Nichilismo

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Il nichilismo (dal latino nihil, nulla) si sviluppa, nella Russia del XIX secolo, come semplice pensiero di critica sociale, evolvendo poi gradualmente verso una dottrina politica che non ammette alcuna intromissione della società sull'individuo, rifiutando in modo assoluto ogni verità religiosa, metafisica, morale e politica.

Alcuni degli anti-zaristi che professavano il "terrorismo politico" vennero identificati come nichilisti. Sebbene effimero, questo movimento politico sollevò delle questioni alle quali si interessarono persone dalle più disparate idee. Da queste domande, che i nichilisti si ponevano, nacque una dottrina filosofica in relazione con l'assurdo sociologico, la negazione dei valori morali e, più generalmente, la negazione dell'esistenza di una realtà sostanziale.

Definizione

Il termine nichilismo designa in un senso generico l'atteggiamento o la dottrina volti a negare in modo definitivo e radicale l'esistenza di qualsiasi valore in sé e l'esistenza di una qualsiasi verità oggettiva, con conseguente svalutazione della realtà stessa.

Il nichilismo può essere definito in due modi differenti:

  • Un punto di vista filosofico secondo il quale nulla esiste realmente, e per questo chiamato "nichilismo passivo".
  • Un movimento politico russo, per questo chiamato "nichilismo distruttore", responsabile dell'assassinio dello zar Alessandro II di Russia.

I padri fondatori e i teorici del nichilismo [1]

Max Stirner

Il nichilismo, nell'arco del suo percorso storico, nega continuamente l'ordine esistente, e di conseguenza qualsiasi entità superiore, sia essa lo Stato o Dio, ed ha quindi numerosi punti di contatto con la dottrina politico-filosofica dell'anarchismo.

L'individualista anarchico Max Stirner realizzò, anche se in assenza del concetto, la prima autentica teorizzazione di una posizione filosofica che può essere definita nichilismo.

Mentre il maggior rappresentante del movimento anarchico internazionale Michail Bakunin, si proclamava fondatore del nichilismo ed apostolo dell'anarchia, radicalizzando il fenomeno nichilista in un connubio esplosivo d'idee anarchiche, socialiste e utopico-libertarie.

La paternità del termine, che secondo alcuni già nel Medioevo veniva utilizzato per indicare gli eretici cristiani [2], se l'attribuì con un certo vigore lo scrittore russo Ivan Sergeevic Turgenev (1818-1883). [3]

Egli definisce nel suo romanzo Padri e figli del 1862, nichilista il modo di pensare del protagonista, il quale è in conflitto con la generazione dei padri, e ne nega i valori e i princìpi impegnandosi a rimpiazzarli con altri nuovi.

Il primo uso filosofico vero e proprio del concetto, invece, viene individuato verso la fine del XVIII secolo [4] nel contesto delle controversie che caratterizzavano la nascita dell'idealismo. [5]

Nella contrapposizione dell'idealismo al dogmatismo, il termine viene impiegato per caratterizzare l'operazione filosofica mediante la quale l'idealismo intende “annullare” nella riflessione l'oggetto del senso comune, al fine di mostrare come esso, non sia in verità, altro che il prodotto di un'invisibile ed inconsapevole attività del soggetto.

A seconda del punto di vista favorevole o meno a tale operazione, il termine acquista un senso positivo o negativo.

Nichilismo significa allora, nell'accezione positiva la distruzione filosofica di ogni presupposto, in quella negativa invece, la distruzione delle evidenze e delle certezze del senso comune da parte della speculazione idealistica.

Al di là della paternità e dell'uso del termine, comunque i padri fondatori e grandi teorici di questa dottrina sono stati per il filone letterario Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), mentre per quello più propriamente filosofico Friedrich Nietzsche (1844-1900).

Per quanto riguarda Dostoevskij, lo scenario del nichilismo si sviluppa in tutta la sua ampiezza e profondità nelle opere Delitto e castigo del 1863, in Demoni del 1873 e ne I fratelli Karamazov del 1879-80.

Il fenomeno nichilista trova posto con la dissoluzione dei valori, ed esso viene rappresentato nei vari personaggi dei romanzi in tutte le varietà. Il romanziere russo vede la dissoluzione dei valori come una crisi che consuma l'anima russa, e nonostante egli voglia in un certo modo, avvertire di questa nefasta presenza, le sue opere contribuiscono a diffondere il morbo nichilista, favorendo inoltre, la caduta di certezza stabilite e minando ordinamenti consolidati.

