Società gilaniche

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Dea Madre (Sardegna, 3500 a.c)

La sociologa Riane Eisler ha indicato con il neologismo gilania - dalle parole greche gynè, "donna" e anèr, "uomo" (la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, "unire" e dal verbo greco lyein o lyo che significa "sciogliere" o "liberare") - quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.c in rapporto soltanto al neolitico) fondata sull'eguaglianza dei sessi e sulla sostanziale assenza di gerarchia e autorità, di cui si conservano tracce tanto nelle comunità umane del Paleolitico superiore quanto in quelle agricole del Neolitico.

La Eisler quindi contesta duramente l'opinione dominante, particolarmente diffusa nella società occidentale « grazie » soprattutto all'opera di propaganda svolta dalla storiografia ufficiale, secondo cui gli esseri umani sarebbero sempre stati violenti proprio a causa di una loro intrinseca natura. Questo « assioma » si è sviluppato perché storici e antropologi hanno arbitrariamente collocato l'inizio della civilizzazione umana in un periodo dove la nascita e lo sviluppo del linguaggio scritto sono andati di pari passo alla diffusione della violenza e delle guerre [1].

Le società gilaniche

«È provato che il matrismo costituisce la forma più antica, più primitiva e più innata di comportamento umano e dell'organizzazione sociale, mentre il patrismo, perpetuato attraverso istituzioni sociali traumatizzanti, si è innanzitutto sviluppato tra gli Homo Sapiens in Saharasia, sotto la pressione di una desertificazione e di una carestia durissime e da migrazioni forzate.» (James de Meo, Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia) 

Gli studi di alcuni archeologi e storici - tra cui Marija Gimbutas, Riane Eisler ecc. - dimostrano che per buona parte della loro storia gli esseri umani hanno vissuto in comunità sostanzialmente pacifiche ed egualitarie all'incirca sino al 4000 e il 3000 a.c, tali ricerche potrebbero essere una possibile prova delle teorizzazioni elaborate dall'illuminista svizzero Jean-Jacques Rousseau, che aveva dato un' accezione positiva e non-corrotta dell'uomo primitivo. Come ampiamente dimostrato dai reperti ritrovati dagli archeologi [2], allorché una serie di grandi migrazioni [3] Indo-Europee dal sud della Russia e dall'Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia) verso l'Europa, avrebbero completamente distrutto le popolazioni locali. La Eisler, che ha dedicato gran parte dei suoi lavori proprio allo studio di queste antiche comunità, definisce come androcrazia - termine derivato dalle parole greche andros, "uomo" e kratos, "governato"- il sistema dominatore maschile importato dagli Indo-Europei (i Kurgan) che impose alcune forme di dominio come il patriarcato, la gerarchia, le classi sociali e l'autorità.

Il paleolitico

André Leroi-Gourhan, etnologo, archeologo e antropologo francese: i suoi ritrovamenti hanno dimostrato l'esistenza di un culto paleolitico incentrato sulla figura femminile.

Della civiltà gilanica, seppur con questo termine la Eisler si riferisca più propriamente alle società agricole del Neolitico, si ritrovano i primi segni sin da circa 40.000 anni fa, cioè nell'epoca storica chiamata Paleolitico Superiore (30-10.000 a.c). Per Eisler e la Gimbutas i nostri antenati credevano in una Dèa che governava l'universo e che era fonte di unità universale, la quale sovveniva alle necessità materiali e spirituali degli umani, proteggeva i suoi bambini dalla morte riprendendoli nel suo ventre cosmico. Alcuni ritrovamenti, come quello celeberrimo della “venere di Willendorf” - una statuetta di 11 cm d'altezza, raffigurante una donna dai seni e fianchi prosperosi - mostrano una straordinaria rassomiglianza tra queste figure femminili e quella che più specificamente viene chiamata Dea Madre [4], riconducibile più propriamente al Neolitico.

