Gerarchia

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Origini ed etimologia

La parola gerarchia è composta da hieròs "sacro" e dal tema à rcho "comandare", "essere a capo"; gerarca, appunto dal greco tardo, "sono a capo delle funzioni sacre" poi incrociato con gerarchia anch'essa dal greco tardo hierarchìa, astr. di hierarchikòs.

Il termine indica il complesso dei gradi dell'ordine ecclesiastico e per estensione in qualsiasi ordine sociale e non deriva però dall'antichità classica, in quanto non lo si trova né nel greco classico e neppure è usato nel Nuovo Testamento: hieròs ha un'etimologia indoeuropea, che in sanscrito sarebbe accostato all'aggettivo isirah, riferito per lo più al vento, avente significato di vigoroso, ma anche di soffio, laddove, accostato allo spirito divino, acquista una valenza di sacro. Da qui l'uso del sostantivo hierà rches che si è tenuto lungamente in uso per indicare prete o vescovo.

Le gerarchie angeliche di Pseudo-Dionigi

Pseudo-Dionigi Areopagita, primo vescovo di Atene e discendente di san Paolo
I 9 Cori Angelici. Miniatura dal breviario di Hildegard von Bingen (1098-1179)

Pseudo-Dionigi Areopagita, primo vescovo di Atene e discendente di san Paolo - nei due celebri trattati De caelesti hierarchia e De ecclesiastica hierarchia, renderà corrente il termine in Occidente sottolineandone il carattere spiccatamente cosmologico e mistico e associandolo al concetto di tà xis (ordine, ordinamento), cosicché le gerarchie sono pensate quale fattore di stabilizzazione della eutaxìa, ovvero dell'ordine complessivo del cosmo armonicamente costituito dai suoi aspetti terreno e celeste "simbolicamente" e misticamente stretti in una superiore unità; una manifestazione "graduale" del divino, a sua volta generatrice di conoscenza e santità.

La creazione divina è così racchiusa dentro i limiti di gerarchie fantasticamente architettate, ma dentro cui è però visibile il distendersi dell'unico principio divino, che contiene in sé tutti gli esseri, giacché il fine delle gerarchie propriamente consiste nell'assimilazione e nella congiunzione, per quanto è possibile, con Dio. A tal proposito Torquato Tasso ebbe a dire: "la ierarchia è ordine sacro, e il suo fine è l'imitazione d'Iddio".

La Gerarchia Celeste (detta anche degli Angeli) è fondata sulla diversità di natura tra gli spiriti, alla stessa guisa della gerarchia ecclesiastica, sulla differenza del posto che essi occupano a seconda dell'ordine sacro di cui sono rivestiti, della scienza che posseggono e dall'azione che esercitano. Come cioè nella Chiesa la grazia e i doni di Dio si dispensano attraverso una scala discendente di tre gradini – l'episcopato, il presbiterio, il diaconato – così la pienezza della Vita e Luce Divina discende dal Cielo in Terra attraverso tre ordini, diviso ciascuno in tre gradi (nove in tutto), dei quali il più alto la riceve immediatamente da Dio, e ciascuno degli altri da quello che gli sta immediatamente sopra.

La gerarchia come "iniziazione"

Fin dall'Antico Testamento le gerarchie si esprimono attraverso segni riconoscibili (simboli) di iniziazioni, che permettono di distinguere tra quelli che esercitano le funzioni gerarchiche (iniziatori), e i destinatari delle norme, si direbbe quasi (iniziati).

Lo studioso Bellini, a proposito dell'ordine gerarchico di Dionigi, definì la gerarchia come un ordine, cioè una disposizione ontologica voluta da Dio, laddove anche i corpi dei morti vengono sepolti in luoghi diversi in base alla disposizione gerarchica di cui fanno parte.

La gerarchia secondo la concezione dionisiana è intesa cosmologicamente e riguarda, a partire dall'alto verso il basso, gli angeli, uomini, animali, piante ed esseri inanimati in un ordinamento sacro, immagine della bellezza del Principio divino, che ha la sacra funzione di portare a compimento... i misteri della sua propria illuminazione e che tende ad assimilarsi, per quanto gli è consentito, al proprio Principio, divenendo collaboratore di Dio e mostrando "come in sé stesso, per quel che è possibile, si compie l'attività divina. (...). Così sono le beatissime gerarchie angeliche nelle quali il Padre ha generosamente manifestato la Sua luce e attraverso le quali noi possiamo elevarci fino al Suo assoluto splendore."

