Uguaglianza

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Antinazismo significa anche lotta per l'eguaglianza sociale

L'uguaglianza è quell'ideale che offre ad ogni essere umano, indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla sua nazionalità, la possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri esseri umani in ogni contesto. È questo un ideale comune a tutte le correnti dell'anarchismo.

Il concetto di uguaglianza viene da alcune correnti di pensiero non limitato all'ambito umano, ma allargato sino a comprendere tutti gli animali non umani (antispecismo), che vanno considerati portatori di diritti esattamente come gli umani.

L'uguaglianza tra gli esseri umani

Alcune ideologie politiche (Nazismo, Fascismo ecc.), sociali (es. darwinismo sociale) e religiose (es. le caste induiste) hanno divulgato o continuano a divulgare, seppur attraverso argomentazioni variegate, la diseguaglianza tra le diverse razze\etnie\popolazioni appartenenti al genere umano. Alcune di queste teorie razziste hanno avuto pure pretese di scientificità, ma a dire il vero è stata proprio la scienza ad aver dimostrato l'assurdità di siffatte teorie [1].

Marija Gimbutas (settembre 1989), archeologa che descrisse quelle società neolitiche che Riane Eisler poi chiamò società gilaniche

È quindi di per sé sciocco non solo avallare il razzismo, ma lo è anche il solo parlare di razze umane in senso stretto (il termine razza può essere inteso nel senso generico del termine; ovvero, appartenenza ad una determinata tipologia umana, la quale però ha subito nel corso dei secoli una serie di mescolamenti genetici e si distingue da una un'altra per una serie di differenze prettamente morfologiche).

Naturalmente, il concetto di uguaglianza non va interpretato come una propensione all'accettazione dell'omologazione culturale, ma come riconoscimento per ogni popolo e/o individuo delle proprie specificità peculiari. In sostanza si potrebbe dire che il principio dell'uguaglianza riconosce ad ogni essere umano il diritto di essere ciò che è o, usando l'aforisma di Nietzsche, di divenire ciò che si è. [2]

L'uguaglianza, per come è stato qui definito, è un fondamento basilare di molte teorie e pensieri politico-sociali (tra questi anche l'anarchismo ovviamente) ed ha la sua validità non solo rispetto alle razze (antirazzismo) [3], ma anche rispetto al genere sessuale (antisessismo) [4] e alle classi sociali (classismo) [5]. In molti oggi estendono il concetto di uguaglianza anche a tutte le specie del regno animale (antispecismo) [6].

La gilania [7]

Per lungo tempo la sostanziale eguaglianza tra i sessi è “regnata” nella storia dell'umanità. Gli studi di Marija Gimbutas e Riane Eisler dimostrano che tanto nel Paleolitico quanto nel Neolitico, sono esistite delle società, che la Eisler definì gilaniche, e che in Europa furono particolarmente floride tra il 7000 e 3500 a.c, in cui non vi era alcuna forma di potere legata al sesso. La gilania fu poi soppiantata dall'androcrazia (dalle parole greche andros, "uomo" e kratos, "governato", quindi letteralmente “governo degli uomini”, “potere degli uomini”), importata con la forza dai Kurgan indo-europei durante le loro violente ondate migrative che si succedettero sul continente europeo tra il IV e il III millennio a.c.

«Le ricerche e scoperte archeologiche compiute, in vari siti sparsi in tutti i continenti, attestano la presenza diffusa di una cultura agraria egualitaria e priva quindi di differenziazioni sociali classiste, in cui l'organizzazione sociale è funzionale alla corrette gestione della società egualitaria stessa: Creta minoica 5.000-2000 a. C, ma anche Qatal Huyuk in Asia minore, Gerico in Palestina, Harappa e Mohenjo-Daro nella valle dell'Indo, la cultura Yomon in Giappone e numerosi siti in Asia, ma soprattutto le recenti scoperte e reinterpretazioni della cultura mesolitica e neolitica europea (dal Portogallo alla Russia), dimostrano che la civiltà agraria per moltissimi millenni fu priva di diseguglianze sociali e quindi non necessitò di organi separati di gestione dell'esistente come lo Stato, la polizia, l'esercito, un clero gestore dell'ideologia religiosa classista e patriarcale, il ricorso alla guerra per gestire i rapporti tra singoli gruppi sociali e collettivitàecc.» (considerazione di Ario Libert)