Venere di Willendorf

L'etnologo, archeologo e antropologo francese André Leroi-Gourhan ha dimostrato, attraverso i suoi ritrovamenti e le sue ricerche comparative, che i popoli del paleolitico erano ben coscienti della «divisione del mondo animale ed umano in metà contrapposte» [5]. I "paleolitici" espressero forme religiose in cui figure e simboli femminili avevano un ruolo centrale rispetto a quello maschili, a dimostrazione dell'importanza che essi davano alla figura femminile. Infatti, tutti i ritrovamenti di Leroi-Gourhan - conchiglie a forma di vagina, l'ocra rossa delle sepolture, le statue di Venere, pitture rupestri ecc. [6] - non erano per nulla da considerare "mostruosità" o espliciti riferimenti di erotismo maschile (come invece pensavano gli storici che ritenevano che nel mondo avesse sempre prevalso il modello androcentrico [7], bensì si riferivano ad una forma di culto in cui la donna aveva un ruolo fondamentale nella società in quanto donatrice di vita; in particolare la figura femminile era associata alle forze della vita e alla non violenza e le donne spesso erano rappresentate come dèe o sacerdotesse. Le centralità della donna e l'assenza nella società "primitiva" di violenza come fatto consuetudinario (contrariamente all'immagine che solitamente viene trasmessa del paleolitico, ovvero quello di una società violenta, rozza e maschilista), è dimostrato proprio dall'assenza nell'arte del paleolitico superiore di rappresentazioni di scene di violenza: non una raffigurazione di guerre, di eroi guerrieri, di armi utilizzate da umani contro altri umani. È rappresentato soprattutto quello che corrispondeva alla venerazione della vita: la donna, le piante e gli animali.

Il culto egualitario e non violento della Dea Madre o Grande Madre “dominò” quindi in Europa, nel Vicino e Medio Oriente (altre tracce sono state ritrovate anche in America e in Asia) almeno sin dal Paleolitico superiore e poi si diffuse ampiamente alle società neolitiche.

Il neolitico

Marija Gimbutas (settembre 1989), studiosa di primo piano delle civiltà che ruotavano intorno alla dea madre.

L'abbondanza dei resti archeologici dell'epoca neolitica, assai più numerosi del Paleolitico Superiori (30-10.000 a.c), nonché un approccio interdisciplinare all'archeologia (non solo archeologi e storici presenti nei siti di scavo, ma anche biologi, geologi, sociologi, storici dell'arte ecc.), ha permesso di rilevare una certa continuità tra l'uomo del paleolitico e quello del neolitico e di evidenziare l'incredibile evoluzione di questa civiltà, che era del tutto incentrata sul culto della Dea Madre.

Società e religione

La scoperta e gli scavi dei siti neolitici di Catal Huyuk e Hacilar [8] nelle pianure dell'Anatolia (oggi Turchia), diretti da James Mellaart per conto del Britich Institute of Archaeology di Ankara, rivelarono una continuità storica tra la religione del Paleolitico Superiore e quella del Neolitico:

«La nuova brillante valutazione della religione del Paleolitico Superiore fatta da Leroi-Gourhan ha chiarito molti equivoci... l'interpretazione dell'arte del paleolitico superiore che ne consegue, incentrata sul tema di un complesso simbolismo femminile (sotto forma di animali e simboli), mostra forti somiglianze con le immagini religiose di Catal Huyuk» (James Mellaart citato da Riane Eisler in Il calice e la spada, pag. 30).
La dea dei serpenti (Creta, II millennio a.C.)

Statuette raffiguranti la Dea Madre, del tutto simili a quelle ritrovate in Turchia, sono state ritrovate non solo nei celebri siti di Vinca (ex-Yugoslavia), Cucuteni (Romania), Gerico (Palestina), Cnosso (Creta) e Harappa e Mohenjo-Daro (valle dell'Indo) ma anche a Tell-e-Sawwan (Egitto) e Cayonu (Siria), a dimostrazione di come il culto della Dea fosse radicato non solo nell'Antica Europa ma anche in molte altre zone dell'Europa, dell'Africa e dell'Asia. Da evidenziare come nelle società gilaniche non esistesse la separazione tra sacro e profano: la religione era la vita e viceversa. Una religione fatta sicuramente anche di riti e divieti, ma in cui tuttavia l'essenza del tutto stava nel riconoscersi quale parte integrante della natura. Le sacerdotesse conducevano i riti religiosi ma molto spesso venivano accompagnate da sacerdoti che le coadiuvavano durante le celebrazioni, a dimostrazione di come il maschio non fosse discriminato rispetto alla donna.

