Dittatura del proletariato

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Karl Marx coniò il concetto di "dittatura del proletariato" e lo difese strenuamente di fronte alle critiche di altri rivoluzionari del XIX secolo, tra cui gli anarchici.

La dittatura del proletariato è un concetto politico teorizzato da Marx ed Engels [1] (quantunque Blanqui, in linea col pensiero di Marat e Babeuf, ne avrebbe già fatto uso tempo prima [2]), secondo cui, durante la fase di transizione (rivoluzione sociale) dal capitalismo al socialismo, sarebbe necessaria la presa dello Stato e del potere politico da parte della classe operaia, attraverso cui distruggere gli apparati istituzionali della borghesia e reprimere tutti coloro che si oppongo al suo dominio. Ripreso da Lenin durante le fasi della rivoluzione russa [3], fu fatto proprio anche da Stalin, che affermò la realizzazione della dittatura del proletariato in URSS attraverso l'accentuazione del ruolo dirigente del Partito comunista.

Concetto

La società socialista non può, secondo i marxisti, essere realizzata immediatamente. Durante la rivoluzione sarebbe necessario, per diversi motivi, un lungo periodo di transizione entro cui si dovrebbe riorganizzare la produzione economica (l'abolizione della legge del valore - valore di scambio delle merci, denaro ecc. - necessità di molto tempo) in senso socialista e tale da introdurre sostanziali modifiche in tutte le sfere della vita (economica, sociale, politica ecc.) che contrastino i condizionamenti borghesi e piccoli borghesi. Nel descrivere i motivi dell'insurrezione dei lavoratori nel giugno 1848, Marx scrive:

Vladimir Lenin creò un'Unione Sovietica strutturata sulla dittatura del proletariato.
«Al posto delle sue rivendicazioni [riferimento al proletariato], esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che esso voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l'ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento della borghesia! Dittatura della classe operaia!
Mentre il proletariato faceva della sua bara la culla della repubblica borghese, costringeva questa a presentarsi nella sua forma genuina, come lo Stato il cui scopo riconosciuto è di perpetuare il dominio del capitale, la schiavitù del lavoro».

Durante la dittatura del proletariato - secondo il marxismo - le classi sociali della società capitalistica persisterebbero ancora, poiché non è pensabile liquidarle violentemente sarebbe necessario conceder loro tempo per farle integrare nel nuovo modello di produzione socialista. La lotta di classe, pertanto, non scompare, ma assume altre forme: la dittatura del proletariato va intesa nel senso che in questa fase transitoria il proletariato si sostituirebbe alla classe borghese come classe dominante, ma la sua debolezza ancora persiste - sempre secondo la teoria marxista - soprattutto a livello delle infrastrutture economiche e della sovrastruttura ideologica. La proprietà collettiva dei mezzi di produzione non è accompagnato dalla appropriazione realmente collettiva degli stessi, visto che sarebbe ancora necessario affidarsi ad alcuni tecnici di produzione e manager addestrati nel regime precedente.

Il concetto di dittatura del proletariato non è però interpretato in maniera univoca da tutti i marxisti, per i marxisti leninisti ciò si traduce nella dittatura di una minoranza avanguardistica, mentre per coloro che del marxismo ne danno un'interpretazione libertaria (consiliarismo, luxemburghismo ecc.) la dittatura si dovrebbe instaurare attraverso i consigli, i soviet ecc.