Uguaglianza tra le specie: l'antispecismo

Exquisite-kfind.png Vedi Specismo e Antispecismo.
Simbolo del vegananarchism, che unisce la A cerchiata, simbolo anarchico, con l'iniziale della parola vegan, la lettera "V"
«Non esistono animali superiori e inferiori, così come non esistono razze umane superiori e inferiori, ma esistono esseri viventi dotati di peculiarità uniche e come tali rispettabili e inviolabili». («L'importante non è se siano intelligenti, con quattro zampe, o possano parlare, ma possono soffrire?», Jeremy Bentham)

Alla base del pensiero discriminatorio, secondo cui alcune specie animali vantano diritti superiori alle altre (specismo), vi è l'antropocentrismo, che a sua volta si fonda sull'errata interpretazione del darwinismo, sulla religione (Dio avrebbe creato gli animali non-umani per porli al servizio degli animali umani) o semplicemente sull'ignoranza (l'uomo non solo si arroga un diritto di superiorità rispetto agli altri animali, ma sviluppa anche una sorta di gerarchia tra gli altri animali non-umani..es. per molti è lecito mangiare le galline, ma non i cani o i gatti). L'antispecismo invece è una concezione filosofica in netta antitesi con lo specismo, ovvero con l'idea che alcune specie animali possano vantare diritti superiori ad altre, e altro non è che l'estensione dell'antirazzismo oltre il concetto di razza. I fondamenti dell'antispecismo si basano sull'idea che gli animali umani e quelli non-umani condividono interessi fondamentali quali la sopravvivenza, la riproduzione, il piacere fisico, la libertà dal dolore.
Questa comunanza d'interessi, che hanno origine nell'appartenenza all'universo olistico, sono il fondamento della lotta allo specismo e quindi dell'egualitarismo animale (umano e non umano).

Discorso sull'uguaglianza

«Le regole dell'eguaglianza derivano dai suoi criteri vigenti nella società: vale a dire, dai criteri di valorizzazione che accentuano o meno le differenze singolari convertendole in differenze sociali, che poi ritornano con effetti gerarchici sulle prime.

L'opzione di una società articolata secondo parametri di giustizia equa è indipendente dalle regole idonee a trasformare il quadro complessivo in fattori di promozione dell'uguaglianza. Nel XIX secolo, il paradigma diffuso nei movimenti rivoluzionari, e in quello anarchico in particolare, era riassunto nella formula: "da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo le proprie esigenze".

"Capacità " non si identificava totalmente con "lavoro", in quanto attività produttiva, sebbene l'etica del lavoro dominasse i criteri di valorizzazione rispetto all'ozio come suo contrapposto (il lavoro anche denominato neg-ozio), o alle funzioni intellettuali, nella cui divisione veniva a trovarsi in una posizione più "colpevole" del lavoro manuale, a cui pure si auspicava il ricongiungimento.
Tuttavia, la sfera delle esigenze individuali e collettive, o dei "bisogni" (a differenza dei "meriti"), dipende dal sistema sociale che ne determina la scala ed i gradimenti di rilevanza sociale sia nell'immaginario simbolico introiettato, sia nelle procedure di gratificazione positiva attivate.
L'ombra della piatta uniformità incombe sull'articolazione orizzontale delle differenze singolari, che in una società a scarsa mobilità significava una condanna perpetua allo status di provenienza.

Eguagliare tutti sotto il versante del complesso di esigenze garantiva un minimo di distinzione singolare senza tramutarsi in una gerarchia di ruoli sociali, e quindi di considerazione e stima pubbliche, che eleverebbe a giudizio di valore la differenza stessa.
Quale sia il complesso delle esigenze mediamente soddisfacibili come misura equa è un interrogativo ineludibile in teoria, dipendendo dall'organizzazione di una società giusta o ingiusta. Tuttavia, è opportuno tentare di precisare non solo i criteri di eguaglianza, ma anche le sue regole promozionali, rilevando sia il presupposto di una opzione egualitaria della società (il che non è affatto scontato, tutt'altro), sia la plausibilità di regole produttive.