Gli studi di Riane Eisler, incentrati sui risultati degli scavi archeologici diretti da Mellaart e sugli studi di Marija Gimbutas, stabilirono che le società neolitiche funzionavano sul culto della dèa non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, modo di funzionamento assolutamente non violento ed egualitario. Queste società vivevano secondo un modello comunitario, attestato dalla loro architettura, e durante le cerimonie religiose, i cui costi erano a carico dell'intera comunità, i poveri e i deboli sedevano al centro, occupando quindi un posto d'onore. Inoltre i siti funerari non mostrano differenze sostanziali legate al sesso o alla condizione sociale, quindi non vi era nessuna rigida gerarchia sociale [9].

Quando queste società presero tecnologicamente a svilupparsi, è certo che queste innovazioni non furono utilizzate per creare disvalori o, meno ancora, per costruire armi. Nell'arte di queste società non compaiono descrizioni di armi, di guerre e di conquistatori. Non una traccia di schiavitù, di sacrifici umani, manifestazioni religiose a carattere fortemente dominante ecc. Non esistono tracce di fortificazioni militari: in queste società, le località d'abitazione non erano scelte in funzione della loro posizione strategica (vertice di una collina) bensì sulla base di criteri di bellezza del luogo, legati al mito del giardino dell'Eden, ancora molto presente.

Economia

Piante d'orzo

Furono i gilanici i responsabili della cosiddetta rivoluzione agricola, ma senza che questo abbia generato schiavismo, gerarchizzazione, proprietà privata e dominio classista, come invece comunemente si crede [10] Come scrive Marija Gimbutas, «ci sono libri... che suggeriscono idee folli come per esempio che l'agricoltura e la guerra sarebbero cominciate allo stesso tempo. Dicono che quando i villaggi hanno iniziato a svilupparsi, la proprietà ha dovuto essere difesa, ma non ha senso! C'era la proprietà, ma era una proprietà comunitaria. Infatti, c'era una sorta di comunismo, nel migliore senso della parola. Non potrebbe esistere nel ventesimo secolo. Inoltre, credevano che tutti fossero uguali in relazione alla morte. Mi piace molto questa idea. Non sei nessuno, ne regina ne re, quando le tue ossa sono raccolte insieme ad altre ossa». [11]

La stessa Gimbutas descrive minuziosamente la fiorente attività agricola e commerciale delle società gilaniche:

«Si coltivavano grano, orzo, veccia, piselli e altri legumi, e si allevavano tutti gli animali domestici... tranne il cavallo. La tecnologia della ceramica e le tecniche di lavorazione dell'osso e della pietra erano avanzate, dal 5500 a.c venne introdotta nell'Europa centro-orientale la metallurgia del rame. Il commercio e le comunicazioni, che s'erano ampliati nel corso dei millenni, devono avere prodotto una straordinaria interazione e impulso alla crescita culturale [...] l'uso di barche a vela e testimoniato a partire dal sesto millennio, dalle riproduzioni incise su ceramiche.» (Marija Gimbutas citata da Riane Eisler in Il calice e la spada, pag. 37)

Essi, inoltre, misero in atto anche una forma di scrittura primordiale e usarono rame ed oro per ornamenti ed attrezzi, a dimostrazione di una fiorente attività e di un'avanzata civiltà.

La fine delle società gilaniche

Le società gilaniche, in cui le necessità delle persone erano soddisfatte anche da un principio mutualismo, furono distrutte tra il 4000 e il 2500 a.c, da orde nomadi venute dal sud della Russia, i cosiddetti Kurgan. Queste popolazioni, come nota Marija Gimbutas, erano «governate da classi sacerdotali e guerriere che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra» [12] ed erano organizzate su base gerarchica e autoritaria, con una volontà di potere fortemente dominatrice e distruttrice, secondo cui le persone soddisfacevano i propri bisogni anche facendo ricorso alla minaccia fisica e all'uso della violenza.

