Il Risveglio Anarchico

Da Anarcopedia.
Jump to navigation Jump to search
La testata de Le Révéil Anarchiste.

Il Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste è stato un periodico anarchico bilingue (italiano e francese). Diretto da Luigi Bertoni, è stato l'organo di riferimento dell'movimento anarchico svizzero.

Storia

Il Risveglio Socialista Anarchico / Le Réveil Socialiste Anarchiste fu fondato il 7 luglio del 1900 a Ginevra ed era inizialmente redatto da esuli italiani, poi dagli immigrati in Svizzera; la rivista si rivolgeva alla numerosa comunità di immigrati italiani, col proposito «di compiere un doppio lavoro: partecipare in maniera costante all'organizzazione economica, all'educazione sociale e alla propaganda fra gli operai italiani emigrati nei paesi d'Europa; contribuire alla propaganda socialista anarchica in Italia a mezzo di libri ed opuscoli e commentando, senza le reticenze imposte dal fisco, la situazione attuale del regno». [1]

Contemporaneamente nacque anche Le Réveil Socialiste Anarchiste, che si avvaleva della collaborazione di alcuni anziani di anarchici romandi. Il redattore responsabile dei due periodici, organi ufficiali del movimento anarchico in Svizzera, era Luigi Bertoni, nei primi anni con la collaborazione regolare degli emigrati italiani Lavinio Barchiesi, Mario Bassadonna, Vivaldo Lacchini, Nino Samaja, Antonio Cavallazzi, Pietro Tempia e Felice Mezzani (dalla Francia) e degli svizzeri Jacques Gross, Jean Wintsch, Eugène Steiger e soprattutto Georges Herzig.

Nel 1910 il periodico, quindicinale bilingue (settimanale dall'8 luglio 1905 al 22 agosto 1908), si trasformò in due quindicinali distinti, con tiratura totale di 4.000 copie.

Nel corso degli anni la testata subì alcuni mutamenti: dal 1° maggio 1913 assunse il titolo di Il Risveglio Comunista Anarchico / Le Révéil Comuniste Anarchiste. Il 1° maggio 1926, per eliminare qualsiasi ambiguità rispetto al termine "comunista", assunse la testata Il Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste. In questa fase Carlo Frigerio e Carlo Vanza furono alcuni dei principali collaboratori.

Non contrario all'organizzazione anarchica, Il Risveglio fu attivamente a fianco delle lotte del movimento operaio svizzero, pur entrando in polemica con sia con l'anarcosindacalismo sia con i socialisti dell'Avvenire del lavoratore, diretto da Giacinto Menotti Serrati. Allo scoppio della prima guerra mondiale si schierò contro gli interventisti anarchici del Manifesto dei Sedici e vicino agli antimilitaristi europei ed in seguito contro la deriva autoritaria bolscevica in Russia e la possibilità di costituire un fronte unico rivoluzionario contro il fascismo e il nazismo.

Fine delle attività e tentativi di ristampa

Il 24 agosto 1940 comparve l'ultimo ultimo numero della rivista a causa della repressione istituzionale, ma altri numeri uscirono clandestinamente in formato opuscolo fino al 1946 con la dicitura Quelque part en Suisse. Dal 1947 al 1950 furono Carlo Frigerio e Alfred Amiguet a provare a rilanciare la rivista, ma per problemi vari dovettero interrompere le pubblicazioni.

In seguito, a partire dal 1957, l'anarchico ed obiettore di coscienza italiano Pietro Ferrua, insieme a Caludio Cantini e allo stesso Frigerio, provò a ridare alle stampe la rivista, ma fu possibile portare avanti la pubblicazione, tra mille difficoltà, solo per tre anni. A questo punto la rivista cessò definitivamente la sua attività.

