Socialismo

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Il socialismo è storicamente da intendere quella teoria, dottrina o pratica sociale che promuove il possesso collettivo dei mezzi di produzione, e la sua amministrazione è ugualmente collettiva (dove per «collettivo» non s'intende necessariamente collettivizzazione, bensì anche possesso individuale di un bene), nell'interesse generale e non in favore di alcune classi sociali o gruppi con interessi particolari.

Originariamente tutte le dottrine socialiste ambivano a realizzare la creazione di una società priva di classi sociali e la soppressione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Fino al 1848, i termini socialismo e comunismo erano considerati sinonimi, poi in seguito Marx differenziò il socialismo scientifico da quello utopistico. Più o meno nello stesso periodo prese a svilupparsi come movimento una nuova corrente del socialismo: l'anarchismo; fin dagli esordi però i militanti anarchici ne rimarcarono le differenze rispetto al marxismo e alle altre correnti socialiste, ed ancora oggi alcune correnti anarchiche ritengono che l'anarchismo abbia peculiarità tali da non poter essere annoverato nell'ambito della famiglia socialista.

Il socialismo, nel suo reale significato storico e non in quello che poi ha assunto politicamente nel tempo (comunismo, socialdemocrazia, laburismo, craxismo ecc.), non certo può essere riformista o rivoluzionario, marxista o libertario, ma è sempre contro il capitalismo e le diseguaglianze sociali che ne conseguono.

I precursori socialisti e il socialismo utopistico

Henri de Saint-Simon

Le dottrine socialiste fecero la loro comparsa nei primi decenni del XIX secolo e sono perciò strettamente connesse alle trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale [1].

Prima di allora però comparvero molti scritti in cui venivano denunciate le iniquità della società dell'epoca: in Utopia (1516) l'inglese Tommaso Moro descrisse una società che viveva in comunanza di beni ed era posta sotto amministrazione di un mite governo di sapienti; il calabrese Tommaso Campanella, ne La Città del Sole (1620), tracciò invece le linee di uno Stato ideale ispirato anch'esso alla totale comunanza dei beni. Alla fine del XIX secolo fu la volta della Rivoluzione Francese a proclamare l'eguaglianza di tutti gli uomini e le donne, in particolare fu la cosiddetta Congiura degli Uguali di Gracco Babeuf a sollevare quest'incongruenza della società moderna.

Dopo la rivolta di Lione del XIX secolo, che può essere considerata la prima rivolta operaia nel mondo moderno, fu la volta di quelli che Karl Marx chiamò socialisti utopistici: i francesi Saint-Simon, Blanc, Blanqui, Pierre Joseph Proudhon e Charles Fourier. Anche l'inglese Robert Owen può essere catalogato nell'ambito del socialismo utopistico, nonostante il socialismo inglese si distinse per il suo carattere riformistico piuttosto che per quello rivoluzionario.

Il limite del socialismo utopistico fu l'astrattezza delle sue teorie, molto spesso ispirate al rimpianto per un mondo precapitalistico oramai perduto, che in seguito furono in parte superate dal marxismo e dal socialismo scientifico.

Socialismo riformista e socialismo rivoluzionario

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi Movimento operaio.

Il socialismo è una corrente di pensiero legata ai movimenti che a partire dal XIX° secolo lottarono per migliorare le condizioni economiche delle classi oppresse e sfruttate dal capitalismo (movimento operaio). Il socialismo scaturì dallo sviluppo del movimento operaio e inizialmente si oppose al liberalismo classico, propugnando la nazionalizzazione o la socializzazione dei mezzi di produzione, secondo un fine ben preciso: abolire il profitto individuale e ricercare il bene comune collettivo. Sul piano internazionale i socialisti si contrappongono al nazionalismo e all'imperialismo, anche se non mancarono e non mancano atteggiamenti contraddittori (come quei socialisti che appoggiarono la Prima guerra mondiale).