In questo modo, violentemente, sorse la civilizzazione del dominio che sostituì quella fondata sul parternariato o gilania, portando alla nascita del patriarcato, delle classi sociali ed anche, attraverso un lunghissimo processo storico che ebbe inizio proprio in quella fase storica, di quegli apparati di dominio che ebbero il loro culmine nello Stato.


Cultura gilanica Cultura Kurgan
Economia Agraria (senza cavallo); sedentaria Nomade-pastorale (con cavallo)
Habitat Vasti agglomerati di villaggi e cittadine; nessuna cittadella Piccoli villaggi con case seminterrate; i capi governano dalla cittadella.
Società Ugualitaria, matrilineare Patriarcale, patrilineare
Ideologia Pacifica; amore per l'arte; la donna è creatrice di vita; culto della dea madre Bellicosa, uomo creatore di vita, culto di divinità guerriere

Esempi di civiltà gilaniche

Catal Huyuk, statuetta della dea madre
Scavi a Catal Huyuk.

I contributi maggiori per una migliore descrizione dell'organizzazione sociale del neolitico sono venuti dai reperti ritrovati a Çatal Hüyük e Hacilar (nell'attuale Turchia), Vinca (ex-Yugoslavia), Cucuteni (Romania), Gerico (Palestina), Cnosso (Creta), Harappa e Mohenjo-Daro nella valle dell'Indo. Numerose tracce di queste società si trovano anche in altri luoghi dell'Asia minore, Asia orientale (cultura Yomon in Giappone) e meridionale, nel Vicino e Medio Oriente, Europa e America.

Çatal Hüyük e Hacilar

Il sito archeologico di Çatal Hüyük fu scoperto alla fine degli anni Cinquanta. L'archeologo James Mellaart condusse una serie di campagne di scavi tra il 1961 ed il 1965, interrotte poi fino al 1993, che portarono alla luce una vera e propria città (fondata intorno al 7000 a.c). Numerosi sono stati i ritrovamenti di sculture e disegni raffiguranti figure femminili e la stessa Dea Madre [13].

In particolare, una delle caratteristiche più sorprendenti di Çatal Hüyük e Hacilar è stata la loro stabilità politica, durata diverse migliaia di anni, che suggerisce, senza alcun dubbio, che dovesse regnare il principio della non violenza. Qui si sviluppò un'economia agraria con un commercio fiorente, una pianificazione urbana particolarmente ordinata e uno sviluppo considerevole nei settori delle arti, della religione e della cultura.

La civiltà cretese

Affresco del Palazzo di Cnosso (Creta): acrobazie di fanciulle con un toro.

A Cnosso (Creta) i numerosissimi reperti ritrovati, quali ceramiche, sculture e affreschi, dimostrano che l'isola cretese godeva di una buona floridezza economica, nonostante le asperità climatiche e territoriali dell'isola. I cittadini, comprese le donne – sempre rappresentate in vestiti eleganti oppure come sacerdotesse o comunque in posizioni di rilievo – godevano di una grande libertà e autonomia.

 «La società cretese, opulenta, ha sviluppato una civiltà molto evoluta. Questo si è tradotto in pratica nell'organizzazione di città e villaggi ben pianificati composti di imponenti edifici, palazzi, di aree agricole, forniti di reti di distribuzione di acqua ed irrigazione, fognature, fontane e collegate da vie di comunicazione di cui molte pavimentate. In campo culturale, troviamo una letteratura abbondante (in 4 differenti scritture) e produzioni artistiche che gli storici descrivono come raffinate, celebranti la vita, molto ispirate. Ma questo non basta a farne una civiltà non-violenta. Uno dei tratti essenziali della società cretese è di avere, in un'epoca così remota, saputo sviluppare un modello di società egualitaria. I cretesi erano persone benestanti, ma la cosa più notevole era la ripartizione piuttosto equa delle ricchezze, poiché le ricerche archeologiche hanno evidenziato poca differenza nei tenori di vita. Anche quando i poteri politici sono stati centralizzati, ciò è stato fatto senza gerarchizzazioni né autocrazia e il governo insediato lo fu sotto una forma democratica ben prima che i greci non si appropriassero della parola democrazia. Gli uomini e le donne vi partecipavano paritariamente, soprattutto per quel che concerneva le cerimonie religiose.» (Europa tardo neolitica. C'era una volta l'isola di Creta)

