Carmelo Bene

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Carmelo Bene

Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene (Campi Salentina, 1° settembre 1937 - Roma, 16 marzo 2002) è stato un attore, regista, drammaturgo, scrittore e poeta tra i protagonisti della "neoavanguardia" teatrale italiana.

Cenni biografici, teatrografici, cinematografici e bibliografici

Carmelo Bene nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel 1937. A vent'anni, dopo gli studi classici, approda all'Accademia di Arte Drammatica Silvio D'Amico, ma la lascia dopo un anno, convinto della sua inutilità. Nel 1959 debutta come protagonista del Caligola di Albert Camus per la regia di Alberto Ruggero. Dopo questa esperienza Carmelo Bene diventa regista di sé: reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, comincia il suo massacro dei classici: di questi anni sono Pinocchio (1961), Amleto (1961), Salomè (1964), Nostra Signora dei Turchi (romanzo paradossale del 1965 che nel dicembre dello stesso anno Bene mette in scena [1]), Il Rosa e il Nero (1966). Scoppia il caso Carmelo Bene: egli viene considerato un affabulatore, un presuntuoso "massacratore" dalla critica, mentre l'intellighenzia dell'epoca (da Moriavia a Pasolini, a Flaiano) lo ritiene un vero genio. Ai suoi critici Bene risponde mettendo in atto una serie di critiche alla critica, articoli, interviste televisive, e pubblicherà nel 1970 il libro L'orecchio mancante. Nel 1968 Nostra Signora dei Turchi diventa anche un film che, mentre vince il premio speciale della giuria a Venezia, genera tumulti durante la visione in alcune sale. Si apre la parentesi del cinema di Carmelo Bene: Capricci (1969) e Don Giovanni (1970), Salomé (1972) e Un Amleto di meno (1973). Dopo la meteora cinematografica (che verrà ripresa, per così dire, in alcuni lavori televisivi), Bene torna al teatro: negli anni settanta egli ottiene un tangibile successo anche di pubblico con La cena delle beffe (1974), Amleto (1975), Romeo e Giulietta (1976), S.A.D.E. (1977) e Manfred (1979), che segna l'inizio del suo periodo concertistico. Del 1979 è anche un Otello televisivo, il cui restauro e montaggio inizieranno soltanto nel 2001. Nel 1981, con la Lectura dalla Torre degli Asinelli di Bologna, Bene porta la lettura della Divina Commedia davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Nell'estate del 1982 scrive Sono apparso alla Madonna (pubblicato nel 1983). Seguono in teatro Macbeth (1983), Egmont (1983), Adelchi (1984), Lorenzaccio (1986). Nel 1987 Carmelo Bene recita a recanati i Canti di Leopardi e va in scena con Hommelette for Hamlet. Nel 1988 viene nominato clamorosamente direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia, suscitando non poche polemiche. La vicenda finirà poi per degenerare in querele, contro-querele e ricorsi per un'intricata faccenda di competenze e responsabilità. Del 1989 è Pentesilea, del 1990 il libro Il teatro senza spettacolo, del 1994 Hamlet Suite. Nel 2000, con la pubblicazione del poema 'l mal de' fiori, viene acclamato "poeta dell'impossibile" dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale. Lo stesso anno l'attore affida, tramite pubblico testamento, i diritti delle sue opere alla fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene. Il 16 marzo del 2002 Carmelo Bene muore a Roma.

L'anarchismo di Carmelo Bene

Carmelo Bene in Pinocchio.

– Ma io non voglio fare né arti né mestieri...
– Perché?
– Perché a lavorare mi par fatica.
– Ragazzo mio quelli che dicono così finiscono quasi sempre o in carcere o all'ospedale. L'uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall'ozio! L'ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.

Benché rifiutasse l'etichetta di "anarchico", Carmelo Bene si è definito tale in svariate occasioni.

Un anarchico fuori dalla storia e contro il posto di lavoro

Il movimento anarchico si è sovente battuto per migliorare le condizioni dei lavoratori ed ha assunto una posizione che è stata definita "nella storia, ma contro la storia". [2] Per Carmelo Bene, invece, la libertà non è occupazione sul lavoro, bensì affrancamento dal lavoro [3] (già nel 1953 Guy Debord aveva tracciato su un muro della Rue de Seine lo slogan "Ne travaillez jamais" [4]). Al tempo stesso la visione anarchica beniana non si pone nella storia, ma al di fuori di essa. Seguono un paio di esempi significativi.