La corrente rivoluzionaria

Viene identificato come Socialismo rivoluzionario quella componente rivoluzionaria del socialismo, sia in movimenti socialisti non marxisti, come il partito socialista rivoluzionario russo o come i sostenitori delle posizioni di Babeuf, sia in movimenti marxisti. In epoca recente spesso viene ad indicare movimenti di area luxembourghiana, formata da socialisti ispirati a Rosa Luxemburg che si oppongono al centralismo autoritario marxista-leninista ed in favore di uno spontaneismo delle masse.

Dopo la Rivoluzione russa del 1917 e soprattutto la terza internazionale del 1919, il termine socialismo rivoluzionario di radice marxista viene fatto impropriamente coincidere con quello di comunismo.

In Italia esiste un'organizzazione che si rifà alla corrente internazionale di pensiero Utopia socialista che si chiama Socialismo Rivoluzionario. L'organizzazione nasce negli anni '70 caratterizzandosi subito per la propria indipendenza tanto dalla tradizione togliattiana del PCI che da quella del trotskismo italiano, corrente internazionale alla quale si rifaceva. Inizialmente prende il nome di Lega Socialista Rivoluzionaria iniziando ad operare a Napoli per espandersi rapidamente su tutto il territorio nazionale. Nel 1990 ad Assisi con un congresso fondativo diviene Socialismo Rivoluzionario, nome che ancora la caratterizza. Il percorso di rinnovamento teorico e costruttivo intrapreso porta l'organizzazione a superare progressivamente l'originario riferimento trotskista e marxista rivoluzionario classico per fondare un'organizzazione che si caratterizza per una ricerca ed un impegno rivoluzionario umanista e socialista, alternativo come fini e metodi alla tradizione politica dell'estrema sinistra italiana. Ad oggi SR ha diverse sedi in Italia.

La corrente riformista

Sin dalla fine del XIX° secolo fu chiamata revisionista la corrente riformista del marxismo che cominciò a mettere in dubbio le previsioni "scientifiche" di Karl Marx. I riformisti, di cui il tedesco Eduard Bernstein (1850- 1932) fu uno dei maggiori esponenti, elaborarono la "teoria revisionista", che in sostanza voleva semplicemente "aggiustare" qualche stortura dell'economia di mercato. In seguito i revisionisti proseguirono sempre più sulla via del capitalismo e del parlamentarismo, finendo con l'essere chiamati "socialisti democratici" o "socialdemocratici", ma avendo oramai smarrito ogni legame con le radici storiche del vero socialismo (es. Bettino Craxi in Italia, Tony Blair in Gran Bretagna, Gerhard Schröder in Germania ecc.). Tutti coloro che avversavano il revisionismo furono definitii "socialisti marxisti" o "massimalisti".

In Italia l'ascesa del socialismo, nei primi anni del Novecento, si basò da una parte sulla scelta giolittiana favorevole a un'evoluzione democratica del Paese, e dall'altra sull'affermazione all'interno del Partito socialista del gruppo dirigente riformista di Filippo Turati e Claudio Treves.

Secondo Turati, l'avvento al potere di Giolitti aveva posto le premesse per una crescita del movimento operaio e per un'evoluzione pacifica verso il socialismo. Il limite del riformismo era l'insufficiente attenzione riservata alla Questione meridionale, come denunciò lo storico Gaetano Salvemini: infatti, i socialisti basavano il loro programma agrario sulla socializzazione (proprietà e gestione collettive della terra), che non rispecchiava le esigenze dei piccoli proprietari, affittuari e coloni del Mezzogiorno, che miravano a un possesso individuale della terra.

Socialismo scientifico

Exquisite-kfind.png Vedi Socialismo scientifico.
Friedrich Engels

Il socialismo scientifico è una forma di elaborazione teorica ideata da Karl Marx e Friedrich Engels, definita tale perché intende distinguersi dal socialismo utopistico, basato secondo Marx su astrazioni e congetture, attraverso l'analisi e la comprensione scientifica (vera o presunta) delle leggi della storia e della società.