Quando si parla di Creta si pensa al re Minosse e quindi alla civiltà minoica, attributo che sembra sia stato appositamente concepito allo scopo di negare il suo carattere gilanico. Creta invece fu l'ultimo baluardo delle società gilaniche: già nel XVI secolo a.c nell'isola vengono introdotte nuove armi (scudi, spade, corazze ecc.), prima di allora sconosciute, indicative della percezione di nuove preoccupazioni militari prima d'allora inesistenti. Infatti, intorno al 1450 a.c i fastosi palazzi cretesi furono distrutti e mai più ricostruiti, come invece accadde intorno al 1650 a.c, quando il palazzo di Crosso crollò probabilmente a causa di un devastante terremoto. Ciò indicherebbe l'invasione ad opera di un popolo, probabilmente i Kurgan - violento, rozzo e guerriero – che già parecchie centinaia d'anni prima aveva attaccato altre popolazioni europee, risparmiando però l'isola di Creta, probabilmente per il semplice fatto che non conoscevano l'arte navale.

Vinca

Statuetta che raffigura una donna ritrovata a Vinca (nei pressi di Belgrado).

La cultura di Vinca era ubicata a circa 20 km ad est di Belgrado (capitale dell'attuale Serbia). Gli scavi del Prof. Vasic, tra il 1908 e il 1932, collocarono inizialmente questa civiltà intorno al II millennio a.c, poiché si riteneva che una società così avanzata non potesse essere troppo antica. Successivamente i metodi di datazione moderna (dendrologia e radiocarbonio) dimostrarono che la cultura di Vinca è collocabile tra il 5300 e il 4000 a.c.

La vita a Vinca era incentrata sul culto della Dèa Madre e sull'uguaglianza sociale. Il livello tecnologico avanzato è inoltre attestato dalla scoperta delle cosiddette tavolette di Tartara, in cui sono presenti dei segni assimilabili ad una scrittura rudimentale (altre ne sono state ritrovate a Tisza e Karanovo), probabilmente la prima vera forma di scrittura dell'umanità [14].

Cucuteni

La mostra tenuta a Roma nel settembre/ottobre 2008 sulla cultura pre-indoeuropea di Cucuteni-Trypillia conferma l'ipotesi di Marija Gimbutas sul carattere pacifico, sulla struttura sociale egalitaria e sull'importanza del ruolo femminile di questa cultura dell'Europa Antica. La documentazione della mostra, curata dal Ministero della cultura e degli affari religiosi di Romania nonché dal Ministero della cultura e del turismo di Ucraina, dice a pag.40:

 «Non vi erano differenze tra le varie tipologie abitative. Dunque non è possibile stabilire quali case appartenessero a persone ricche e quali a persone povere. Le variazioni nelle dimensioni delle abitazioni potrebbero essere attribuite al numero dei membri della famiglia che vi risiedeva, o dipendere dalle tecniche di costruzione delle case. Pertanto non è possibile parlare di ineguaglianza sociale (come nelle società in cui vigeva la schiavitù), ma solo l'esistenza di una naturale gerarchia all'interno di ciascuna comunità. Come non si può sostenere che esistesse una categoria di guerrieri, in quanto la maggior parte degli abitanti era dedito all'agricoltura. Gradualmente iniziarono ad emergere gli artigiani (ceramisti, addetti alla lavorazione dei metalli, intagliatori del legno e della pietra, costruttori), così come dei personaggi con un ruolo specifico nel campo della religione. L'abbondanza di statuine antropomorfe femminili e la parallela scarsità di sculture a soggetto maschile sembra suggerire l'importanza del ruolo delle donne all'interno di queste comunità.»

La civiltà dell'Indo

Intorno al 2500 a.c, nei pressi della foce del fiume Indo, prendeva forma una vera e propria civiltà urbana molto evoluta e in grado anche di utilizzare la scrittura. La vita si dipanava intorno alla figura della Dea Madre, le due città maggiori, Harappa e Mohenjo Daro, erano fabbricate seguendo tecniche all'avanguardia: le case erano costruite mediante mattoni cotti, sotto le strade scorrevano le fognature, vi erano grandi silos che contenevano i cereali ecc. L'economia si basava essenzialmente sull'agricoltura: si coltivavano prevalentemente cereali (grano e orzo) ma anche cotone, utilizzato prevalentemente come mezzo di scambio.