Il duplice aspetto della "gerarchia ecclesiastica"

A partire dalla Riforma, anche la concezione di gerarchia ecclesiastica della Chiesa aveva un duplice aspetto: “hierarchia ordinis” legata ai temi religiosi e i cui membri assumono diversa importanza ma non superiorità (vedasi anche l'uso di eminenza ed eccellenza) e la “hierarchia iurisdictionis” gerarchia ecclesiastica vera e propria, che serve a regnare la Chiesa.

La gerarchia nel Medioevo e il "sacer principatus" di Tommaso d'Aquino

Quindi, in ambito medioevale, la gerarchia oltre che angelica, comincia ad assumere anche una valenza terrena, per così dire “sociale” con relativi doveri e diritti, ed appare sempre più evidente il collegamento tra la dottrina della gerarchia terrestre e celeste e la dottrina dei tre stati di origine platonica, con la immancabile substruttura tripartita di ordines (tre ordini per ciascuna gerarchia), così come già era per la gerarchia angelica dello Pseudo-Dionigi e che derivava dal concezione di Dio Uno e Trino.

Tommaso d'Aquino nel XIII sec. definì la gerarchia attraverso l'assunzione del sacer principatus sostenendo che essa costituisce un unico principato, vale a dire una sola moltitudine ordinata con un solo regime, sotto il governo di un solo principe. E nella società civile di una comunità perfetta tali ordini si ridurrebbero a tre soltanto, principio, mezzo e fine, diversificati per atti e funzioni, così come nella gerarchia angelica gli ordini si riducevano ai tre gradi di supremo, medio e infimo.

Domenicani che torturano un eretico

Ricordiamoci però che Tommaso d'Aquino, come anche S. Agostino, nella sua opera "Summa Theologiae"[1] sosteneva la liceità della pena di morte sulla base del concetto della conservazione del bene comune, pena che andava inflitta solo al colpevole di gravissimi delitti, mentre all'epoca veniva utilizzata dall'Inquisizione con facilità e grande discrezionalità, contraddicendo in pieno il più elementare dettame cristiano, quello cioè che definisce la vita come un dono che ci viene dato da Dio e che nessuno, al di fuori di Lui ha il diritto di negare.

Il periodo della protesta Luterana

In Germania il termine gerarchia neanche esisteva e dal periodo di Lutero lo si cominciò ad usare negativamente per indicare il dispotismo del governo del Papa di Roma e quanto connesso con il cattolicesimo.

Altrettanto fece Fichte nel 1793 parlando dello spaventoso potere della gerarchia, mentre in Kant il termine si incontra solo due volte e diventa sinonimo della costituzione della Chiesa la quale "può essere monarchica, o aristocratica o democratica: ma ciò concerne soltanto la forma organizzativa; la costituzione di essa è e rimane in costanza di tutte queste possibili forme sempre dispotica".

La gerarchia nell'età moderna

In età moderna e contemporanea il concetto di gerarchie subisce un processo di "mondanizzazione", perde il plurale e viene ormai riferito quasi esclusivamente in ambito sociale col termine al singolare di “gerarchia”, probabilmente anche perché, come sostenne lo scrittore polacco Witold Gombrowicz c'era un vero e proprio odio, paura e vergogna, dell'uomo nei confronti dell'informe e dell'anarchia.

Tra le definizioni dell'epoca vi è quella dello scrittore Alfredo Panzini: “la gerarchia è una regolata subordinazione ai capi. Uno dei principi del fascismo. Titolo significativo di 'rivista' fondata da Benito Mussolini (1922) e quella del Croce, che la paragona direttamente allo “squadrismo”, vale a dire “l'insieme degli esponenti dei più alti gradi della gerarchia fascista

Gerarchia = Autorità = Potere e Anarchismo come anti-gerarchia

L'anarchismo è prima di tutto un movimento contro la gerarchia, perché la gerarchia è la struttura organizzativa che incarna l'autorità, il potere, il dominio e, dal momento che lo Stato è la forma più “alta” di gerarchia, gli anarchici sono, per definizione, contro lo Stato, anche se l'uso di questo termine, per essi è abbastanza recente: Proudhon, Bakunin e Kropotkin usavano tale parola raramente in quanto preferivano usare la parola “autorità ”.