Pensiero [2]

L'organo ginevrino seppe mantenere, per tutta la durata delle pubblicazioni, una impostazione di estrema coerenza con la propria linea programmatica, che si richiamava alla vecchia tradizione internazionalista dei giurassiani, di cui si considerava, d'altronde, l'erede ed il diretto continuatore:

«Quando abbiamo fondato Il Risveglio - ebbe modo di puntualizzare la redazione, rispondendo alla domanda di un lettore - fu con l'intenzione ben precisa di risvegliare il vecchio movimento anarchico, come era già stato compreso da Bakounine, Schwitzguebel e Guillaume prima, da Reclus, Kropotkine ed altri ancora dopo di loro». [3]

Di tale condotta, mantenuta nonostante il «deviazionismo» di alcuni fra i più prestigiosi collaboratori del giornale (basti pensare alla posizione interventista di Kropotkin, durante la Prima guerra mondiale), Bertoni potè a buon diritto vantarsi molti anni più tardi, quando, rispondendo a un attacco polemico, mossogli dalle colonne de L'Adunata dei Refrattari, scrisse:

«Ahimè! Abbiamo dovuto rompere coi Guillaume, coi Kropotkine, con altri, a cui ci legavano da anni stima ed affetto, e lo abbiamo dolorosamente, ma recisamente fatto. Quando Guillaume volle farci ammettere per anarchismo il sindacalismo della famosa C.G.T. francese, rispondemmo no; quando Chaugui ed altri dei Temps Nouveaux ci vollero far ingoiare la candidatura antiparlamentare De Ambris dicemmo loro di tenersela per proprio conto; quando il ciarlatano Hervé, popolarissimo fra i compagni francesi, ci capitò a Ginevra, gli dicemmo sul muso pubblicamente la verità... E l'enumerazione potrebbe continuare». [4]

Il problema organizzativo

Erede, come detto, di una vecchia tradizione di stampo internazionalista e bakuniniano, Il Risveglio vi si attenne anche per quanto concernevano gli schemi organizzativi (non a caso, ripubblicherà in opuscolo, nel 1914, lo scritto di Bakunin su L'Organisation de l'Internationale), senza lasciarsi minimamente influenzare da quel clima di infatuazione nietzschiana e neostirneriana che caratterizzò l'anarchismo italiano durante l'epoca giolittiana:

«Lo scopo dell'organizzazione è anzitutto di creare un ambiente nostro per una propaganda ed un'azione nostra. Gli antiorganizzatori quel che fanno lo debbono organizzare a un dipresso come noi, e più un'organizzazione è individuale, più evidentemente è autoritaria, non lasciando ai cooperatori indispensabili che di fornire denaro e attività in una evidente posizione di dipendenza, volontaria fin che si vuole, ma che non sopprime perciò la realtà stessa della dipendenza. Come è pura metafisica considerare l'individuo a sé e in sé [...] così va considerato l'uomo come membro di una data società e in tutti i suoi rapporti con essa. L'isolato si troverà a non contare più nulla o a subire suo malgrado dei successivi assorbimenti d'altri ambienti in mancanza d'un proprio. Più gli anarchici sono capaci di cooperazione e di solidarietà fra loro e più potranno salvaguardare la loro individualità e caratteristica d'anarchici, senza contare che l'unione - unione attiva, intendiamoci bene - fa la forza non solo materialmente, ma ancor più moralmente». [5]

In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli individualisti, che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario:

«[...] si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». [6]

In sintesi, gli schemi organizzativi sostenuti da Il Risveglio, possono essere considerati, a partire dagli anni '20, sostanzialmente conformi a quelli formulati dal'Unione Anarchica Italiana, anche se a tale organismo il foglio ginevrino non fece mai atto di formale adesione, onde evitare dissensi e possibili spaccature all'interno del movimento italo-elvetico. Tale, almeno, la giustificazione più tardi addotta dallo stesso Bertoni, quando, costretto a una nuova presa di posizione sulla spinosa questione, ebbe modo di precisare che:

«Se io avessi proposto ai compagni della Svizzera un'adesione in blocco all'Unione Anarchica Italiana, avrei sollevato opposizioni, attriti, divisioni; risposi dunque che senza adesione formale, l'U.A.I. ci tenesse al corrente di tutta l'azione sua, che noi l'avremmo volta per volta appoggiata, facendo, se del caso, controproposte o proposte originali nostre. Il risultato era identico, trattandosi di aggruppamenti lontani e non aventi sede in una città o borgata italiana, dove già esistesse una sezione dell'UAI». [7]

