Rivoluzione sociale

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Manifesto della CNT-FAI durante la Rivoluzione spagnola, esemplificazione del significato della rivoluzione sociale per gli anarchici.

Per rivoluzione sociale si intende la trasformazione radicale dell'insieme di tutte le relazioni e di tutte le interazioni sociali quotidiane di un gruppo umano entro uno spazio territoriale liberato, sia esso una città, un paese ecc.

La rivoluzione sociale per i libertari

La rivoluzione sociale è una concezione di una rivoluzione/rottura, realizzata dalla società stessa (senza intermediari politici), nella globalità, in opposizione all'ordine esistente, con diversi mezzi liberi ed autonomi (consigli, comuni, federalismo, democrazia diretta, spontaneismo ecc...), e non con l'azione di un partito o una presunta avanguardia illuminata (es. i bolscevichi durante la Rivoluzione russa). La rivoluzione politica ed economica si adatta ai desideri ed alle necessità che la società pone nell'ambito della rivoluzione (e non l'opposto).

Entro la logica della "coerenza tra mezzi e fini", la resistenza e la liberazione di giorno in giorno è già di per sé rivoluzione sociale, e quest'ultima consiste nient'altro che in una profonda evoluzione della società umana. Attualmente, per come si è sviluppata la congiuntura storica e la prassi, non si può parlare di eccessiva distanza tra le proposte libertarie di un'evoluzione sociale e quelle della rivoluzione sociale. Paul Goodman sostiene che una società libera non può formarsi semplicemente sostituendo un vecchio ordine con uno nuovo, ma deve essere l'estensione della sfera del libero arbitrio e della libertà d'azione, fino a che queste non determinino il cambiamento della maggior parte della vita sociale.

Michail Bakunin, propugnatore instancabile della rivoluzione sociale

È questo un concetto molto utilizzato dai gruppi anarchici per delineare un cambiamento profondo che va oltre la politica o il settore economico, compenetrando nella quotidianità delle vite. Il concetto di rivoluzione sociale è contrario alle definizioni di "rivoluzione politica" o "rivoluzione delle masse", poiché si oppone drasticamente tanto ai cambiamenti chiaramente istituzionali come a quelli che non partano da principi autogestionari.

Analogie e differenze tra rivoluzione e rivoluzione sociale

Nuvola apps xmag.png Per approfondire, vedi rivolta.

Per rivoluzione s'intende quella serie di eventi che portano una popolazione ad emanciparsi dall'autorità, insorgendo e riappropriandosi del proprio potere, individuale e collettivo, e autodifendendosi (violentemente o non violentemente) dalla prevedibile reazione del vecchio potere.

La sostanziale distinzione tra rivoluzione (politica o economica) e rivoluzione sociale consiste nel fatto che la prima tende a sostituire un potere con un altro (es. Rivoluzione francese o Rivoluzione russa), mentre la rivoluzione sociale consiste nel drastico cambiamento delle strutture sociali di una società, fino, talvolta, all'abbattimento di ogni potere e di ogni forma di dominio.

Un classico esempio di rivoluzione sociale è quello spagnolo del 1936 oppure la rivoluzione ucraina del 1917.

La fase di transizione: differenze con i marxisti

Exquisite-kfind.png Vedi Anarchismo e Marxismo e Dittatura del proletariato.

Per gli anarchici, l'ideologia rivendicata dai differenti tipi di Stato – che siano capitalisti, fascisti o comunisti – non è pertinente poiché tutti gli Stati sono fondamentalmente violenti e reprimono la maggioranza lavoratrice in nome del profitto della minoranza dirigente. Inoltre, gli anarchici sostengono che lo “Stato operaio” difeso dai marxisti è una contraddizione (impossibilità) logica, poiché non appena una qualunque “avanguardia” autoproclamata prende il potere statale essa cessa di fare parte del proletariato (semmai ne abbia fatto mai parte) e diviene membro della “classe coordinante”. Gli anarchici deducono che tutti gli Stati sono illegittimi poiché fanno tutti ricorso alla violenza sistematica e alla repressione della maggioranza dei lavoratori\lavoratrici a favore della minoranza dirigente.

La "teoria sullo Stato", precedentemente evocata, porta ad interrogarsi sulla necessità del processo di transizione che conduca alla fine alla creazione di una società "senza Stato", sulla quale tanto i marxisti che gli anarchici sono d'accordo (fermo restando il concetto marxista di Stato sopra riportato). I marxisti pensano che la transizione, per poter essere efficace (per arrivare a quello che Marx chiama “vero comunismo”), richieda la repressione della reazione capitalista, poiché altrimenti ristabilirebbe il proprio potere, e la creazione di uno Stato diretto dagli operai.