Secondo Erich Fromm, però, esistono due tipi di autorità, quella razionale e quella irrazionale; quello che circa un secolo prima anche Bakunin aveva descritto come la differenza tra “autorità e influenza” (per gli approfondimenti si rimanda alla voce specifica).

Ma ad ogni modo, la gerarchia esiste anche oltre queste istituzioni. Per esempio, relazioni sociali gerarchiche sono il sessismo, il razzismo e l'omofobia [2] e gli anarchici si oppongono a tutte queste, e le combattono.

I valori gerarchici del capitalismo

Piramide gerarchica del sistema capitalista

"Nella gerarchia di valori capitalistica il capitale sta più in alto del lavoro, oggetti ammassati stanno più in alto delle manifestazioni di vita. Il capitale impiega il lavoro, e non il lavoro il capitale. La persona che possiede capitale comanda la persona che possiede solo la sua vita, il talento umano, e una produttiva creatività. Le cose sono più importanti delle persone. (...)[3]

Quando uno dice di vendere il lavoro c'è una necessaria sottomissione della volontà (gerarchia) e a tal proposito scrive Karl Polanyi: “Lavoro è solo un altro nome per un'attività umana che accompagna la vita stessa, che di conseguenza non è prodotta per esser venduta ma per ragioni completamente diverse, né tale attività può esser isolata dal resto della vita, contenuta o mobilitata.[4]

In altre parole, il lavoro è ben altro dalla merce alla quale il capitalismo vuole ridurlo. Il lavoro creativo, autonomo è fonte di orgoglio e di gioia, e parte di ciò che significa essere pienamente umano. Strappare dalle mani del lavoratore il controllo del lavoro ferisce profondamente il suo o la sua salute mentale e fisica. Infatti, Proudhon arrivò a dire che le compagnie capitaliste “rapinano i corpi e le anime dei lavoratori salariati” e sono un “oltraggio alla dignità ed alla persona umana”.

Proudhon, riferendosi ai luoghi di lavoro, rende chiara la differenza: “o il lavoratore... sarà solo l'impiegato del padrone-capitalista-imprenditore; oppure parteciperà... [e] avrà una voce in assemblea, in poche parole diverrà un associato. Nel primo caso il lavoratore è subordinato, sfruttato: la sua condizione permanente è di obbedienza... Nel secondo caso recupera la sua dignità di uomo e cittadino... è parte di una organizzazione di produzione, della quale prima era schiavo; (...)” [5]

La gerarchia nel sistema democratico

Gli anarchici sono convinti del fatto che le gerarchie tendono solo a creare privilegi e quindi a perpetuarsi; cosicché, proprio quegli apparati amministrativi dello Stato democratico, ma anche in quelli non statali, nati per risolvere opportunamente, tramite il proprio lavoro, le varie problematiche di una società, come la povertà, l'abuso delle droghe, l'eliminazione del crimine, finiscono poi col far sì che tali problematiche si “cronicizzino” per continuare a garantirsi il proprio lavoro e la propria egemonia.

Citazioni

  • «Vuoi rendere impossibile per chiunque opprimere un suo simile? Allora, assicurati che nessuno possa possedere il potere.» (Michail Bakunin)
  • «L'anello unificante tra le forme d'anarchismo è la condanna universale della gerarchia e della dominazione, e la volontà di lottare per la libertà individuale.» (Susan Brown)

Note

  1. Summa Theologiae II-II, q. 29, artt. 37-42
  2. B.1.4 Perché razzismo, sessismo e omofobia esistono?
  3. The Sane Society, pp. 94-95
  4. The Great Transformation (trad. it. La grande trasformazione, Einaudi), p. 72
  5. Pierre-Joseph Proudhon, General Idea of the Revolution, pp. 215-216

Voci correlate

Collegamenti esterni