Nietzsche invece, fu primo grande profeta e teorico, facendo il nichilismo oggetto di un'esplicita riflessione filosofica nell'opera postuma La volontà di potenza nel 1906. Con lui l'analisi del fenomeno raggiunge il suo culmine, maturando una consapevolezza storica circa le sue radici, che Nietzsche individua nel platonismo e nel cristianesimo.

Nietzsche non ha solo la consapevolezza della svalutazione nel mondo moderno dei grandi valori e dei grandi ideali, ma vuole sollecitare a portare alle estreme sue conseguenze queste crisi, evocando il futuro dilagare del fenomeno nichilista. Perché se esso si diffonde nel mondo moderno è per l'assenza di una “specie superiore” che solo con la sua fecondità e potenza possa rinsaldare la fede nell'uomo.

Come già sottolineato nel precedente capitolo, Nietzsche rappresenta il nichilismo in due accezioni principali, la prima, negativa, indica il fenomeno della decadenza dell'uomo occidentale, educato del cristianesimo all'ascetismo e alla rinuncia nei confronti della vita. La seconda accezione, questa positiva, indica la negazione della morale consolidata e dei valori tradizionali e la sua sostituzione con un nuovo sistema di valori.

Il primo grande teorico del nichilismo, come già sostenuto, è stato l'anarchico tedesco del filone individualista Max Stirner (1806-1846).

La sua opera principale L'unico e la sua proprietà [6], del 1844, è l'espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra nato come reazione allo hegelismo. Attraverso la negazione di Dio e della religione, secondo l'anarchico, si attua il processo di liberare l'uomo.

Stirner sostiene che Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa sul nulla, su null'altro che sé stessi. Allo stesso modo quindi, continua i filosofo, «io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro».

Nichilismo filosofico

Nietzsche nel 1861

Con le parole del filosofo Pier Paolo Ottonello possiamo affermare:

«Il nichilismo come negazione radicale o metafisica, è dunque negazione del senso dell'essere e degli enti in quanto significato e realtà sostanziali e valorativi, che possono essere tali solo in quanto fondati nell'assolutezza dell'essere. Nichilismo è dunque, essenzialmente, l'assoluta negazione di ogni assolutezza, che percorre le strade o dell'indeterminazione dell'essere e degli enti o dell'univocità radicale essere nulla».

In un significato più comune, il nichilismo è una concezione delle cose, resa mentalità dominante da una cultura oggi sempre più pervasiva (media), per la quale la realtà finirebbe nel nulla. Siccome l'uomo è limitato e sperimenta ogni giorno questo limite nella morte e nelle sue dolorose anticipazioni, allora tanto vale - al di là di quanto se ne sia coscienti - accettare che il niente sia il vero senso dell'essere. L'affermazione nichilista nega «vera consistenza alla realtà». Ma se il reale non è reale, se, pertanto, non è possibile stabilire un rapporto solido di conoscenza e di amore tra l'io (intelligenza e libertà) e la realtà, allora non esiste verità. Se l'uomo non può fare “esperienza” della realtà per attingere la verità, anche la libertà rimane assolutamente smarrita, resta una sorta di capacità che non ha oggetto e, quindi, alla fine neppure senso.

In Nietzsche la parola designa l'essenza della crisi che ha investito (e che sta tutt'ora investendo) la civiltà europea moderna: per Nietzsche il nichilismo è un evento che porta con sé decadenza e spaesamento, tanto da costituire una sorta di malattia da cui il mondo moderno è affetto; tale malattia condurrebbe alla disgregazione del soggetto morale, alla debilitazione della volontà e alla perdita del fine ultimo dell'esistenza (nichilismo passivo).

In Wille zur Macht (La volontà di potenza, ed. Kröner) egli afferma:

«Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all'opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove in una torturante tensione che cresce da decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più ed ha paura di riflettere».

A tale condizione seguirebbe, secondo Nietzsche, un risorgimento della volontà legislatrice umana e un superamento della condizione di malattia attraverso una multiforme rivalutazione dell'esistenza (nichilismo attivo) libera da ogni pretesa di verità assoluta. Fondamento ontologico del nichilismo è la "morte di Dio", simbolo della perdita di ogni punto di riferimento e massima rivelazione del nulla universale.

