Francesco Barbieri
Francesco Barbieri (Briatico, Vibo Valentia, 14 dicembre 1895 – Barcellona, 5 maggio 1937) è stato un militante e combattente anarchico italiano. Il suo nome è associato a quello più conosciuto di Camillo Berneri, poiché entrambi morirono a Barcellona durante i moti del maggio 1937, vittime della repressione stalinista.
Biografia
Nato in un'agiata famiglia calabrese, intraprende gli studi superiori conseguendo il diploma di perito agrario nel 1914. A scuola conosce diversi esponenti socialisti ed anarchici. Barbieri si impegna risolutamente nella diffusione delle idee libertarie, contro la guerra e il militarismo in genere.
La polizia apre un fascicolo su di lui, schedandolo come sovversivo-anarchico. Nell'aprile del 1921 emigra in Argentina all'avvento del fascismo in Italia. Si stabilisce a Buenos Aires e, in un clima da guerra sociale e di repressione, entra a far parte del “Comitato Antifascista Italiano” e conosce numerosi anarco-sindacalisti della FORA. Con l'arrivo di Severino Di Giovanni in Argentina Barbieri, detto “Chico il professore”, si unisce alla banda di Di Giovanni, che sarà responsabile di numerosi attentati tra il 1927 e il 1928 contro gli interessi italo-americani a Buenos Aires, anche in risposta alle condanne ed esecuzione di Sacco e Vanzetti. [1] Essi praticheranno anche degli “espropri” di banche per finanziare la propaganda e l'aiuto ai compagni vittime della repressione.
Dopo l'attentato del 3 maggio 1928 al Consolato Italiano che provoca la morte di nove persone, il movimento anarchico argentino critica aspramente il gruppo, che deciderà di dissolversi. Barbieri si trasferirà in Uruguay e poi in Brasile. Espulso verso l'Italia per esservi processato, riuscirà a fuggire e a raggiungere la Francia da cui sarà espulso a causa delle sue attività anarchiche ed antifasciste. Riparato in Svizzera, viene espulso. Stessa sorte gli tocca dopo aver raggiunto la Spagna.
Rientrato a Ginevra, allo scoppio della rivoluzione spagnola fa rientro nella penisola iberica, a Barcellona, ed il 25 luglio 1936 e si unisce alla colonna italiana che prende parte ai combattimenti sul fronte di Huesca.
Il 5 maggio 1937, trovandosi a Barcellona per via di una malattia, è arrestato dalla polizia agli ordini dei comunisti. Il suo corpo crivellato da colpi sarà ritrovato il giorno seguente insieme a quello di Camillo Berneri.
Il racconto della morte di Barbieri e Berneri
Vedi Giornate del maggio 1937 (Barcellona). |
«... Verso le 6 del pomeriggio un gruppo di "mozos de escuadra" e di "bracciali rossi" del PSUC irrompe nel portone numero 3. Li comanda un poliziotto in borghese; in tutto, saranno una dozzina. Salgono gli scalini di marmo che portano al primo piano e bussano alla porta di Berneri. Ad aprire è Francesco Barbieri, 42 anni, anarchico di origine calabrese. Nell'appartamento, oltre Camillo Berneri, c'è la compagna di Barbieri e una miliziana. - Il poliziotto in borghese intima ai due anarchici di seguirlo. - E per quale motivo? - Vi arrestiamo come controrivoluzionari. - Barbieri è paonazzo. - In vent'anni di milizia anarchica - dice - è la prima volta che mi viene rivolto questo insulto. - Appunto in quanto anarchici, siete controrivoluzionari. - Il suo nome fa Barbieri irritato - Gliene chiederò conto presto. - Il poliziotto rovescia il bavero della giacca e mostra una targhetta metallica con il numero 1109. - I due anarchici vengono portati via, mentre la compagna di Barbieri chiede invano di poterli seguire. - Ma il viaggio è breve, di quelli che non ammettono testimoni. Berneri è gettato a terra in ginocchio e con le braccia alzate, e da dietro gli sparano a bruciapelo alla spalla destra. Un altro colpo alla nuca, lo finisce. Barbieri segue la stessa sorte, ma il lavoro è meno pulito, gli assassini sprecano più colpi. Più tardi, verso sera, i cadaveri vengono abbandonati nel centro della città... ». [2]
Così Tosca Tantini racconterà in una lettera alla madre di Camillo, Adalgisa Fochi, gli ultimi istanti di vita dell'anarchico:
- «Verso sera vennero otto individui per eseguire una perquisizione. Fu solo allora che comprendemmo di essere chiusi in un cerchio dal quale difficilmente si sarebbe usciti. Ci guardammo preoccupati, solo Camillo sorrideva: “Non è il momento di sorridere” gli dicemmo. “Lo so – ci rispose - ma che volete farci? Chi poteva precedere una cosa simile? “Gli invasori cominciarono un via vai; asportarono molte cose fra cui in nostri materassi. Tutti eravamo nervosi per quanto succedeva, escluso il suo Camillo, che continuava a lavorare. “Lavorate anche voi – ci disse – nel lavoro troverete la calma.” A un certo momento uno della pattuglia incominciò ad osservare gli incartamenti che Berneri teneva sopra il tavolo da lavoro. Subito dopo l'investigatore uscì e per le scale lo sentimmo gridare: “Arriba està un assunto muy serio”. Poi diede disposizioni perché una camionetta venisse a prendere tutto. Fu solo allora che Berneri perdette la sua serenità, il suo ascetico viso si fece rosso infiammato, poi bianco. “Piuttosto che mi tocchino una sola cartella – ci disse – preferisco che mi taglino una gamba. Anche la vita sono disposto a dare, ma che non tocchino una carta.” Si rimise tosto a tavolino e, mano a mano, che il suo lavoro proseguiva, il suo viso si ricomponeva, tanto che la serenità ritornò nel suo sguardo. Verso le sei del giorno 5 lo pregammo di tralasciare e, cedendo alle nostre insistenze, venne nell'anticamera con noi. E poiché il mortaio tirava verso la nostra casa egli per distrarci faceva dello spirito e ci raccontava delle storielle divertenti. In quelle condizioni di spirito lo trovarono i carnefici, quando verso le sette vennero a prenderlo. Pochi istanti prima Berneri aveva preparatole scarpe e l'impermeabile a portata di mano, come presentisse di dovere uscire. Si vestì con la massima calma e, tranquillamente sulla soglia ci strinse la mano sorridendo, come per incoraggiarci. Che nobiltà d'animo,! Che coraggio!Dopo due giorni di ricerche l'ho rivisto all'ospedale clinico crivellato di pallottole. Gli occhi erano spalancati ed in essi si leggevano non la paura, ma il disprezzo. Il pugno alzato era chiuso come volesse colpire qualcuno. Quella tragica visione è scolpita nella mia memoria». [3]