Marx fondò il proprio pensiero sul materialismo storico, cioè sulla «concezione materialista della storia», che è un metodo di analisi reale delle condizioni materiali (cioè economiche) dello sviluppo sociale e quindi uno strumento pratico atto a modificarle rivoluzionariamente. Invece il materialismo dialettico, che Karl Marx abbracciò in una fase successiva all'elaborazione del materialismo storico, reinterpreta la dialettica hegeliana, considerando l'evoluzione della materia e non dell'Idea (come faceva Hegel). Il materialismo dialettico non solo reinterpreta la realtà, ma ha la pretesa di offrire una visione scientifica e deterministica degli avvenimenti storici, prevedendo la crisi del capitalismo e il conseguente arrivo del comunismo.

La concezione materialista della storia portò Marx a sostenere che la storia dell'umanità è lotta di classe e quella che attualmente vede contrapposte borghesia e proletariato è il risultato della contraddizione capitalista. La schiavitù dell'uomo non è quindi data dalle loro rappresentazioni bensì dalle condizioni materiali («non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza»), quindi solo la “praxis umana” (teoria e pratica rivoluzionaria) può modificare le strutture sociali e quindi anche il modo il modo di pensare degli esseri umani. Poiché le idee delle classi dominanti sono le idee dominanti, è quindi necessario modificare i rapporti di produzione materiale (struttura) per cambiare le idee politiche religiose, culturali, filosofiche, morali ecc. (sovrastruttura).

La concezione materialista della storia non può essere interpretata in maniera eccessivamente meccanicista, nonostante esistano correnti del marxismo di questo genere, perché Marx non negò l'importanza delle idee, proprio perché possono trasformarsi in prassi. Da queste considerazione ne deriva che per Marx è compito storico del proletariato maturare la coscienza di classe che lo porti alla rivoluzione, ad impadronirsi dello Stato (dittatura del proletariato) e ad educare le masse sino all'estinzione dello stesso, in cui le persone potranno rapportarsi in piena libertà, senza leggi né autorità (anarchia).

Gli anarchici e il socialismo

Carlo Pisacane, primo socialista libertario italiano

Tutte le correnti anarchiche sono socialiste perché tutte si oppongono al capitalismo. Individualisti come Benjamin Tucker, o anarchici sociali come Proudhon e Bakunin, si autodefinivano «socialisti» in quanto, come scrive Kropotkin, «quando il Socialismo era inteso nel suo senso esteso, generico e vero – come sforzo per abolire lo sfruttamento dei lavoratori da parte del Capitale – gli anarchici marciavano mano nella mano con i socialisti di quel tempo».

Tucker scrive invece che «l'obiettivo di fondo del Socialismo [è] che i lavoratori dovrebbero arrivare alla gestione delle proprie cose», sostenendo inoltre che il capitalismo non è un vero libero mercato, essendo basato sulle varie leggi e monopolii che i capitalisti creano per mettersi in una posizione di vantaggio sui lavoratori, che essi sfruttano per mezzo del profitto, dell'interesse e dell'affitto. Max Stirner, l'egotista, non dice nulla al proposito ma disprezza la società capitalista ed i suoi vari “spettri”, che per lui sono le idee trattate come sacre quale la proprietà privata, la concorrenza, la divisione del lavoro e così via. Proudhon, pur non essendo collettivista, fa riferimento ad un individualismo sociale, in cui i singoli hanno in mano il possesso dei beni (usufrutto) ma non la proprietà privata.