Il nichilismo significa per l'uomo non senso della domanda di senso della propria vita. Esso spesso è rafforzato da una concezione materialistico-evoluzionistica che riduce la domanda di senso ad epifenomeno dell'urgenza di sopravvivenza e di affermazione di sé che contraddistingue la vita biologica.

Il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) ha dato una definizione originale del nichilismo dei nostri giorni:

«Il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nei due sensi, che è senza inquietudine (cioè cerca una sequenza di godimenti superficiali nell'intento di eliminare il dramma dal cuore dell'uomo) - forse per la soppressione dell'"inquietum cor meum" agostiniano - e che ha il suo simbolo nell'"omosessualità" (per il fatto che intende sempre l'amore "omosessualmente", anche quando mantiene il rapporto uomo-donna) [il giudizio che qui ci interessa è antropologico, non anzitutto etico: il nichilismo gaio "non vedendo" la differenza, anche sessuale, come segno dell'altro, rischia di concepire l'amore come puro prolungamento dell'io (appunto "omosessualmente")]» (cfr. A. Del Noce, Lettera a Rodolfo Quadrelli, 1984).

Il nichilismo oltre che una filosofia è una "cultura", che ha profondamente segnato i saperi e le istituzioni, la politica dei gruppi dirigenti, il disciplinamento sociale di massa, il declino delle professioni umanistiche (cfr. Karl Löwith, Il nichilismo europeo, Laterza, Roma-Bari 1999).

Secondo Karl Löwith (1897-1973) mentre Nietzsche con la dottrina dell'"eterno ritorno" aveva pensato il nichilismo come principio filosofico, Heidegger, invece, pensa il principio filosofico come nichilismo.

Per Sergio Givone se da una parte il "nichilismo metafisico" afferma che il mondo non ha senso (perché la morte è l'orrore che tutto annienta) e termina così in un assurdo e, da un punto di vista cristiano, in una bestemmia, dall'altra il nichilismo dei nostri giorni è più tranquillizzante e consolatorio: predica l'accettazione da parte dell'uomo della propria condizione e l'inutilità delle speranze che sono fuori dalla sua portata.

Scrive Emanuele Severino che tutti da millenni credono che le cose e gli uomini nascono dal nulla e nel nulla ritornano:

«Nascere vuole dire [...] uscire dal niente; morire vuol dire tornare nel niente: il vivente è ciò che esce dal niente e torna nel niente» (in Che cosa fanno oggi i filosofi?, Milano 1982).

Tuttavia, scrive Diego Fusaro, «per Severino tutto è eterno. Non basta: solo in superficie si crede che le cose vengano dal nulla e che nel nulla alla fine precipitino, perché nel profondo siamo convinti che quel breve segmento di luce che è la vita è esso stesso nulla. È il nichilismo. È l'omicidio primario, l'uccisione dell'essere. Ma è una contraddizione: ciò che è non può non essere, né può essere stato o potrà mai essere nulla. Una contraddizione che è la follia dell'Occidente, e ormai di tutta la terra. Una ferita che necessita di numerosi conforti, dalla religione all'arte, tutti affreschi sul buio, tentativi di nascondere, medicare il nulla che ci fa orrore. Per fortuna ci attende la Non Follia, l'apparire dell'eternità di tutte le cose. Noi siamo eterni e mortali perché l'eterno entra ed esce dall'apparire. La morte è l'assentarsi dell'eterno. Abbiamo tutti nel sangue il nichilismo. [...] Tutto è eterno significa che ogni momento della realtà è, ossia non esce e non ritorna nel nulla, significa che anche alle cose e alle vicende più umili e impalpabili compete il trionfo che si è soliti riservare a Dio».

Contro nuovi e possibili irrigidimenti metafisici (non sono più concepibili princìpi immutabili) si esprime il filosofo italiano Gianni Vattimo che critica il “nichilismo negativo”, che si ostina a propugnare l'idea di un fondamento (una verità, un valore, un'idea) naturale:

«[...] già tentare di modellare leggi, costituzioni, provvedimenti politici ordinari, sull'idea di una progressiva liberazione di norme e regole da ogni preteso limite “naturale” (e cioè ovvio solo per chi detiene il potere) può diventare un progetto politico positivo» (in Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, 2003, p. 8).