Sindacalismo

Per quanto favorevole ad un'attiva partecipazione anarchica alle lotte ed alle rivendicazioni operaie, il periodico non si lasciò mai invischiare nell'ingranaggio sindacale, di cui intravvide, fin dall'inizio, i pericolosi limiti riformisti. Fin dai primi numeri, i redattori avevano infatti chiarito che:

«Noi non siamo dei riformisti, ma siamo dei rivoluzionari. Tariffe locali e regionali, cassa di disoccupazione, di resistenza, di viatico, minimo di salario, diminuzione d'orario, ecc., non hanno per noi che un'importanza relativa e sono d'altronde questioni difficili a trattare in linea generale, perché la loro soluzione dipende da un cumulo di circostanze particolari che variano assai secondo i paesi e secondo le professioni. Col dire ai compagni: Sindacatevi! non intendiamo certo consigliar loro di accettare il salariato. Vogliamo solo col migliorare le condizioni nella misura del possibile, poter quindi disporre di maggiori forze per abbatterlo». [8]

Tali vedute non significavano, tuttavia, la rinuncia a un intervento nelle lotte e nell'azione organizzata dalla classe lavoratrice, tanto che alcuni anni più tardi, rispondendo a un lettore che chiedeva se «un anarchico non dovrebbe agire individualmente senza ricorrere ad un sindacato, il cui statuto e le cui decisioni rappresentano una nuova legge», il foglio ginevrino, meglio chiarendo la propria posizione, affermava che:

«Con o senza l'adesione degli anarchici, il sindacato si forma ed intraprende un dato movimento. Possiamo disinteressarcene? No. Per influire sulla sua linea di condotta, saremo noi meglio in grado di farlo dentro o fuori del sindacato? La risposta non può essere dubbia. Membri del sindacato potremo controllarne e seguirne l'opera giorno per giorno, darle una certa direzione, fare intendere la nostra voce d'incoraggiamento o di protesta secondo i casi. Non appartenendovi, ci troveremo il più delle volte in faccia di decisioni già prese, che sarà ben difficile modificare. Quei benedetti statuti che paiono spaventare assai molti compagni, in realtà non contano gran cosa e, col sottrarsi ad essi, non ci si sottrae poi a certi contratti di lavoro, che siamo costretti di subire, a meno d'intenderci col padrone contro altri operai». [9]

La concezione bertoniana del sindacalismo è meglio chiarita, tuttavia, in una serie di scritti polemici contro la posizione riformista del gruppo francese della Vie ouvrière (Monatte-Rosmer) e la troviamo riassunta nel testo di una conferenza tenuta da Bertoni a Parigi il 28 gennaio 1914 (poi pubblicata, col titolo Notre syndicalisme, nella parte francese de Le Réveil, n. 377, del 7 febbraio 1914 e seguenti). I «mezzi e lo scopo del sindacalismo» vi erano così sintetizzati: [10]

  • «1. Realizzare la più netta separazione possibile fra sfruttati e sfruttatori, per rendere la lotta più estesa, più intensa e più manifesta [...]».
  • «2. Opporsi ad ogni intromissione ed alle direttive date dal di fuori, non creando dei poteri centrali e distinguendo nettamente il sindacato da ogni partito politico. Ogni controparola o segnale d'azione deve provenire dalla stessa assemblea e non deve presentarsi come l'imposizione di una qualsivoglia autorità».
  • «3. Il principio dell'azione diretta deve essere applicato sempre ed ovunque dagli stessi interessati e devono essere evitate il più possibile le rappresentanze e le deleghe di potere [...]».
  • «4. Costituzione di un organismo, assolutamente indipendente dall'organismo statale e da tutte le istituzioni borghesi, che si opponga ad ogni intervento legale, rifiutando ogni sovvenzione ufficiale e combatta, soprattutto, la tendenza ad affidare delle nuove funzioni allo Stato. Questo perchè l'organizzazione operaia si realizza a misura che l'organizzazione statale perde d'importanza e diviene inutile mano a mano che il lavoro prende il posto del potere, dell'officina e del governo [...]».
  • «5. Fondare una morale nuova, basata sul lavoro, la funzione più importante della vita, e sviluppare il senso di responsabilità di fronte al mestiere che esercitiamo, delle faccende che compiamo tutti i giorni. Denunciare anche il lavoro antisociale, quello cioè che nuoce ai nostri simili e che ci viene imposto al fine di mantenere l'attuale stato di miseria, di oppressione e di sfruttamento».
  • «6. Formulare un diritto nuovo, per sviluppare nei lavoratori la coscienza sempre più netta della loro inferiorità e pertanto d'indegnità, contro la quale essi sono chiamati a rivoltarsi per ottenere con l'uguaglianza di fatto, il benessere e la libertà. Non si tratta, ben inteso, di un diritto scritto, ma della rivendicazione pratica per tutti dei beni e dei godimenti riservati oggi a pochi privilegiati».