L‘anarchico individualista Joseph A. Labadie disse (sostenuto anche da Tucker e Bakunin): «Si dice che l'Anarchismo non è socialismo. Questo è un errore. L'anarchismo è Socialismo volontario. Ci sono due tipi di socialismo, archico o anarchico, autoritario o libertario, statuale o libero. Infatti vi sono proposte di miglioramento sociale che sono per aumentare o per diminuire il potere delle volontà e delle forze esterne, sull'individuo. Se lo aumentano sono archici [non anarchici]; se lo diminuiscono sono anarchici» (Anarchism: What It Is and What It Is Not).

Labadie affermò in molte occasioni che «tutti gli anarchici sono socialisti, ma non tutti i socialisti sono anarchici», mentre Daniel Guérin affermò: «Anarchismo è veramente sinonimo di socialismo. L'anarchico è prima di tutto un socialista, il cui obiettivo è di abolire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo». La posizione degli anarchici di fronte al socialismo è sintetizzata dal socialismo libertario, definito anche "autogestionarismo","anarco-socialismo", "antiautoritarismo" o anche "sinistra libertaria". Uno dei primi teorici di quello che può essere considerato una sorta di "Socialismo libertario" fu Pierre Joseph Proudhon, poi Carlo Pisacane, Francesco Saverio Merlino e soprattutto Camillo Berneri.

Pier Carlo Masini (foto Archivio famiglia Masini, Cerbaia Val di Pesa)

In sostanza, mentre gli anarchici individualisti e quelli sociali non sono d'accordo su molti aspetti – per esempio, che un vero, non-capitalista, libero-mercato sarebbe il modo migliore per massimizzare la libertà – essi concordano sul fatto che il capitalismo deve essere avversato, perché oppressivo e sfruttatore, e che una società anarchica deve, per definizione, essere basata sul lavoro non subordinato, ma associato. Tuttavia, essendo socialisti, gli anarchici condividono alcune idee con alcuni Marxisti (ma nessuna con i Leninisti). Sia Bakunin che Tucker accettavano l'analisi e la critica di Marx sul capitalismo, oltre alla sua teoria sul valore del lavoro. Anche Marx, fu influenzato fortemente da L'unico e la sua proprietà di Max Stirner, che conteneva una brillante critica di quello che Marx chiamava “comunismo volgare” oltre che del socialismo di stato. Ci sono stati elementi del movimento marxista che condividevano opinioni simili all'anarchismo sociale (particolarmente il ramo dell'anarco-sindacalismo) – per esempio, Anton Pannekoek, Rosa Luxemburg, Paul Mattick ed altri, che erano molto lontani da Lenin. O Karl Korsch ed altri, che hanno descritto in modo simpatetico la rivoluzione anarchica in Spagna. C'è molta continuità da Marx a Lenin, ma anche da Marx ai marxisti più libertari, che erano severamente critici su Lenin e sul Bolscevismo e le cui idee assomigliano al desiderio dell'anarchismo di costruire la libera associazione tra uguali.

L'anarchismo è semplicemente una forma di socialismo, del tutto opposta a quella che solitamente è definito come “socialismo” (di stato). Invece della “progettazione centralizzata”, che la maggior parte della gente associa con il “socialismo”, gli anarchici desiderano la libera associazione e cooperazione tra individui, luoghi di lavoro e comunità e si oppongono al socialismo “di stato”, che ritengono una forma di capitalismo di stato.

È a causa di queste differenze con i socialisti statalisti, detto in modo riduttivo, che la maggior parte degli anarchici chiamano sé stessi solo “anarchici”, sebbene sia chiaro che gli anarchici sono socialisti. Tuttavia, con la nascita dei cosiddetti “libertarian” di destra negli Usa, alcuni pro-capitalisti hanno preso a denominarsi “anarchici” ed ecco perché è necessario approfondire questo aspetto. Storicamente e logicamente, l'anarchismo implica l'anti-capitalismo, cioè il socialismo, che è qualcosa, è bene evidenziare, su cui tutti gli anarchici concordano.