Egli affida un compito politico alla tradizione della Sinistra:

«Una sinistra nichilistica non-metafisica, non potrà più fondare le proprie rivendicazioni sull'uguaglianza, ma dovrà invece porre alla base la dissoluzione della violenza. È chiaro perché: l'uguaglianza è sempre ancora una tesi metafisica che si espone a essere confutata come tale, in quanto pretesa di cogliere una essenza umana data una volta per tutte» (in Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, 2003, p. 104).

Nella società attuale si possono ricondurre al nichilismo vari fenomeni sociali; fra essi, quasi come un estremo, l'odierno fenomeno anarcho-punk, che associa al nichilismo una visione politica impropria e riadattata del concetto di anarchia per sottolineare caos e confusione.

Va infine ricordato il profondo nesso tra nichilismo e tecnica, come viene sviluppato nella riflessione da Heidegger e molti altri.

Nichilismo politico

La diffusione del nichilismo nella Russia ottocentesca, grazie all'attività del critico letterario Pinsarev (intorno al 1860) e di due dei padri dell'anarchismo russo e internazionale, Michail Bakunin e soprattutto Pëtr Kropotkin, rappresenta, invece, lo spostamento del significato del termine nichilismo dall'ambito strettamente filosofico a quello più propriamente sociale e politico. Il movimento nichilista russo si sviluppa attraendo soprattutto i giovani della classe media e superiore, mentre in Occidente tale movimento veniva bollato superficialmente come movimento terroristico.

Praticamente si verifica l'assunzione di un soggetto privilegiato, di un atteggiamento radicale che annichilisce tutto ciò che ne delinea l'agire. Infatti, fa la comparsa la figura del nichilista quale libero pensatore che demolisce ogni presupposto, ogni pregiudizio e ogni condizione già data o valore tradizionale.

Si delineano così i tratti del nichilista anarchico-libertario, che vivrà la sua stagione più intensa negli ultimi decenni del XIX secolo. Verso la fine dell'Ottocento la dottrina del nichilismo diventa quindi, nel pensiero russo, fenomeno di portata generale.

I teorici del nichilismo russo, nell'esaltare il senso dell'individualità, contestavano l'autorità e l'ordine esistente, attaccando specialmente i valori della religione, della metafisica e dell'estetica tradizionali, considerati come “nullità”, come illusioni destinate a dissolversi. La più attendibile descrizione del nichilismo è quella fatta da Kropotkin, secondo cui il nichilista di solito era un giovane ribelle e insoddisfatto della società russa, uno che aveva rotto «con le superstizioni dei suoi genitori, essendo un positivista filosofico, un ateo, uno spenceriano del materialismo evoluzionista scientifico»: [7]

«¡Vnaród! [andiamo al popolo, uniamoci a lui]. Nel corso degli anni tra il 1860 e il 1865, in quasi tutte le case delle famiglie benestanti si sosteneva una lotta feroce tra i genitori, decisi a mantenere le antiche tradizioni, ed i loro figli e figlie, che difendevano il loro diritto a disporre della propria esistenza secondo i loro ideali [...] In ogni popolazione russa, in ogni distretto di San Pietroburgo, si formavano piccoli gruppi di mutua assistenza; le opere di filosofi, il lavoro di economisti, la ricerca della nuova scuola della storia russa venivano letti con attenzione in quei circoli, in cui seguivano grandi discussioni. L'oggetto di tutta questa lotta non era altro che la soluzione del grande problema che gli stava davanti. [...] Questi ragazzi e ragazze non avevano nella loro mente alcun pensiero di ricostruzione sociale, né pensavano alla rivoluzione; si preoccupavano solo di insegnare alla massa dei contadini a leggere e di istruirla su vari aspetti, fornire assistenza medica e aiuto con tutti i mezzi possibili per farla uscire dall'oscurità e dalla miseria, insegnando ciò che erano gli ideali popolari per una vita sociale migliore» (Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario).

Decisivo per la preparazione e la diffusione del concetto di nichilismo fu il già menzionato romanzo di Turgenev, anche se la mente del fenomeno fu Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij (1828-1889): il suo romanzo Che fare? rappresentò, infatti, uno dei principali manifesti del nichilismo russo.