La dittatura del proletariato e l'anarchismo

Per comprendere le analisi anarchiche alla dittatura del proletariato è necessario partire dagli studi critici di Bakunin a Marx:

Bakunin e la dittatura del proletariato [4]

Alcuni sostenitori della dittatura del proletariato spesso pretendono di giustificare le loro idee tirando in ballo il pensiero di Bakunin che, essendo incentrato sulla necessità di organizzazione delle masse, non negava al proletariato il diritto di dirigere la rivoluzione sociale durante la fase transitoria dalla società borghese a quella socialista/anarchica. Alcuni che si proclamano anarco-sindacalisti e propagandano l'idea della ineluttabilità della dittatura del lavoro, della dittatura delle organizzazioni operaie ecc. sostengono di essere eredi del pensiero di Bakunin. Ciò non corrisponde a verità, in primis perché essi si scordano di sottolineare che l'anarchico russo certamente pretendeva di organizzare le masse ma negava ogni principio di autorità, soprattutto quello dello Stato (al di là della forma che esso può assumere).

Bakunin affermava, e lo dimostrò un'infinità di volte, che «la vera scuola per il popolo e per tutte le persone adulte è la vita». La socialità per lui non può essere una conseguenza dell'unione artificiale degli uomini né dell'imposizione dei governanti, ma è uno stato naturale della specie umana. A questi principi rimase fedele tutta la vita grazie alla sua straordinaria coerenza e volontà:

«Ho espresso in diverse occasioni - scrive l'anarchico russo in Dio e lo Stato - la mia profonda avversione teorica a Lasalle e Marx. I lavoratori ci raccomandano - se non come ideale definitivo, quantomeno come obiettivo dell'immediato - la fondazione di uno Stato popolare che, come spiegano, non è altro che "il proletariato divenuto classe dominante". Se c'è lo Stato è inevitabile il predominio e come conseguenza la schiavitù; Stato senza schiavitù palese o dissimulata non può esistere, ecco perché siamo nemici dello Stato».

Tuttavia Bakunin non si accontenta di questo. Analizza il concetto della dittatura del proletariato, le sue conseguenze sulla vita reale e spiega la sua idea sullo Stato:

«Che significa il proletariato elevato al rango di classe dominante? Forse il proletariato sarà posto a capo del governo? Ci saranno forse 40 milioni di tedeschi che diverranno capo del governo? Tutti saranno dirigenti e non ci sarà nessun governo, nessuno Stato? In realtà tutte le volte che c'è lo Stato, ci saranno dirigenti e ci saranno schiavi. Questo dilemma è risolto nella teoria marxista in un modo molto semplice [...] un piccolo numero di rappresentanti eletti dal popolo [...] convinti sostenitori del socialismo scientifico [...] [instaureranno] una nuova dispotica leadership di una nuova aristocrazia [...] composta da saggi, veri o falsi».
M. Bakunin, forte critico dell'idea di dittatura del proletariato marxista.

Dai bakunisti fu quindi evidenziato che la dittatura non poteva essere del proletariato ma di un'elite di origine borghese, culturalmente preparata ed in grado di scalare la gerarchia dei partiti operai, cosa non possibile ai veri proletari giacché questi generalmente non possiedono strumenti culturali adeguati per poterlo fare («ogni differenza fra la dittatura rivoluzionaria e la centralizzazione statalista è nelle apparenze. In sostanza l'una e l'altra non sono che una medesima forma di governo della maggioranza da parte di una minoranza in nome della pretesa stupidità della prima e della pretesa intelligenza della seconda») [5]. Secondo Lenin, addirittura, quest'origine borghese sarebbe la garanzia della loro imparzialità e del loro rifiuto al compromesso riformista. Secondo Bakunin «si tratta di una palese contraddizione. Se lo Stato che essi preconizzano è davvero del popolo, perché, allora, abolirlo? E se la sua abolizione è essenziale per la vera liberazione del popolo, come osano chiamarlo popolare?».

«Loro dicono - afferma Bakunin - questo giogo della dittatura dello Stato è un mezzo di transizione necessario per conseguire la liberazione integrale del popolo, l'anarchia o la libertà è il fine, il governo o la dittatura è il mezzo. Dal quale si evince - prosegue ironicamente - che per liberare le masse bisogna prima sottometterle [...] Noi rispondiamo: [...] la libertà può essere solo il frutto della libertà. Vale a dire, la rivolta delle masse e l'organizzazione libera dei lavoratori può arrivare solo dal basso verso l'alto».
«Nulla cambia, semplicemente ad una classe dominante se ne sostituirà un'altra, visto che i rappresentanti di questa nuova classe dominante riceveranno la delega dalle masse, ritenute dai marxisti troppo ignoranti per poter gestire la fase di transizione».