Critiche

Nel tempo stesso, però, esistono anche posizioni anarchiche che contraddicono e in qualche modo criticano quanto riportato sopra: sono diversi gli anarchici, soprattutto della corrente individualista, che considerano l'anarchismo una dottrina con proprie peculiarità specifiche, e quindi in alcun modo non annoverabile nell'ambito della "famiglia socialista". Due di questi esempi sono rappresentati rispettivamente dagli scritti di Michele Puglia e di Silvia Ferbri, quest'ultimo in particolare descrive dettagliatamente la filosofia e il pensiero anarchico:

«Nessuna teoria politica o sociale nasce così, dal nulla. Essa presuppone dei nessi con il mondo nel quale si sviluppa, si può affermare che è proprio nella società capitalistica che l'anarchia nasce, si sviluppa e prospera. Ciò la lega al socialismo; ma qui terminano le cose in comune. Perché, contrariamente a quello che comunemente si pensa, socialismo e anarchia sono diversi come il giorno dalla notte e si contrappongono come l'acqua al fuoco.» [2]
«Una delle definizioni del pensiero anarchico (in forma sintetica) è infatti “né Dio né padrone”. Sébastien Faure disse: “Chiunque neghi l'autorità e combatta contro di essa è un anarchico”. Definizione molto semplice, e per questo incompleta e alla fine fuorviante. Il pensiero anarchico è in realtà un pensiero complesso, policromo, talvolta contraddittorio. Semplificarlo non aiuta a conoscerlo e a liberarsi dalla confusione cui accennavamo prima. È un pensiero che ha una sua storia peculiare e un proprio originale nucleo teorico-concettuale, che lo distingue da altre dottrine politiche, come il socialismo o il liberalismo, e che lo rende in un certo senso più ampio di queste, in quanto tende ad occuparsi dell'intera vita umana e non soltanto della gestione politica o di quella economica. Ma ciò che soprattutto lo distingue dalle altre dottrine politiche, è che per l'anarchismo non esiste una “umanità astratta” (di cui invece trattano tanto il liberalismo quanto il socialismo di stato e il comunismo autoritario), ma singoli uomini concreti. Il pensiero anarchico pertanto, diversamente dalle altre dottrine politiche, non ritiene di aver compreso per via filosofica la “natura” dell'uomo, e non si considera legittimato a prescrivere un codice morale e un'etica di comportamento che implichino diritti e doveri uguali per tutti gli uomini. Nell'anarchia è di fondamentale importanza l'autodeterminazione dell'individuo, di ogni singolo individuo, che è unico e diverso da tutti gli altri, e il suo totale e pieno diritto di scelta, di consenso o di rifiuto. Potremmo provare a definirla quindi una filosofia della libertà. Ma anche così otteniamo una definizione in un certo senso riduttiva e vaga al tempo stesso. Quello anarchico non è un pensiero che rimane tale: è un pensiero legato strettamente all'azione, dando immediata origine all'”anarchismo”. Precisando meglio, l'anarchismo non deriva da riflessioni astratte di qualche intellettuale o filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione degli oppressi contro i loro oppressori, dai bisogni e dalle necessità di questi uomini e dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza. I pensatori anarchici, quindi, come Bakunin o Kropotkin, non inventarono l'idea dell'anarchismo, semplicemente la scoprirono nelle masse oppresse e sfruttate e la rafforzarono, la chiarirono e la divulgarono. È l'azione pertanto che dà origine al pensiero. Il fine ultimo dell'anarchismo è infatti quello di un cambiamento sociale. L'anarchia critica la società esistente, di conseguenza non respinge il potere terreno in base a considerazioni prettamente filosofiche o religiose (come i mistici o gli stoici, ad esempio).» [3]

Derive del socialismo: socialismo italiano e socialismo di stato

Parabola del socialismo italiano

In Italia, il socialismo si sviluppò grazie al Partito Operaio Italiano, fondato a Milano nel 1882, e a tutta una serie di movimenti e leghe minori. Il primo socialista ad essere eletto in Parlamento fu l'ex anarchico Andrea Costa. Nel 1891 il Partito Operaio Italiano si trasformò in Partito dei Lavoratori Italiani, poi divenuto Partito Socialista Italiano (1892), che verrà sciolto l'anno seguente dal governo Crispi. Nel 1891 fu costituito anche il Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario (Errico Malatesta, Luigi Galleani, Francesco Pezzi e Amilcare Cipriani) con l'intenzione di divenire complementare all'ex Partito Operaio Italiano.