«In quanto anarchico, io rimango fuori dalla tradizione, meglio ancora: fuori dalla storia. Io contesto la storia, la rifiuto. Anzi, ho una profonda nostalgia per la storia che non è stata fatta. Per esempio, se Marco Antonio avesse vinto la battaglia di Azio, nessuno può mettere in dubbio che la storia avrebbe avuto un corso diverso. Ebbene io sono per i corsi che non ci sono stati e per la gente che ha sempre perduto, per quella fetta di umanità che ha sempre subito la storia, senza mai farla» (Carmelo Bene arriva e dice che non recita!, Corriere della Sera, 20 marzo 1974).
«Al governo c’è una fondamentale mancanza di ingredienti erotici, ci sono delle perversioni senza portafoglio; senza sforzo mi sono sforzato sempre di rappresentare queste cose in un contesto anarchico squisitamente politico e quando l'operaio vede lo spettacolo deve dire: mi stanno defraudando di una mia carica vitale. Si potrebbe dire: forse domani se saremo liberi potremo occuparci di noi. Questo è pericoloso! Sputa sulla famiglia, sputa sulla patria, su Dio, sulla madre, sui soldi, sull'anima, sulla religione, su me stesso; i cosiddetti anarchici sapevano che migliorare il lavoro significava niente, una truffa - qualunque ideologia è una truffa come qualunque prospettiva di lavoro, se poi il lavoro lo vediamo anche in prospettiva... » (Se il teatro è erotismo non si può dire che Bene, Anna Maria Papi, Il Nuovo, 6 luglio 1975).

L'ammirazione per Max Stirner

Bene ha più volte sottolineato l'importanza del pensiero di Max Stirner: nell'Unico Bene vedeva, infatti, non solo una rivendicazione antistoricistica ma anche il superamento dell'Io, che l'attore distruggeva sulla scena immedesimandosi nel ruolo che voleva demolire (come Stirner descrive la metafisica in una dimensione universale decadente a fantasma così Bene fa a brandelli il personaggio svuotando l'attorialità da ogni metafisica dell'Io). Seguono alcuni esempi.

In un'intervista apparsa su Quartaparete (Incontro con Carmelo Bene, di Ruggero Bianchi e Gigi Livio) del marzo 1976 troviamo questo scambio:

CB: «Torno a ripetere: esisto solo io, sono unico e irripetibile, come dice Max Stirner, l'unica persona intelligente che abbia avuto la storia del pensiero».
Intervistatore: «Un'affermazione pericolosa... ».
CB: «Di questa me ne assumo ogni rischio».
Intervistatore: «Pericolosa, intendo, nel senso che Stirner è uno dei punti più delicati della meditazione contemporanea. Cioè, con Stirner, per esempio, si può tranquillamente partire verso il fascismo... ».
CB: «Anche da Nietzsche si può andare al nazismo... ».
Intervistatore: «No. Distorcendo Nietzsche... ».
CB: «Ma anche distorcendo Stirner. Vi invito a leggere bene L'unico e la sua proprietà. Ma a leggerlo veramente bene. Leggerlo tutto molto bene. Leggerlo veramente bene».
Intervistatore: «Torniamo al punto. Tu hai detto: esisto solo io, per me... ».
CB: «Nel senso stirneriano, dicevo. L'unico, non io. Non l'io. L'io è il soggetto, attenzione! L'unico. Unico. Irripetibile. Lui dice: "Sono l'ultima tramontante stella". Non: "Per me". Non esiste il soggetto. Tu metti sempre un soggetto. E invece è una negazione del soggetto. Nietzsche deve la metà a Stirner. Non l'ha mai citato. Stranissimo. Gli deve più della metà... Ma le considerazioni inattuali sono tutte di marca stirneriana. Tutti i discorsi nietzschiani sulla storia sono proprio di pari passo con Stirner. La storia monumentale, la storia antiquaria, le analisi della storia... Ogni storia nega il presente, dice Stirner. La stessa cosa ha detto Nietzsche... Stirner è importante perché è distruzione dei valori: con una sua filosofia ancora sistematica, se vogliamo, ma con le idee molto chiare».

Nell'intervista rilasciata ad Antonio Gnoli per la Repubblica (Carmelo Bene l'ultimo pornografo) del 19 novembre 1994, alla domanda «Che cosa l'affascina di Stirner?» Bene risponde:

«Aveva capito tutto con largo anticipo: il marxismo, il comunismo, l'illusionismo. L'Unico è una pietra miliare».

Nell'intervista rilasciata a Goffredo Fofi per Sette (E adesso vi getterò nel panico) del 9 febbraio 1995, alla considerazione (dell'intervistatore) «In Italia, e non solo, domina l'uomo-massa, la dittatura della maggioranza» Bene replica:

«Un uomo-massa... d'aspetto stirneriano, strano destino è toccato a questo filosofo dell'individualismo perché non c'è niente di più funesto per Stirner degli stirneriani. Quando le masse scambiano L'Unico col piccolo del loro egoismo condominiale fanno gli individuzzi. Sono i condomini oggi la parola di Stirner, una fila di condomini rivendicanti, vocianti [...] che come forma depravata di associazionismo propongono le assemblee condominiali».