Nonostante la dura repressione, le idee nichiliste si diffusero rapidamente e infiammarono la gioventù russa per merito di Sergej Gennadjevič Nečaev (1847-1882), autore di un Catechismo del rivoluzionario, il quale entrò in contatto con Michail Bakunin. [8] Il termine nečaevismo fu allora impiegato per designare le forme più spregiudicate e intransigenti di nichilismo politico, un modo estremo di concepire l'azione rivoluzionaria. [9] [10]

Il 13 marzo 1881 il gruppo Volontà del Popolo mise in atto un attentato mortale nei confronti dello Zar Alessandro II: quando questi si trovava nei pressi del Palazzo d'Inverno di San Pietroburgo, fu mortalmente ferito dal lancio di alcune bombe a mano. I congiurati, Nikolai Kibalcic Sofia Perovskaya, Nikolai Rysakov Timofei Mikhailov e Andrei Zhelyabov, furono arrestati e condannati a morte. Gesy Gelfman fu invece mandato in esilio in Siberia. L'assassino materiale fu identificato in Ignacy Hryniewiecki, morto durante l'attacco. [11]

Anarco-nichilismo

Ispirandosi soprattutto a Max Stirner ed in parte anche a Nietzsche, molti anarchici si sono definiti nichilisti o anarco-nichilisti, con l'intento di rimarcare la propria originalità rispetto alla corrente sociale dell'anarchismo.

L'individualista Renzo Novatore definì il proprio nichilismo con queste parole:

«Mi dico nichilista solo perché so che nichilismo vuol dire negazione! Negazione di ogni società, di ogni culto, di ogni regola e di ogni religione. Ma non agogno al Nirvana come non anelo al pessimismo disperato ed impotente dello Schopenhauer, che è qualche cosa di peggio della stessa rinnegazione violenta della vita. Il mio, è un pessimismo entusiasta e dionisiaco come le fiamme che incendiano la mia esuberanza vitale, che irride a qualsiasi prigione teoretica, scientifica e morale. E se mi dico anarchico individualista, iconoclasta e nichilista, è appunto perché credo che in questi aggettivi siavi l'espressione massima e completa della mia volitiva e scapigliata individualità che, come un fiume straripante, vuole espandersi impetuosamente travolgendo argini e siepi, fintanto che, urtando in un granitico masso, s'infranga e si disperda a sua volta. Io non rinnego la vita. La sublimo e la canto» (Anch'io sono nichilista, da Nichilismo, Anno I, n. 4, 21 maggio 1920).

Il nichilismo, in particolare nelle sue accezioni nietzschiane e superuomistiche, fu, invece, combattuto da Camillo Berneri con grande determinazione: «Una vita di quotidiani sforzi di volontà e di quotidiane esperienze di dolore e di amore vale certo più dei sogni infingardi dei Super-uomini, che si credono tali solo perché non sanno, non vogliono essere uomini».

Il dibattito tra Novatore e Berneri

Date le divergenti idee sull'uso della violenza nell'azione diretta, tra Novatore e Berneri si sviluppò un aspro conflitto intellettuale.

«La mia libertà» - scrisse Novatore in un articolo apparso su Iconoclasta! n° 10 del 26 novembre 1919 ed intitolato L'Espropriatore - «e i miei diritti sono tanti quanto la mia capacità di potenza. Anche la felicità e la grandezza l'avrò solo in misura della mia forza. L'Espropriatore è la più bella figura maschia spregiudicata e virile che io abbia incontrato nell'anarchismo».

Berneri non condannò aprioristicamente la violenza quale strumento di lotta politica, ma prese le distanze dall'esaltazione della violenza come fine a se stessa e come atto di libertà: «La mia libertà è la mia forza, quanto più sono capace di volere e quanto meglio è diretto il mio volere tanto più sono libero. All'autorità delle gerarchie basate sulla violenza e sul privilegio anteponiamo quella delle gerarchie tecniche, agenti per utilità generale e formatesi liberamente. L'autorità è libera quando l'autorità sia mezzo di liberazione, ma lo sforzo antiautoritario è necessario come processo di autonomia». [12]

La reazione di Novatore fu veemente, volgare ed offensiva e tendente a tracciare un solco incolmabile tra le due diverse concezioni dell'anarchia, secondo lui assolutamente inconciliabili. [13]

In realtà, gli esponenti più maturi e consapevoli del movimento anarchico cercarono, ad ogni latitudine, di saldare le due anime dell'anarchia per organizzare una reazione adeguata al fascismo imperante ed alla reazione dei governi borghesi, che, impauriti dal trionfo bolscevico, erano disposti a correre qualunque tipo di rischio pur di non dare agli anarchici la possibilità di organizzarsi e di diffondere il loro pensiero. Si cercò di strutturare l'attività politica, compresi gli attentati, gli omicidi, le rapine, gli espropri, in un ambito di "reazione di massa", quale risposta alla violenza borghese per riaffermare la libertà sostanziale del proletario, del diseredato e dell'emarginato. [14]

Il nichilismo oggi

Logo della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, un gruppo informale greco che si autodefinisce anarco-nichilista.