Inoltre, gli anarchici sostengono che lo "Stato operaio", difeso dai marxisti, è una contraddizione in termini, poiché qualunque «avanguardia», auto-proclamatasi tale, che prende il potere statale, cessa di far parte del proletariato (se mai ne ha fatto parte) e diviene membro della «classe dominante». L'idea della dittatura del proletariato è ugualmente criticata dalla maggior parte degli anarchici, sia sul piano teorico che su quello storico. È abbastanza evidente che non è una classe intera a prendere il potere, ma una sua minoranza, un partito, secondo l'ottica leninista, che dunque non fa altro che imporre una "dittatura sul proletariato" e non una "dittatura del proletariato".

Gli anarchici illustrano le loro proposte mettendo in evidenza le misure repressive messe in atto da Lenin, Trotsky e Stalin, sin dal principio della rivoluzione russa. Essi avanzano ugualmente l'argomento che l'ex-URSS non era affatto democratica, così come anche tutti gli altri Stati auto-proclamatisi “marxisti”. Al contrario i marxisti mettono in evidenza il presunto “fallimento” (essi propongono l'esempio della Rivoluzione spagnola), delle rivoluzioni in cui hanno preso parte gli anarchici.

Marxisti e anarchici non perseguono il medesimo scopo: gli anarchici vogliono l'abolizione di ogni forma di Stato (una «sciocchezza», secondo lo stesso Engels), i marxisti ritengono, invece, che lo Stato si autoestinguerà, o meglio «non ci sarà uno Stato nel significato politico attuale»[1] (Stato classista). I marxisti, contrariamente agli anarchici, mirano a cambiare (non ad abolire) lo Stato: in un primo tempo, lo Stato muta la sua classe dirigente, diventando uno “Stato operaio”, in cui la classe dominante è il proletariato; essi considerano quindi la repressione della borghesia come un fatto necessario e preliminare all'estinzione dello Stato borghese. In seguito, lo "Stato operaio", venuti a cessare gli antagonismi tra le classi, si estinguerà, trasformandosi in uno Stato senza dominio di classe (ossia in una forma di democrazia diretta): «lo Stato politico e con lui l'autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale [...] cioè [...] le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico e si cangeranno in semplici funzioni amministrative, veglianti ai veri interessi sociali» [2] (dunque, non si tratta della scomparsa dello Stato tout court, ma dello Stato marxianamente inteso, ossia dello Stato retto da una classe dominante).

Gli anarchici ritengono che la creazione di qualsiasi nuovo Stato metterà comunque il potere nelle mani di una minoranza, e che lo Stato, con le sue capacità repressive e i suoi apparati burocratici massivi, avrà la tendenza a perpetrarsi, piuttosto che ad «estinguersi». In pratica, la creazione di un nuovo Stato, anche se qualificato come “operaio”, sarebbe controrivoluzionario, per cui, per eliminarlo, sarebbe necessaria una seconda rivoluzione. Gli anarchici preferiscono quindi sostituire allo "Stato borghese" i consigli operai (vedi Consigli ed occupazioni di fabbrica in Italia (1919-20)), i sindacati o comunque qualsiasi struttura organizzativa decentralizzata e non-gerarchica.

Per illustrare i limiti dell'approccio marxista, gli anarchici ricordano che dopo la caduta dell'URSS i movimenti popolari che chiesero l'abolizione della dittatura statale furono duramente repressi. Ciò dimostra che una seconda rivoluzione è praticamente impossibile.

Differenze esistono anche all'interno degli stessi "schieramenti": gli anarchici non sono d'accordo tra loro riguardo al fatto se i consigli operai costituiscano o no uno Stato; i marxisti non sono d'accordo tra loro riguardo alla forma che dovrebbe assumere la dittatura del proletariato. Tuttavia, soprattutto gli argomenti marxisti si prestano alle critiche, poiché essi nella pratica hanno limitato l'autonomia dei consigli operai, oltre a ripristinare, contraddittoriamente, la polizia segreta, il terrorismo di Stato come strategia rivoluzionaria [3] e l'uso di una giustizia ambigua e poco trasparente.

Note

  1. Parole di Marx.
  2. Parole di Engels.
  3. Su questo punto è interessante leggere, in lingua francese, Terrorisme et communisme di Lev Trotsky.

Tipologie di rivoluzione

Rivoluzioni libertarie

Rivoluzioni marxiste

Rivoluzioni liberali

Voci correlate