La Prima guerra mondiale

Al profilarsi della minaccia della conflagrazione europea, di cui l'organo anarchico denunciò, fra i primi, l'incombente pericolo (rivelerà, poi, di avere ricevuto, in anteprima, notizie e documentazioni da Kropotkin, «conoscitore profondo delle rivalità fra gli Stati e sovente bene informato in materia d'intrighi diplomatici» [11]). Di fronte all'urgenza ed alla gravità del problema, balzato sull'orizzonte politico internazionale, il periodico dovette pertanto accantonare i temi usuali della propaganda, per impegnarsi a fondo nella campagna contro la guerra, sollecitando il proletariato internazionale a boicottare la corsa agli armamenti delle potenze belligeranti ed a troncare le mire guerraiole della borghesia, ricorrendo allo sciopero generale:

«La preoccupazione della guerra divenuta anche per noi la maggiore di tutte - scriverà più tardi Bertoni [11] - sentimmo essere puerile quasi l'affannarsi troppo per le conquiste sindacali, poiché tanta minaccia incombeva su tutti i proletari. E da allora lanciammo il grido d'allarme: O la rivoluzione o la guerra! e su questo dilemma abbiamo imperniata tutta la propaganda orale e scritta».

In realtà, già verso la fine del 1912, l'organo anarchico aveva lanciato la parola d'ordine «lo sciopero generale prima della guerra», perché - affermava - «una volta la mobilitazione annunciata, la generale battuta, l'allarme dato, gli ordini di marcia spediti, l'opinione pubblica soggiogata, il proletariato non sarà più in grado di riparare al mal fatto». [12]

Scoppiato il conflitto, Le Réveil - uscito in quel periodo nella sola edizione francese - lanciò il manifesto Au Prolétariat International (Al Proletariato Internazionale) [13], perché alla guerra che è «la rottura borghese della legalità interstatale», questi opponesse «la Rivoluzione, la rottura proletaria internazionale contro tutte le leggi del privilegio e dell'oppressione in nome della giustizia, nell'interesse di tutti».

La posizione di intransigente antibellicismo (non neutralismo, come è sovente precisato, «perché il neutralismo statale non è e non può essere che una menzogna, e poi perché abbiamo in mediocre stima quei pacifisti che non vogliono colpita la guerra nelle sue due profonde cause: il capitale e lo Stato») venne sostenuta, senza tentennamenti, durante tutti gli anni in cui perdurò il conflitto.

Particolarmente vivace, fu lo scontro polemico sostenuto dal giornale contro la deviazione interventista di quelle frangie di sovversivi - fra cui Jean Wintsch, Jean Grave e lo stesso Kropotkin - che, «vinti dalla febbre della guerra», si erano pronunciati per una partecipazione anarchica a favore della triplice alleanza franco-anglo-russa, sostenendo ch'era una necessaria difesa contro il dispotismo tedesco e un mezzo per abbattare il militarismo. [14]