Sul piano dei criteri, l'opzione si traduce nel postulato di una comunità tra gli individui all'interno della sfera del vivente.
Essa prende atto delle differenze singolari in fatto di caratteri, personalità, etnie, razza, lingua natia, condizione di provenienza ecc., senza eleggerle a stili di valorizzazione sociale. Il postulato implica quindi la potenzialità di condividere, proprio in virtù della condizione umana comune, i benefici del livello sociale in fatto di risorse, beni e frutti del progresso e dello sviluppo quantitativo e qualitativo, apprestando le condizioni affinché ciascuno possa ritagliarsi una propria forma di vita degna accanto alle altre.
Ciò significa apprestare chances di opportunità che siano eque, nella distribuzione e nella selezione.
Nella distribuzione, tenendo conto delle condizioni di provenienza singolari, e quindi garantendo possibilità di colmare lacune di partenza legate a situazioni materiali di esistenza; nella selezione, tenendo conto del complesso di opportunità aperte ed eleggibili da ciascuno (senza necessità di ricorrere a regole distorsive di quote corporative di differenze da privilegiare o ricompensare, giacchè i meccanismi per quote alimentano, invece di attenuare, diversità innescando perverse derive a catena.
Ovviamente, a monte esiste una pratica della condivisione equa in situazioni quantitativamente segnate da assenza di rarità e difficoltà di divisibilità.La misura egualitaria di sacrifici e oneri distribuibili è funzione del criterio di solidarietà vigente, e quindi del quadro ideale di opzioni sociali entro cui l'indivisibilità produce disegualità di fatto o impossibilità di colmare particolari diseguaglianze.
E tuttavia, anche in questo caso è pensabile ipotizzare misure eque di sacrifici che siano adeguatamente differenziate in base alle condizioni di provenienza ed alle forme di vita prescelte, sulla base di una rotazione delle misure o di una differenziazione quali-quantitativa equilibrata. Talvolta, regole promozionali di eguaglianza sono conflittuali con istanze di libertà, ed è possibile ipotizzare che soluzioni eque siano inosservabili da una data postazione in cui sono collocati la totalità dei decisori.Ne risulterà una iniquità di fatto che emergerà conflittualmente, la quale, però, diventa insanabile solo in presenza di rigidità strutturali, quali l'istituzionalizzazione di norme vincolanti universalmente, che blindano la percezione dell'iniquità, magari rafforzandone i meccanismi,e ostacolano l'elaborazione di soluzioni.

Un assetto libertario rende in teoria più flessibile l'assorbimento indolore di conflitti e di deficit temporanei, giacchè la velocità di attenzione e di risposta non conosce vincoli istituzionalizzati. È possibile ipotizzare che tali processi sensibilizzino ritmi adeguati per elaborare soluzioni eque e ragionevoli; comunque, senza alibi di rappresentanza, la reale partecipazione decisoria nelle forme di autogoverno trasparente divengono fattore di coinvolgimento diretto teso a responsabilizzare con cognizione di causa i decisori.
In tali casi, responsabilità, sistemi di valore, solidarietà ed opzioni egualitarie possono incrinare come rafforzare una società giusta, non godendo di tutele esterne; ma in questo consiste il fascino insondabile della forma libertaria dell'esistenza.Comunque, ognuno di tali assi portanti contribuisce alla saldatura degli interventi lungo percorsi coerenti di eguaglianza diffusiva». (Salvo Vaccaro, CRUCIVERBA: Lessico per i libertari del XXI secolo, ed. zero in condotta).

Citazioni

«Sono partigiano convinto dell'eguaglianza economica e sociale perché so che al di fuori di questa eguaglianza, la libertà, la giustizia, la dignità umana, la moralità e il benessere degli individui così come la prosperità delle nazioni non saranno nient'altro che menzogne; ma, in quanto partigiano della libertà, questa condizione primaria dell'umanità, penso che l'eguaglianza debba stabilirsi attraverso l'organizzazione spontanea del lavoro e della proprietà collettiva delle associazioni dei produttori liberamente organizzate e federate nelle comuni, non attraverso l'azione suprema e tutelare dello stato». (Michail Bakunin)

Bibliografia

Note

  1. Vedi articolo sul razzismo e l'antirazzismo specismo
  2. Diventa ciò che sei
  3. Non esistono le razze nel senso in cui lo intendono i razzisti dal momento che sin dagli albori dell'umanità c'è stato un continuo meticciamento. Questo non significa negare che esistano differenze fenotipiche o genotipiche tra le varie etnie, tuttavia questo non avalla in nessun modo il concetto di superiorità di alcune rispetto ad altre
  4. Non esiste un genere sessuale superiore all'altro
  5. La sinistra, specialmente quella più radicale, rifiuta qualsivoglia divisione in classi della popolazione.
  6. Vedi capitolo 2
  7. Il termine gilania è stato coniato dall'archeologa Riane Eisler per indicare quella fase storica plurimillenaria (8.000-2500 a.C in rapporto soltanto al neololitico), in cui uomini e donne vivevano senza alcuna forma di dominio l'uno sull'altra. Il termine deriva dalle parole greche gynè, "donna" e andros, "uomo"; la lettera l tra i due ha il duplice significato di unione, dal verbo inglese to link, "unire" e dal verbo greco lyein o lyo che significa "sciogliere" o "liberare".

Voci correlate