La civiltà dell'Indo crollò intorno al 1550 a.c a causa delle solite invasioni ad opera dei popoli giunti dalla Russia del sud: i Kurgan.

Il lascito storico delle società gilaniche

Carta che rappresenta le ondate migratorie dei Kurgan tra il 4000 e il 1000 a.c, secondo l'ipotesi kurgan sviluppata da Marija Gimbutas, che determinarono la scomparsa delle società gilaniche. L'emigrazione verso l'Anatolia (freccia con tratti punteggiati) è avvenuta attraverso il Caucaso o i Balcani. La zona viola corrisponde al supposto Urheimat [15] (cultura di Samara, cultura di Sredny Stog). La zona rossa corrisponde alla zona di ubicazione degli indoeuropeo intorno al 2500 a.c. La zona arancione corrisponde alla loro progressione intorno al 1000 a.c.

Il cardine su cui ruota tutta la storiografia ufficiale è che la storia proceda linearmente e progressivamente, dalle civiltà meno evolute a quelle più evolute. L'autorità, la gerarchia e lo Stato non sarebbero altro che l'inevitabile risultato di questo presunto percorso evolutivo. Implicitamente si lascia intendere che questi siano elementi necessari per la creazione di una civiltà evoluta, pena il ritorno ad uno stadio primitivo e barbaro.

Le società gilaniche dimostrano la falsità di questo “principio” storico. Prima di tutto queste erano comunità organizzate, complesse ed evolute, almeno relativamente all'epoca, ma con una una sostanziale assenza di gerarchia e di qualsiasi forma di dominio. Quindi, è storicamente falso che l'organizzazione sociale necessiti di un'autorità governativa.

Il secondo aspetto riguarda coloro che soppiantarono i “gilanici”, cioè i Kurgan. Questi erano un popolo notevolmente rozzo, violento e con aspetti culturali e artistici chiaramente inferiori alle società gilaniche, tuttavia erano strutturati in una rigida gerarchia classista e sessista. Questo porta nuovamente ad evidenziare che la storia procede tutt'altro che linearmente; quando i Kurgan soppiantarono la gilania, la storia ha fatto un passo indietro, passando da una civiltà evoluta ed egualitaria ad una meno evoluta tuttavia, organizzata gerarchicamente.

Alcuni elementi tipici della "cultura gilanica" non scomparvero del tutto nei territori europei che avevano subito le influenze di questa civiltà libertaria, basterebbe pensare, tanto per fare un esempio, alle comunità di villaggio (mir) russe dell'800, su cui molti grandi pensatori socialisti russi, soprattutto i cosiddetti populisti specularono non poco avendo a disposizione molti testi di ricerca storica editi nel XIX secolo (von Haxthausen, von Mamer), oggi del tutto dimenticati.

Si può quindi affermare che, non solo è possibile concepire una società egualitaria, diversa da quella attuale, ma che questo modello sociale è già esistito! È esistito per buona parte della storia dell'umanità e le sue tracce sono giunte indelebili sino ad oggi.