La polemica antibolscevica

Dopo la fine del conflitto mondiale, l'attenzione degli ambienti rivoluzionari era stata ovviamente polarizzata dagli eventi della Russia bolscevica. Poco incline a condividere gli entusiasmi e l'eccessivo ottimismo, generalmente espresso da tutte le correnti rivoluzionarie, compresi alcuni anarchici, nei confronti della nuova realtà sovietica, il foglio ginevrino si pronunciò subito contro «la dittatura del proletariato», perché contraria - affermava - ai principi del socialismo e perché tale formula «significa in realtà [...] delegazione di potere a qualche individuo che deve agire nell'interesse del proletariato». [15]

Da critico, l'atteggiamento del giornale nei confronti del bolscevismo divenne apertamente ostile non appena fu chiara la politica di repressione condotta dal nuovo regime sovietico contro tutte le forze rivoluzionarie, di fede non bolscevica: [16]

«L'errore di alcuni anarchici - si legge, in particolare, in una postilla redazionale a una corrispondenza di «Numitore» (Leonida Mastrodicasa) - fu di non aver subito attaccato con vigore la dittatura sedicente rivoluzionaria, conformemente al programma elaborato da più di cinquant'anni. Ora non c'è possibilità d'accordo coi capi neo-comunisti [...] I giacobini della rivoluzione russa si sono ormai trasformati essi stessi in termidoriani per rimanere al potere». [17]

La frattura coi comunisti era, a questo punto, chiaramente irreparabile. L'intolleranza bolscevica aveva d'altronde confermato, alla prova dei fatti, l'inconciliabilità - sia nei mezzi che nei fini - di due opposte concezioni del socialismo; ed in pratica si lasciava interpretare come un serio avvertimento a diffidare, anche in avvenire, di possibili accordi, per quanto temporanei, con le forze marxiste, se questi si fossero ripresentati in vista di nuove esperienze rivoluzionarie. Più che mai significativa è, d'altronde, la decisione presa al convegno di Zurigo del 4-5 luglio 1925, di sopprimere dalla testata del giornale la parola "comunista", onde non lasciare dubbi sull'assoluta autonomia del programma politico portato avanti dall'organo ginevrino ed evitare, per il futuro, l'insorgere di pericolosi malintesi:

«Malatesta - si legge nel resoconto post-congressuale - aveva accennato lui pure alla necessità di dirci ormai semplicemente anarchici, a scanso di ogni equivoco. Per esserci detti, noi soli, comunisti, durante quasi mezzo secolo, quando gli stessi Marx ed Engels, senza contare poi Lenin, non si dicevano più tali, potremmo insistere a rivendicare la qualità di comunisti, ma non ne risulterebbe che un grave danno per noi [...] Oggi che il comunismo significa per i più la dittatura di Stato di un partito che lo rivendica, anche se non vuole in fondo che aggiungere al capitalismo privato un capitalismo di Stato sempre più potente, col dirci comunisti la massa ignara di storia e di dottrina potrebbe farsi il più falso concetto dell'anarchismo o magari rimproverarci le più incredibili contraddizioni». [18]

È da ritenersi pertanto corretta e conforme a questa linea di pensiero (e non «purezza dottrinaria» o «coerenza di principi» per partito preso), la posizione assunta dal giornale nei confronti di quella corrente di anarchici « terzointernazionalisti » che sosteneva l'opportunità di un «fronte unico rivoluzionario» con le forze marxiste [19], per il pericolo insito in questo genere di coalizione, di dover abdicare ai criteri tattici e teorici dell'anarchismo, «per diventare volta a volta zimmerwaldiani, kienthaliani, bolscevichi, terzinternazionalisti, dittatoristi, e non sappiamo cos'altro ancora». [20]

