisi. Se la rivoluzione russa apre in Europa e nel mondo una nuova fase rivoluzionaria, contemporaneamente in molte nazioni, anche in opposizione al bolscevismo, emergono e si affermano movimenti di tipo fascista. In particolare il movimento libertario si trova al centro di un doppio attacco. Eliminato in Russia dalla repressione prima leninista e poi staliniana, esso deve far fronte ai metodi staliniani in seno al movimento operaio e sindacale anche negli altri paesi.

Il mito della rivoluzione bolscevica e l'atteggiamento dei vari partiti comunisti occidentali provocano una crescente marginalizzazione dell'influenza anarchica. D'altra parte laddove le organizzazioni sono rimaste forti, esse vengono annientate dalla reazione fascista. In Italia, in Germania, in Argentina, in Bulgaria, ovunque il fascismo trionfa, il movimento anarchico è ridotto al silenzio, e i suoi militanti spesso assassinati o costretti all'esilio.

In generale si può dire che gli anarchici si trovano in questo periodo sempre più isolati, anche sul piano internazionale, potendo trovare al loro fianco solo alcuni settori socialisti e comunisti dissidenti.

La rivoluzione di Spagna del luglio 1936 ha rappresentato l'ultima occasione per i lavoratori di rispondere al fascismo e alla guerra attraverso pratiche rivoluzionarie anarchiche. Gli avvenimenti di Spagna, con il ruolo determinante avutovi dalle organizzazioni anarchiche e anarcosindacaliste, sono stati forse l'espressione storica più importante delle idee libertarie. Questo anche per le dimensioni del movimento anarchico nella Spagna di quel periodo.

All'inizio della guerra civile infatti, nel fronte antifascista sono presenti la centrale anarcosindacalista, la Confederazione Nazionale del Lavoro (CNT), che nel maggio 1936, nel suo Congresso di Saragozza, contava su 982 sindacati e 550.595 aderenti, la Federazione Anarchica Iberica (FAI) e la Federazione Iberica delle Gioventù Libertarie (FIJL).

Dopo il 1946, la spartizione del mondo in due blocchi imperialisti contrapposti, la guerra fredda e le minacce atomiche hanno ridotto le possibilità di azione per i libertari. Il radicarsi del legame tra lavoratori da un parte e sindacati e partiti politici dall'altra ha marginalizzato sempre più le correnti anarchiche.

Dopo il '68, tuttavia, a seguito dell'esplodere della rivolta studentesca e giovanile, le idee libertarie hanno conosciuto un ritorno di vigore, anche all'interno del movimento sociale, con la generalizzazione di concetti come "autogestione" o "gestione diretta". A tutto questo occorre aggiungere la reazione sempre più viva di vasti settori della popolazione contro la burocratizzazione delle società sia del blocco socialista che di quello liberale. In Italia, anche all'interno della contestazione, queste idee non sono state appannaggio dei soli gruppi anarchici, ma anzi sono state fatte proprie in modo più o meno coerente, anche dai gruppi che si rifacevano al trotskismo e al maoismo quando non addirittura al marxismo e al leninismo.

Note

  1. 1,0 1,1 1,2 Fonte principale: Errico Malatesta. Note per un diritto anarchico, di Marco Cossutta, Collana in/Tigor, Edizioni Università di Trieste, 2015
  2. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 195
  3. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 111
  4. Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Milano, 1983, p. 112
  5. «Se nasce l'anarchia / un bel pranzo s'ha da fa' / tutto vitello e manzo / se duvimo da magna'»: canto anarchico dei Castelli romani, così riportato in L. Settimelli – L. Falavolti, Canti anarchici, p. 83
  6. In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto (ευ τοπος), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo (ου τοπος), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell'ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.
  7. Giampietro Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437
  8. Malatesta, il 1° giugno 1926, sulle pagine di Pensiero e Volontà, rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il 16 giugno dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni