Liberalismo

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Piero Gobetti, un liberale anomalo

Il liberalismo è un'ideologia, definitasi nel corso del tempo ed in luoghi diversi durante l'età moderna e contemporanea, che pone dei limiti al potere e all'intervento dello Stato. L'obiettivo sarebbe quello di proteggere i diritti naturali, la libertà e l'autonomia dell'individuo. Le matrici filosofiche su sui si fonda sono il giusnaturalismo, il contrattualismo e l'illuminismo nella sua accezione individualistica e razionalistica.

Nozione

Il liberalismo è un dottrina politica, o meglio, un complesso di concezioni e teorie etico-politiche che professa una concezione della vita avente come postulati fondamentali la libertà dell'uomo quale valore supremo e la fiducia che le capacità creative dell'individuo, se possono liberamente esplicarsi, portino armonicamente alla piena attuazione della personalità del singolo al benessere e al progresso della comunità; di conseguenza rivendica le libertà nell'ambito della comunità politica (e della vita socio-culturale in genere), proponendo il modello di uno Stato caratterizzato dal pieno riconoscimento delle libertà civili e sociali (di coscienza, di pensiero, di associazione, di riunione ecc., e libertà economica), e, come indispensabile garanzia di tali libertà, dalla separazione fra Stato e Chiesa (o, comunque, dalla laicità delle strutture politiche), dalla divisione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) dello Stato e dalla natura collegiale e rappresentativa (ma non necessariamente democratica) dell'organo (Parlamento) esercitante il potere legislativo.

Correnti

Nell'ambito del complesso delle concezioni suddette è possibile distinguere un liberalismo filosofico, che sottolinea in particolare i postulati filosofici riconducibili al laicismo (e che, specie nel secolo XIX, fu oggetto specifico di opposizione da parte della Chiesa cattolica), e un liberalismo politico, che si incentra soprattutto sulle concezioni etico-politiche e istituzionali; il liberalismo politico, a sua volta, si distingue in liberalismo moderato - che attribuisce particolare importanza al rispetto della proprietà privata, della libera iniziativa e della libertà economica in genere (liberalismo economico), considerando tali valori indissolubilmente connessi con la stessa libertà politica, e guarda con sfavore al principio del suffragio universale e, in genere, alle concezioni politiche democratiche o socialiste - e in liberalismo democratico o radicale, che accoglie (cercando di assimilarle alle proprie concezioni di fondo) le idee della democrazia e le istanze di rinnovamento sociale e di riforme economiche (distinguendo così fra il concetto politico di liberalismo e quello economico di liberismo).

Solitamente si intende considerare John Locke come il primo pensatore liberale; David Hume e gli economisti classici come Adam Smith e David Ricardo proseguirono in questa linea di pensiero, appoggiando in particolare il liberoscambismo o il laissez faire. In politica l'ideologia liberale appoggia le sue basi in Montesquieu e nei padri fondatori americani. In generale, secondo questi pensatori, non esisterebbe un sistema perfetto, per questo lo Stato dovrebbe essere formato da un sistema di pesi e contrappesi in grado di bilanciarsie salvaguardare la libertà individuale dalla tirannia.

Liberalismo, Stato e capitale

L'idea liberale nasce e si sviluppa di pari passo con lo Stato e il capitalismo, affiancandosi all'azione della borghesia nel momento in cui essa si oppone alle monarchie assolute e ai privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII secolo. Per quanto le dottrine economcihe di pensatori come Adam Smith e David Ricardo potessero apparire logiche ed eque, cioè ognuno può e deve poter fare quel che vuole della propria vita e soprattutto del proprio capitale, quale era il grado di libertà di chi possedeva solo le proprie braccia (proletariato)? Lo spiega senza mezzi termini un operaio dell'epoca:

«[...] un filatore può lasciare il padrone se il salario non gli aggrada. È vero; lo può; ma dove andrà? è, da un altro!Ci va, infatti, e si sente chiedere dove lavorava prima: "Ti hanno licenziato?". "No, non ci siamo messi d'accordo sul salario". Allora non assumo né te né chiunque lasci il padrone in questo modo» (Protesta di un operaio tessile, citato da Antonio Desideri in Soria e storiografia).

Anarchismo e liberalismo [1]

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Le ideologie marxista e liberale.
John Locke, considerato soliamente il padre del liberalismo.

Accanto all'ideologia assolutista, propria ad ogni forma di Stato, si colloca una specifica ideologia (ecco allora, in ordine di apparizione, dopo il terrore giacobino, lo Stato proletario, lo Stato fascista, lo Stato nazionalsocialista); ma, a ben vedere, anche il liberalismo è una ideologia che si è, per così dire, appropriata dell'apparato/ideologia statuale, ovvero di quei principi intorno al potere politico che la tradizione moderna ha posto in essere e sempre più raffinato. Sicché totalitarismo, liberalismo, assolutismo e via discorrendo sono tutte specie dello stesso genere, la prospettiva politica moderna, ed utilizzano tutti lo stesso strumento da questa ideato: lo Stato.

Il liberalismo appare una ideologia meno marcata del marxismo o del nazifascismo, ma rimane pur sempre un'ideologia che, per un certo periodo storico (vedi lo Stato monoclasse ottocentesco) si è impadronita dello Stato, imponendo attraverso le leggi la sua (più blanda) verità politica incentrata sul concetto di libero mercato. Anche nella specificazione liberale della prospettiva moderna (che trae origine dalle speculazioni anche hobbesiane e non solo lockiane), è lo Stato il fulcro su cui poggia ogni regola sociale; in particolare, il diritto si fonde con la legge, perché non vi è diritto che non promani dall'ente statuale. Ogni concreta manifestazione di autonomia è negata alla radice; infatti, ciò che all'interno di questa prospettiva si nomina come autonomia altro non è che mera concessione di potestà da parte dello Stato. Lo Stato è l'assoluto protagonista della vicenda pubblica e la libertà è relegata in spazi, più o meno dilatabili, privati, nei quali lo Stato non ingerisce non perché ne sia impedito da diritti a lui estranei, ma perché o non ne ha la volontà, quindi, l'interesse o perché non ha la forza di imporsi. Sicché, a ben vedere, anche nella specificazione liberale della prospettiva moderna è lo Stato l'unico soggetto politico legittimato ad agire; lo Stato è l'unico soggetto libero, poiché in questa prospettiva la libertà è poter fare ciò che si vuole (ovviamente, per non frustrare l'aspirazione a tale libertà, si vuole ciò che si può). In quanto legibus solutus, lo Stato è l'unico soggetto che può essere sregolato (sempre che ne abbia la forza).

L'anarchismo differisce profondamente dal liberalismo, che vede la libertà (assoluta) posta fuori dalla società (nello stato di natura), in una situazione che, a causa dell'insanabile sregolatezza (assenza di regole) dell'essere umano, non appare sostenibile (da qui la necessità del contratto sociale e della fondazione di uno Stato civile, che protegga i cosiddetti diritti naturali). L'anarchismo, viceversa, non postula luoghi di libertà assoluta popolati da individui isolati; riconosce una propensione alla regolarità nell'essere umano e con questa una sua capacità di autonomia. Si può affermare che l'idea dell'individuo, così come forgiatasi nel pensiero liberale, sia estranea all'anarchismo poiché l'individuo è rappresentato isolato – ed in quanto tale libero – mentre l'essere umano per l'anarchismo è sempre in società ed è nella società che si libera sviluppando rapporti politici e non, come per il liberalismo teorizzatore del male necessario, rapporti di "dispotismo sostenibile".

La libertà per l'anarchismo si lega alla scelta ed alla responsabilità della scelta, non alla sregolatezza; ciò implica che l'idea della regolamentazione giuridica legata alla libertà non sia avulsa dal pensiero anarchico, come lo è invece dal liberalismo, che vede nel diritto (da esso rappresentato come legge dello stato) sempre un momento di oppressione, dato che limita la naturale sregolatezza umana da esso esaltata come libertà. L'anarchismo ricerca il diritto nell'autonomia, non, come il liberalismo, nel comando eteronomo dello Stato, pertanto intravede proprio nel diritto i tratti della libertà e della responsabilità. Non vi è nel pensiero anarchico alcuno stato di natura, né, in conseguenza, alcuna fictio intorno al contratto sociale, vuoi perché è su tale ipotetica costruzione che il pensiero politico e giuridico moderno fonda, legittimandolo, lo Stato, vuoi perché se di contratto come fondamento del diritto si parla, questo sarà sempre reale, giammai ipotetico, ed esplicantesi nel libero accordo tra i partecipanti alla comunità politica. La distanza dal contrattualismo giusnaturalista porta in sé anche il peso di una diversa concezione antropologica rispetto a quella propria al pensiero politico e giuridico moderno che trova la massima espressione nell'homo homini lupus hobbesiano. In tal senso, vanno riviste quelle letture che vedono un accostamento fra anarchismo e giusnaturalismo, a maggior ragione se si tratta di quello riconducibile alla cosiddetta della scuola del diritto naturale moderno. Infatti, l'anarchismo si caratterizza per il costante esperire all'interno della realtà sociale la giuridicità atta a regolamentarla, non per il tentativo (di sapore giusnaturalistico) di istituire nella società concreta diritti in altro luogo presenti; solo il forte richiamo alla libertà ed all'uguaglianza come valori irrinunciabili dell'anarchismo può far apparire lo stesso come una variante della prospettiva giusnaturalistica; ma queste due componenti imprescindibili all'anarchismo risultano funzionali alla ricerca dialettica del giusto mezzo; non sono, pertanto valori astratti da incarnarsi nella realtà sociale, ma mezzi attraverso i quali nella stessa è possibile sviluppare la ricerca dialettica quale attività politica. In questo senso, l'anarchismo, cronologicamente immerso nella modernità, risulta essere movimento di pensiero politico intimamente antimoderno.

L'anarchismo liberale non esiste

Nessuna dottrina anarchica può definirsi liberale: tutte le teorie anarchiche sono socialiste, da quelle anarco-comuniste a quelle anarco-individualiste, benché nessuna sia favorevole al socialismo di Stato.

L'assurda pretesa del cosiddetto "anarchismo liberale" (ossimoro) di voler rientrare a tutti i costi nell'ambito dell'anarchismo, contrapponendosi a quello socialista, è dimostrata dalla storia del Partito Liberale Messicano (PLM), fondato nel 1905 dai fratelli Magón, Librado Rivera ed altri anarchici messicani. Il PLM, inizialmente, attinse a piene mani dalla tradizione liberale messicana, ma ben presto sfociò nell'anarchismo classico di stampo anarco-comunista. I militanti del PLM, chiamati anche magonisti, inizialmente si definirono liberali, ma poi, dopo la deriva istituzionale e traditrice dell'esercito liberale e il tradimento di Madero, essi preferirono essere chiamati semplicemente anarchici.

Questo dimostra che, nonostante le infinte correnti e tendenze che lo caratterizzano, l'anarchismo ha anche una sua unità d'intenti, che si manifesta nei suoi principi anti-capitalistici, anti-statali e nemici di ogni discriminazione. Questi sono imprescindibili per chiunque si definisca anarchico e possono essere tranquillamente definibili come principi socialisti.

Piero Gobetti: un liberale anomalo

Exquisite-kfind.png Vedi Piero Gobetti.

Piero Gobetti è stato un liberale anomalo, ben distante dalla tradizione conservatrice del liberalismo italiano che frequentemente assunse anche toni aspramente reazionari. Nel suo liberalismo confluiscono la lezione del Salvemini, i contatti con Gramsci e l'importantissima esperienza torinese dei consigli di fabbrica (1919-20); tutti elementi che indicano la necessità di un profondo e non più prorogabile rinnovamento da attuare con una mediazione tra borghesia e mondo operaio, cioè mediante un'alleanza con i gruppi più avanzati del proletariato nei quali egli vide le forze responsabili di tale processo. Descrive così le occupazioni delle fabbriche:

«Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un mondo nuovo [...] il mio posto sarebbe necessariamente dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La rivoluzione si pone oggi in tutto il suo carattere religioso [...] Si tratta di un vero e proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano quel che sono oggi gli industriali...si può rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e volontà di espansione». [2]

Note

  1. Fonte principale: Errico Malatesta. Note per un diritto anarchico, di Marco Cossutta, Collana in/Tigor, Edizioni Università di Trieste, 2015
  2. Nella tua breve esistenza, cit., ll. 375-376 e 385

Voci correlate