Note

  1. Riane Eisler, contrariamente ai suoi predecessori, ha provato ad avere uno sguardo d'insieme della storia di quel periodo, inserendo le proprie ricerche nell'ambito degli studi degli antropologi, degli zoologi, dei paleontologi e degli archeologi. In questo modo è riuscita a non cadere negli stessi equivoci in cui caddero i vecchi archeologi, i quali poiché frequentemente lavoravano in solitario, e quindi avevano un punto di vista molto limitato delle cose, giungevano a delle errate e non oggettive interpretazioni della realtà
  2. Nell'Ottocento gli archeologi e gli storici del mito trovarono i resti dell'esistenza di società preistoriche avanzate che non erano né androcratiche né patriarcali. Essi però le definirono come matriarcali [J.J. Bachofen, 1967]; tuttavia le più recenti scoperte archeologiche dimostrano che queste società erano orientate verso un modello di società gilanico o di partnership.
  3. Il geografo James De Meo sostiene che i cambiamenti climatici avvenuti nell'Asia centrale e occidentale, provocarono una tale carestia (siccità particolarmente prolungata e progressiva desertificazione) da costringere all'emigrazione molti popoli e individui tra il quinto e il quarto millennio a.C. [J. Demeo, 1991, pp. 247-71].
  4. M. Gimbutas preferisce il termine Grande Dea a quello di Dèa Madre per indicare tutti i molteplici aspetti legati alla Dea oltre a quello della nascita e cioè il sostenere la vita, governare la morte, la rigenerazione, la fertilità della terra ecc.
  5. Leroi-Gourhan, Prehistoire de l'Art occidental, edition d'art L. Mazenod, 1971, pag. 120
  6. Nel rifugio di Cro-Magnon, a Les Eyzies (Francia), furono rinvenuti i primi scheletri risalenti al Paleolitico, accanto e sopra ai quali erano state disposte delle conchiglie. Lo studioso E.O James rivela che le conchiglie erano una forma primitiva di adorazione di una dea femminile simboleggiante un elemento apportare di vita.
    L'ocra rossa invece rappresenta il sangue mestruale della donna, ovvero anche il potere vivificante del sangue.
    Testi di riferimento per approfondire la questione sono: The Cult of the Mother Goddess: An Archaeological and Documentary Study (1959) di E. O James; Il linguaggio della Dea: mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica, The Goddesses and Gods of Old Europe di Marija Gimbutas; Le religioni della preistoria. Paleolitico di Leroi-Gourhan.
  7. Il pregiudizio maschilista ed androcentrico ha portato molti storici ad interpretazioni erronee dei ritrovamenti archeologici: es. Sir Flinders Petrie scambiò la tomba della regina egiziana Meryet-Nit per quella di un re per il semplice motivo che riteneva impossibile che nell'antico Egitto le donne avessero mai potuto assumere simili ruoli di potere. Stesso errore fu commesso con la scoperta della tomba a Nagadeh da parte diel prof De Morgan. Egli suppose che si trattasse del luogo di sepoltura del re Hor-Aha. In seguito Walter Emery rivelò che si trattava invece della tomba di Nit-Hoteo, madre di Hor-Aha. La storica dell'arte Merlin Stone ha rivelato come il pregiudizio culturale non sia un eccezione ma la regola (si riferiva soprattutto nel al passato visto che attualmente i pregiudizi stiano diminuendo cambiando...); la Stone scoprì che molti studiosi negavano validità storica a quelle testimonianze dimostranti l'esistenza di società fondate sulla parità dei sessi.
  8. Il sito fu scoperto alla fine degli anni cinquanta. Campagne di scavi furono condotte da James Mellaart tra il 1961 ed il 1965. Dal 1993, ulteriori ricerche sono state condotte da Ian Hodder.
  9. È bene sottolineare, come suggerisce la stessa Riane Eisler, che non si trattava di società ideali e perfette: vi era qualche differenza sociale, ma non estremizzata e comunque non basata sull'appartenenza ad un genere sessuale.
  10. L'articolo di Wikipedia cavalca l'idea, ormai storicamente appurata come falsa, di come l'agricoltura abbia generato al gerarchizzazione della società.
  11. Intervista a Marija Gimbutas
  12. J.P. Mallory, 1989, p. 288; M. Gimbutas, 1991
  13. Vedi anche: Catal Huyuk la città più antica del mondo
  14. The Goddesses an Gods of Old Europe (Dei e dèe dell'Antica Europa), di Marija Gimbutas
  15. L'Urheimat corrisponde alla cosiddetta “patria” originaria degli indoeuropei, cioè il luogo da cui partirono poi le loro ondate migratorie, che secondo la tesi di Marija Gimbutas corrisponderebbe alla Russia del sud.

Bibliografia

  • Riane Eisler, Il piacere è sacro: il mito del sesso come purificazione, edizioni Frassinelli, 1996
  • Riane Eisler, Il calice e la spada. La presenza dell'elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi, edizioni Frassinelli, 2006
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia edizioni, 2008
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea: mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica [1989]; introduzione di Joseph Campbell; traduzione di Nicola Crocetti di The Language of the Goddess

Voci correlate

Collegamenti esterni

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