Lentamente il PSI assunse un carattere sempre meno rivoluzionario e sempre più riformistico. Nel 1921 si staccò dal Partito la corrente comunista, che portò alla nascita del PCI di Antonio Gramsci.

Nell'Italia fascista i partiti socialisti italiani operarono in clandestinità, dove si distinsero per il loro sincero antifascismo personalità del calibro di Carlo Rosselli, Filippo Turati, Emilio Lussu ecc.

A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale il PSI espulse via via le correnti meno moderate, con l'ambizione di diventare un partito di governo e per questo era necessario rompere ogni legame con le sue radici storiche, di fatto mantenendo di socialista soltanto il nome.

Il Partito Socialista, dagli anni '80 in poi, nonostante fosse ufficialmente un partito di centro-sinistra, divenne il partito socialista più a destra d'Europa. Le politiche attuate da quando Bettino Craxi fu eletto segretario del PSI (1976) e poi Presidente del Consiglio (1983) furono improntate sul più becero classismo (es. abolizione della scala mobile [4]) condito da un feroce odio anticomunista e contro qualsiasi cosa ne vagheggiasse solamente il ricordo [5]. Non è un caso che l'ex premier italiano, Silvio Berlusconi, venga fuori proprio dal PSI craxiano [6].

Quanto accaduto in Italia è rappresentativo di ciò che accadde in quasi tutti i paesi del mondo, che col passar del tempo si orientarono in senso riformista e si inserirono pienamente nei sistemi democratico-borghesi, prendendo non solo le distanze dal marxismo ma anche da ogni rivendicazione egualitaria. Da queste derive del socialismo si originò il socialismo democratico, alla socialdemocrazia e al socialismo liberale.

Socialismo di Stato

Generalmente con socialismo di stato si intende quella forma di pseudo-socialismo basata sulla proprietà dei mezzi di produzione da parte dello Stato. Questa deriva del socialismo originario viene indicata semplicemente come "socialismo" da parte dei marxisti, mentre il termine "di stato" viene solitamente aggiunto da coloro che non approvano tale definizione. Gli anarchici per esempio considerano il socialismo di stato come l'antitesi di quello vero, poiché esso è la negazione esplicita del principio di libertà ed uguaglianza.

Il "Revisionismo"

Exquisite-kfind.png Vedi Revisionismo.

Fu chiamata revisionista la corrente moderata e riformista del marxismo che sorse verso la fine del XIX secolo, originata dall'osservazione che il comportamento dell'economia capitalistica non sembrava corrispondere alle previsioni del marxismo. Il maggior esponente del revisionismo fu il tedesco Eduard Bernstein, il quale auspicava la realizzazione di riforme nell'interesse dei lavoratori anziché propugnare la lotta di classe e la rivoluzione sociale.

Note

  1. Prima rivoluzione industriale tra il 1760-1780 ed il 1830 (invenzione ed utilizzo di macchine per il settore tessile-metallurgico: introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore). La seconda rivoluzione industriale iniziò intorno al 1870-1880 (introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio)
  2. Anarchia
  3. Il pensiero anarchico, di Silvia Ferbri
  4. La scala mobile
  5. Breve biografia di Craxi
  6. Nascita dell'impero economico del Cavalier Silvio Berlusconi, L'on.Bettino Craxi e il Cavalier Silvio Berlusconi: intreccio di affari e favori.

Voci correlate

Collegamenti esterni