Fascismo

Già con l'avvento al potere di Giolitti («voluto da quanti sperano in lui per soffocare le ribellioni popolari» [21]), l’organo anarchico non aveva nascosta la sua preoccupazione per l'involuzione reazionaria della politica italiana. In realtà, nell'arco di pochi mesi, la breve stagione rossa del proletariato italiano potè dirsi a tutti gli effetti conclusa, con la più completa sconfitta delle forze operaie e il deciso contrattacco della borghesia, reso più grave dalla complice acquiescenza del Partito Socialista, di cui Il Risveglio criticò, senza mezzi termini, l'atteggiamento «tolstoiano» e la politica di incertezze e di compromessi. Di fronte alla progressiva recrudescenza delle violenze squadriste, la redazione ginevrina del giornale non esitò, al contrario, a sollecitare un'energica risposta popolare alle provocazioni fasciste, quale unica alternativa possibile, per stroncare sul nascere le mene reazionarie in atto; e invitò, al tempo stesso, a diffidare da eventuali interventi legali contro la criminalità fascista, la quale «se non ufficiale e legale, è per lo meno ufficiosa e al servizio d'un potere»:

«Per conto nostro - scriveva la redazione, commentando i fatti di Sarzana del 21 luglio 1921 - diciamo apertamente che non solo ogni trattativa di pace coi fascisti ci ripugna, ma che non desideriamo affatto che sia la forza statale a farla finita col fascismo. È indispensabile che questo finisca per insurrezione e furore di popolo. Altrimenti è facile prevedere quel che accadrà». [22]

Dopo l'avvento al potere del fascismo, l'organo anarchico dovette prendere atto che, per i mutati rapporti di forza, «l'azione esterna e di piazza è in certa misura ben ardua» [23]; e, in vista di una lotta che si presentava a più lunga scadenza, rielaborò il proprio atteggiamento tattico, in base ad alcune direttive d'indole generale, che troviamo così formulate:

«Isolare il fascismo, togliere ogni fiducia in una soluzione parlamentare, esercitare ogni giorno la più larga solidarietà difensiva, moltiplicare le resistenze, aumentare la pressione popolare, finché venga a scoppiare in circostanze che non mancheranno certamente». [24]

Nettissimo fu, al tempo stesso, il rifiuto per una partecipazione anarchica alla costituzione di un «Fronte Unico», in quanto - affermava - «non crediamo esista formula teorica che possa unire tutti gli antifascisti». [25] Un anno più tardi, rispondendo a un appello lanciato dalle colonne de l'Avanti! dalla direzione del Partito Socialista, a comunisti, republicani ed anarchici, «per l'unità proletaria nella lotta antifascista», replicava che gli anarchici non possono aderirvi, perché:

«[...] è evidente che l'accordo non può farsi che per determinati atti, il cui sviluppo sarà quel che sarà, secondo circostanze ed opportunità, forze e possibilità, ma sarebbe assurdo esigere da chiunque di rinunciare ad influire sugli avvenimenti in senso proprio, soprattutto quando si tratta, come nel caso nostro, di salvaguardare la maggiore libertà per tutti [...] I gruppi senza confondersi e seguendo ciascuno il proprio cammino possono convergere tutti contro il fascismo [...] L'azione insurrezionale deve partire dai più diversi punti della periferia e non da un centro, quasi sempre esitante e ritardatario» [26]