Il filosofo Franco Volpi nella sua opera Il nichilismo scrive: [15]

«La civiltà tecnologico-industriale ha ormai raggiunto un pun­to di non ritorno e ha assunto il carattere dell'irreversibilità. Non v'è più forza - non il sapere, non la filosofia, né la religione né l'arte - in grado di produrre una nuova immagine del mondo. La civiltà della scienza e della tecnica è giunta a quella che - in un omonimo saggio del 1961 - Gehlen chiama la cristallizzazione culturale».

«Il nichilismo della cul­tura contemporanea non è soltanto crisi dei valori e assenza di tra­scendenze condivise: è anche il fatto che l'agire dell'uomo non si in­fiamma più tra i due poli opposti della tradizione e della rivoluzione, ma si avvita nella ristretta prospettiva del "qui e ora". Non la storia né l'avvenire, ma la puntiformità dell'attimo presente è l'orizzonte per l'a­gire dell'uomo contemporaneo. La soggettività, principio regale del pensiero moderno, è oggi indebolita, decostruita, ed è incapace di reg­gere il peso dell'arco storico che si tende tra storia e utopia. La sua pro­gettualità si appiattisce tutta nella fruizione e nel godimento del pre­sente. Questo è il problema: noi vogliamo la realizzazione più libera e più completa possibile dell'individuo e la vogliamo ora; noi vogliamo la felicità più grande possibile e la vogliamo oggi; noi vogliamo la so­luzione di tutti i problemi sociali, ma non un giorno nell'avvenire, ben­sì oggi o al più tardi domani o dopodomani».

«Il nichilismo [...] è oggi espressione di un profondo malessere della nostra cultura: che si accavalla, sul piano storico-sociale, ai processi di seco­larizzazione e di razionalizzazione, quindi di disincanto e di frantuma­zione della nostra immagine del mondo [...] E quale che sia l'atteggiamento che si assume nei suoi confronti, di ac­cettazione o di rifiuto, chiunque può vedere quanto la storia abbia riempito il nichilismo "di sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori"».

Recentemente diversi membri di gruppi informali ed insurrezionali come la Federazione Anarchica Informale e la Cospirazione delle Cellule di Fuoco si sono definiti anarco-nichilisti.