Bakunin durante tutta la sua vita denunciò l'ipocrisia e la contraddizione di questo concetto marxista, e per questo subì gli attacchi denigratori prima di Marx ed Engels, poi di tutto l'apparato bolscevico (Lenin, Plejanoff, Trotzky, Bukharin ecc.)».

L'anarchico russo fu acerrimo nemico di ogni dittatura - non solo di quella del proletariato - e autorità; nell'articolo L'organizzazione della Prima Internazionale sostiene che «non tutti gli operai, quantunque membri della Prima Internazionale, possono essere saggi. E non basta che ci sia nella Prima Internazionale un gruppo di uomini che padroneggiano alla perfezione, nella misura in cui ciò sia possibile ai giorni nostri, la scienza, la filosofia e la politica del socialismo, perché la maggioranza - le masse che fanno parte della I Internazionale - confidando nella sua direzione e nei suoi precetti fraterni non esca dalla strada che porta alla liberazione totale del proletariato? L'organizzazione della I Internazionale potrà diventare strumento di emancipazione dell'umanità quando prima di tutto si emanciperà da se stessa».

Per Bakunin solo la libertà, la tolleranza reciproca e le rinunce dei dirigenti a tutte le imposizioni possono togliere il movimento operaio dall'impasse in cui fu gettato dai vari sostenitori della dittatura del proletariato. Coloro che citano l'anarchico russo per giustificare tale concetto non possono quindi in alcun modo esser accomunati all'anarchismo e devono essere ritenuti gli eredi di Marx, non di Bakunin. Così come non avrebbero potuto far convivere Bakunin e Marx, allo stesso modo essi non potranno conciliare la libertà e la coercizione, anarchia e dittatura. O anche Marx e Bakunin. Oppure ancora l'anarchia e la libertà con la dittatura e la coercizione.

Note

  1. Marx ne fece uso per descrivere i moti europei del 1848, ma la definizione del concetto è temporalmente datata alla lettera a Joseph Weydemeyer (vedi Il contributo di Marx alla teoria delle classi, in Protagonisti e testi della filosofia, Volume C, N. Abbagnano e Giovanni Fornero, Paravia, 2000, pag. 356) del 1852 e alla Critica del Programma di Gotha del 1875.
  2. «Più tardi, Blanqui parlerà di "dittatura del proletariato"», da Maintenant, il faut des armes, Auguste Blanqui, testi scelti da Dominique Le Nuz, La Fabrique éditions, 2007, 427 pagine.
  3. Lenin, per un socialismo democratico
  4. Fonte principale: Bakunin y la dictadura del proletariado
  5. Comunisti anarchici: una questione di classe

Bibliografia

  • Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, voll. 50, Roma, Editori Riuniti, 1972-1991 (in Italia l'edizione completa delle opere, prevista in 50 volumi si è fermata a 32, pubblicati fra il 1972 e il 1991 dagli Editori Riuniti, lasciati inediti i volumi XIII, XV, XVIII, XIX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXXI, XXXII, XXXIII, XXXVII, XLV, XLVI, XLVII e gli Indici; nel 2008 la pubblicazione del volume XXII, luglio 1870 - ottobre 1871, è stata curata dall'Ed. Città del Sole di Napoli, mentre l'organizzazione politica Lotta Comunista ha pubblicato tre volumi del carteggio dal 1874 al 1887).
  • Luigi Fabbri, Nikolaj Bucharin, Anarchia e comunismo scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto, Edizioni Zero in Condotta, 2009

Voci correlate

Collegamenti esterni