Contro la «rappresentazione di Stato» [5]

Tutto il teatro di Carmelo Bene è un susseguirsi di atti iconoclasti e sovversivi nei confronti dei paradigmi dominanti del teatro classico, borghese e convenzionale. Alle unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione Bene contrappone rispettivamente l'antistoricismo, [6] il teatro come "non-luogo" [7] e l'atto. [8] All'Io contrappone la "macchina attoriale", [9] al testo a monte la "scrittura di scena" [10] e alla finzione del teatro di rappresentazione la verità frutto della "sospensione del tragico". [11] L'opera di Carmelo Bene è caratterizzata da un piglio nichilista decisamente più construens che destruens [12] e soprattutto dall'incomunicabilità dell'irrappresentabile ("teatro senza spettacolo"): Bene sosteneva che, proprio a causa di questo «vuoto» (da non confondersi - ribadiva - col nihil filosofico) di fronte al quale veniva a trovarsi, lo spettatore viveva un'esperienza traumatica che non era in grado di riferire.

Contro lo Stato democratico

Non mancano le sferzate di Bene contro la democrazia rappresentativa, se ne riportano di seguito alcune. [13]

«La tirannia consiste nel fatto che il popolo è preso a calci per conto di uno solo; l'oligarchia per conto di un piccolo numero. In democrazia il popolo è preso a calci dal popolo per conto del popolo. Per questa ragione alcuni cercano di guardare oltre, per esempio cercano un’alternativa nel socialismo» (I vescovi entusiasti di Carmelo, Ugo Volli, la Repubblica, 30 giugno 1994).
«Che educazione è questa. Un'educazione di Stato, quel figlio di puttana che è il nostro Stato democratico. Se la democrazia deve essere questo, il disconoscimento di certe cose... E allora è finita... » (Io, la voce-orchestra, Filippo Arriva, La Sicilia, 3 agosto 1994).
«La democrazia, così come è intesa, non ha senso: significa eleggere liberamente i propri bastonatori, ci si crede liberi in uno Stato di polizia» (Il teatro è una noia, salvo solo Ronconi, Emilia Costantini, Corriere della Sera, 4 agosto 1997).

Note

  1. Bene, in realtà, ha sempre preferito per il suo teatro l'espressione "togliere dalla scena".
  2. Giampietro Berti, L'anarchismo: nella storia, ma contro la storia, Interrogations, n. 2, 1975, pp. 93-119.
  3. La libertà è affrancamento dal lavoro (video).
  4. Non lavorate mai!
  5. Secondo Bene ogni rappresentazione è rappresentazione di Stato.
  6. Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo Kronos, contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia, a cui oppone quello della "scrittura di scena" (e in seguito quello della "macchina attoriale"), che accade nel tempo Aion. Sulla dicotomia Kronos/Aion è forte l'influenza di Gilles Deleuze, che in Logica del senso (1969) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli stoici.
  7. In quello che Bene definisce "Grande Teatro" agisce, o meglio, viene agito il "non-attore" o la "macchina attoriale", non vi è rappresentazione e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa utopia o "non-luogo" viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio: in tal senso Bene ha definito Franz Kafka il più grande pornografo).
  8. Bene sostiene l'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non smarrendosi nell'atto. L'atto è ciò che tenta di negare, di ostacolare, di sgambettare l'azione, che resta orfana del suo artefice.
  9. La "macchina attoriale" (o "C.B.") è la conseguenza dell'attore che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità ecc.) per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. La "macchina attoriale" è una fusione tra "macchina" e attore: l'amplificazione non è una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità ma prevalentemente dal meccanismo sonoro.
  10. Quello di Bene è un teatro del dire (dei significanti) e non del detto (dei significati). Per Bene il teatro del già detto, che Artaud, a cui Bene si è ispirato, definì "un teatro di invertiti", non dice niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Bene sostiene che l'importanza del testo nella "scrittura di scena" è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto, più o meno significativo, che si trova sulla scena. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Per Bene il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della "scrittura di scena".
  11. Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi, modi e maniere: per Bene si tratta di minare il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di handicap, appositamente creati sulla scena, che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi (il depensamento può essere considerato come forma di meditazione o come un lavorio interno che conduce ad una non scelta tra gli infiniti doppi). Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Pertanto, nel teatro di Carmelo Bene soltanto la "macchina attoriale" può essere assoggettata a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io, che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.
  12. «Il mio è un nichilismo attivo, non negativo. Ognuno di noi cerca quello che non ha, quello che non è, perché ognuno di noi è quello che non è. Il mio nuovo libro La voce di Narciso inizia con questa frase: "Non esisto, dunque sono"» (Carmelo Bene anzi benissimo, Renato Palazzi, Corriere della Sera illustrato, 21 novembre 1981).
  13. «Crepi la democrazia, crepi la Repubblica, crepi il Presidente della Repubblica!» (video).