Note

  1. Fonte principale: La Fiaccola dell'anarchia
  2. «Prescindendo dall'uso non meglio attestato che già Agostino ne avrebbe fatto con l'apostrofare come "nichilisti" i non credenti, l'apparizione del termine, nella variante nihilianismus, è documentata in Gualtiero di San Vittore. Questi lo usa per designare l'eresia cristologica secondo la quale, essendo il logos divino eterno e non creato, l'umanità compete a Cristo solo come accidente. Tale "nichilianismo teologico" sarebbe stato sostenuto da Pietro Lombardo nel quarto dei suoi celebri Libri sententiarum, che per questo è attaccato da Gualtiero di San Vittore e da Roberto di Melun, e poi ufficialmente condannato da papa Alessandro III, che nel 1173 scrive a Guglielmo di Champagne, allora arcivescovo di Sens, per condannare l'eresia dei nichilisti. Se ci si attiene [...] rigorosamente alla forma nihilismus, essa compare per la prima volta nel 1733 nel titolo del trattato di Fridrich Lebrecht Goetz De nonismo et nihilismo in theologia, in cui è definito nichilismo il ritenere che tutto sia nulla, "pro nihilo habere omnia"» (Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999).
  3. «In realtà, il termine nichilismo era già stato impiegato in precedenza, sia altrove sia nella stessa Russia. Per esempio, già nel 1829 il critico romantico N. I. Nadeždin, in un articolo intitolato L'adunata dei nichilisti (Somnišče nigilistov), aveva definito nichilisti coloro che nulla sanno e nulla capiscono. E anche M. N. Katkov aveva usato l'epiteto di "nichilisti" per criticare i collaboratori della rivista "Il Contemporaneo" come gente che non crede a nulla. Comunque sia, a Turgenev va riconosciuto [...] almeno il merito di aver reso popolare il termine» (Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999).
  4. « [...] un primo uso più generale della parola è stato individuato nella cultura francese della Rivoluzione. In questo contesto storico l'attributo "nichilista" fi impiegato per qualificare la schiera di coloro che non erano "né per né contro la Rivoluzione". Trasferendo questo significato sul piano delle convinzioni religiose, Anacharsis Cloots [...] affermava in un suo discorso del 26 dicembre 1793 che "la Repubblica dei diritti dell'uomo non è né teista né atea, è nichilista"» (Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999).
  5. «Jacobi accusa l'idealismo di essere un nichilismo, introducendo per primo il termine con una valenza filosofica. [...] in una missiva di Jacobi a Fichte, stesa nel marzo e pubblicata nell'autunno del 1799, Jacobi afferma: "In verità, mio caro Fichte, non deve infastidirmi se Lei, o chicchessia, vuole chiamare chimerismo quello che io contrappongo all'idealismo, a cui muovo il rimprovero di nichilismo". [...] Daniel Jenisch [...] impiega [il termine nichilismo] nel suo trattato Sul fondamento e sul valore delle scoperte del prof. Kant in metafisica, morale ed estetica ([...] 1796) [...] Più o meno contemporaneamente a Jacobi [...] usano il termine "nihilismo" anche altri autori noti come Friedrich Schlegel e Jean Paul. [...] il termine viene impiegato in senso tecnico [...] dai giovani Schelling e Hegel [... e da] altri esponenti minori del movimento, come Karl Rosenkranz, Christian Weisse e Immanuel H. Fichte, di volta in volta con accentuazioni diverse. Ma più ci si allontana dall'originaria controversia circa la genesi dell'idealismo, più il significato del termine si sposta dall'ambito strettamente filosofico-speculativo a quello sociale e politico, cioè alle conseguenze ingenerate dall'assunzione, da parte di un soggetto privilegiato, di un atteggiamento di radicale annichilimento di tutto ciò che ne delimita l'agire. Fa la sua comparsa la figura del "nichilista" quale libero pensatore che demolisce ogni presupposto, ogni pregiudizio, ogni condizione già data, quindi anche ogni valore tradizionale, e che prefigura così i tratti del nichilista anarchico-libertario che vivrà la sua stagione più intensa negli ultimi decenni dell'Ottocento» (Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999).
  6. L'unico e la sua proprietà
  7. Kropotkin, Memorias de un revolucionario
  8. Per conoscere la storia del rapporto tra Bakunin e Nečaev si veda la voce relativa a quest'ultimo nonché il libro di Michael Confino Il catechismo del rivoluzionario - Bakunin e l'affare Nečaev.