Note

  1. Dopo un anno, a. II, n. 15, del 20 luglio 1901.
  2. Fonte principale: Leonardo Bettini, Bibliografia dell'anarchismo
  3. Cfr. nel n. 243, del 28 novembre 1908, la rubrica Domande e Risposte.
  4. Una cattiva azione, suppl. al n. 748, del 7 luglio 1928.
  5. Alcune spiegazioni, suppl. al n. 716, del 16 aprile 1927 (in polemica con un gruppo antiorganizzatore del nordamerica.
  6. Cfr. In tema d'organizzazione (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì Vecchio tema, n. 608, del 10 febbraio 1923; Per uno schiarimento, n. 610, del 10 marzo 1923; Vecchio tema, n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione bertoniana dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto Anarchia e Associazione, pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici». Per le posizioni di Bertoni nei confronti dell'individualismo anarchico, si veda, infine, l'articolo Metafisca dell'Individualismo, pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.
  7. Dibattito vano, n. 885, del 4 novembre 1933.
  8. Gli anarchici e i sindacati, a. I, n. 7, del 29 settembre 1900.
  9. Cfr. sul n. 256, del 5 giugno 1909, la rubrica Domande e Risposte.
  10. Notre syndicalisme, n. 380, del 21 marzo 1914.
  11. 11,0 11,1 Crf. Spieghiamoci bene, n. 477, del 4 novembre 1916.
  12. La Guerra, n. 344, del 26 ottobre 1912.
  13. Numeri 397 e 398, del 14 e 28 novembre 1914.
  14. Vedi ad esempio, Ai guerrafondai sedicenti sovversivi, n. 418, 419 e 420, dell'11 e 25 settembre e 9 ottobre 1915, nonché la risposta di Bertoni (Soldats ou insurgés, n. 401, del 9 gennaio 1915) alle posizioni di Jean Grave, che andava sostenendo che «se è vero che tutti i governi sono uguali, non è meno vero che l'autorità del vincitore è più difficile da sopportare, ché è un forte aggravamento dell'autorità semplice» (Il n'y a pas d'absolu, n. 400, del 26 dicembre 1914). Per la più benevola posizione del giornale nei confronti di Kropotkin - che, come noto, era stato uno dei firmatari del «Manifesto dei Sedici» - e spiegabile per i sentimenti di amicizia e di stima che da anni legavano Bertoni al vecchio rivoluzionario russo, vedi, invece, Spieghiamoci bene, n. 477, del 4 novembre 1916.
  15. Cfr. F. P. (Francesco Porcelli), Anarchia e Dittatura, n. 510, del 5 aprile 1919 (lo scritto esprimeva la posizione redazionale, dal momento che Porcelli sostituiva all'epoca, Bertoni, in carcere dal 1918, per il caso delle «bombe di Zurigo»; in tal senso, d'altronde, lo stesso Bertoni lo rivendicherà, più tardi, pienamente, ripubblicandolo sul n. 554, del 25 dicembre 1920, con la precisazione che l'articolista aveva definito «subito in modo concludente la nostra posizione»).
  16. Vedi, ad esempio, Documenti rivoluzionari, n. 529, del 3 gennaio 1920; Involuzione bolscevica, n. 532, del 14 febbraio 1920.
  17. Per la rivoluzione, n. 577, del 26 novembre 1921.
  18. Il nostro Convegno, supplemento al n. 672, del 31 luglio 1925. Crf. anche la lettera di Bertoni a Emilio Grassini, in data 2 gennaio 1947, pubblicata in L'Adunata dei Refrattari (New York) del 17 ottobre 1964, p. 3.
  19. Crf. nel n. 528, del 20 dicembre 1919, la rubrica Manrovesci e battimani.
  20. Unione non unità, n. 553, del 28 febbraio 1920.
  21. Crf. Pugno di ferro, n. 542, del 3 luglio 1920.
  22. Dopo Sarzana, n. 570, del 6 agosto 1921. Si consultino anche gli scritti: La violenza (dal n. 566, dell'11 giugno 1921 al n. 569, del 23 luglio 1921) e L'Esplosione, n. 561, del 2 aprile 1921 (in difesa degli attentatori del Diana).
  23. Crf. Sul momento attuale, n. 605, del 30 dicembre 1922
  24. Che fare?, supplemento al n. 669, del 20 giugno 192).
  25. Lotta antifascista, supplemento al n. 699, del 21 agosto 1926.
  26. Vedi, sul supplemento al n. 713, del 5 marzo 1927, la rubrica Manrovesci e Battimani, nonché, sullo stesso numero, l'intervento di C. B. (Camillo Berneri) L'Antifascismo in Francia. Il fronte unico.

Bibliografia

  • Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italiani - Volume 1, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004.
  • Gianpiero Bottinelli, Luigi Bertoni, la coerenza di un anarchico, La Baronata, Lugano, 1997.
  • Jean-Louis Amar, Le Réveil anarchiste, organe d'un mouvement libertaire genevois, 1900-1980 (in francese), Mémoire de licence histoire, Univ. Genève, 1981.
  • Furio Biagini, Il Risveglio (1900-1922): storia di un giornale anarchico dall'attentato di Bresci all'avvento del fascismo, Piero Lacaita Editore, 1991.

Collegamenti esterni