  9. «Il testo del Catechismo ci mette di fronte a un atteggiamento rivoluzionario di tipo nichilista: l'autore descrive la rivoluzione come un fine in sé, al quale tutto il resto è subordinato. Il carattere strettamente attivista de Il catechismo salta subito agli occhi. Normalmente, il rivoluzionario cerca l'azione di massa; e poiché il suo scopo è di aiutare i lavoratori a organizzarsi, egli si sforza di mobilitarli e di inquadrarli, ideologicamente e praticamente, per aiutarli a prendere coscienza dei propri interessi e delle proprie forze, cosicché possano lottare efficacemente per gli obiettivi economici, sociali e politici da raggiungere. In questa prospettiva, il rivoluzionario è un uomo che si è schierato personalmente, impegnandosi nelle file del proletariato, uno che sceglie di partecipare direttamente alla lotta di classe. Il punto di vista dell'autore de Il catechismo, invece, è completamente diverso. Per lui, il ruolo fondamentale di un rivoluzionario non è più quello di impegnarsi in un'azione di massa, né di aiutare con gli strumenti intellettuali della dottrina, dell'informazione o della propaganda, le classi sfruttate a prendere coscienza della loro condizione, e ancor meno di lottare a fianco dei lavoratori per la causa rivoluzionaria. È dall'esterno che il nichilista agirà sulla pratica rivoluzionaria: il suo metodo consisterà, dunque, nel provocare dall'esterno e indirettamente agitazioni irreversibili utili alla rivoluzione. Il nichilista dovrà imparare a manipolare passioni dall'impatto devastante. Dovrà creare situazioni insostenibili e provocare ovunque la repressione. Qui il popolo non è più il fine, bensì il mezzo della rivoluzione. Non c'è più bisogno di un'ideologia: bastano poche idee elementari. La rivoluzione è un problema di fisica, le masse sono la fonte d'energia. Da qui il profondo disprezzo per Nečaev per tutti i dottrinari, i rivoluzionari a parole e gli studenti, che provenivano generalmente dalla piccola nobiltà o dalla borghesia. Egli era assolutamente convinto, difatti, che la rivoluzione russa non sarebbe mai arrivata grazie ai membri dell'intellighenzia» (Jean Préposiet, Storia dell'anarchismo, pp. 400-401).
  10. Scrive Albert Camus ne L'uomo in rivolta: «Da questo momento [dopo la morte di Nečaev], in seno alla rivoluzione, tutto è veramente lecito, l'omicidio può essere eretto a principio. Si è tuttavia creduto, col rinnovarsi del populismo nel 1870, che questo movimento rivoluzionario, sorto dalle tendenze religiose ed etiche che troviamo nei decembristi e nel socialismo di Lavrov e di Herzen, dovesse frenare l'evoluzione verso il cinismo politico illustrata da Nečaev. Il movimento faceva appello alle "anime vive", chiedeva loro d'andare verso il popolo e di educarlo affinché muovesse da sé alla liberazione. I "gentiluomini penitenti" lasciavano le loro famiglie, indossavano povere vesti e andavano per i villaggi a catechizzare il contadino. Ma il contadino diffidava e taceva. Quando non taceva, denunciava l'apostolo al gendarme. Questa sconfitta delle bell'anime doveva respingere il movimento verso il cinismo di un Nečaev, o almeno verso la violenza. Per non aver potuto ricondurre a sé il popolo, l'intellighenzia si è sentita di nuovo sola dinanzi all'autocritica; di nuovo, il mondo le è apparso sotto le specie del padrone e dello schiavo. Il gruppo Volontà del Popolo erigerà dunque a principio il terrorismo individuale e inaugurerà la serie degli omicidi che è continuata fino al 1905, col partito socialista rivoluzionario. I terroristi nascono a questo punto, distolti dall'amore, certi contro la colpevolezza dei padroni, ma solitari con la loro disperazione, di fronte alle proprie contraddizioni che non potranno risolvere se non nel duplice sacrificio della loro innocenza e della vita».
  11. Questo capitolo è stato estratto in parte da La Fiaccola dell'anarchia
  12. Sono tematiche che Berneri riprese da uno dei suoi maestri e rielaborò, quel Luigi Fabbri che aveva affrontato la stessa questione: «L'anarchismo» - sosteveva Fabbri - «è il sistema filosofico per eccellenza negatore dell'autorità, la quale della violenza è la prima forma esplicativa. Quando infatti gli anarchici si dicono nemici del principio di autorità lo dicono in quanto in nessuno riconoscono il diritto di coartare la libertà e l'azione degli altri, di limitare e violentarne la libertà. Questo concetto della libertà individuale [...] posto a base della convivenza civile [...] esclude la possibilità della violenza sistematica, giacché dove c'è autorità c'è violenza e dove c'è violenza non c'è libertà, e quindi non c'è anarchia possibile» (da Il concetto di violenza secondo l'anarchismo, in Il Pensiero del 16 marzo 1910).
  13. La risposta di Novatore è contenuta in un articolo intitolato Sferzata, pubblicato su Iconoclasta! nn. 1-2 del 20 febbraio 1921: nel testo definisce Berneri «stercomane», «castrato», «caco isterico geloso della mia penna», mentre lui stesso si definisce «amoralista in quanto anarchico».
  14. Cfr. A. Orlando - A. Pagliaro, Chico il professore pp. 66-67
  15. Il nichilismo, di Franco Volpi, Laterza, Bari 1999

Bibliografia

  • Ivan Sergeevič Turgenev, Padri e figli, Einaudi, 2006 (prima edizione 1862)
  • Gianni Vattimo, Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, Garzanti, 2003
  • Sergio Giovone, Storia del nulla, Laterza, Roma-Bari, 2003
  • Albert Camus, L'uomo in rivolta, Bompiani, 2002
  • Max Stirner, L'unico e la sua proprietà , Adelphi, 1999
  • Karl Löwith, Il nichilismo europeo, Laterza, Roma-Bari, 1999
  • Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, Bari, 1999
  • Emanuele Severino, Essenza del nichilismo, Milano, 1972
  • Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Utet, Torino, 1971

Voci correlate

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