Rivoluzione

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Rivoluzionari magonisti che si presero la città di Tijuana durante l'Insurrezione della Bassa California (1911).

La rivoluzione (dal tardo latino revolutio, -onis, rivolgimento) è un termine che definisce un cambio o trasformazione radicale e profonda rispetto al passato recente. Dal punto di vista politico essa consiste in quella serie di eventi che portano una popolazione ad emanciparsi dall'autorità, insorgendo e riappropriandosi del proprio potere, individuale e collettivo, e autodifendendosi (violentemente o non violentemente) dalla prevedibile reazione del vecchio potere.

Il termine può assumere anche un'accezione meno politica ed identificare una rivoluzione scientifica e\o industriale e tecnica.

Evoluzione storica del concetto di rivoluzione

Durante l'epoca greco-romana la nozione di rivoluzione, come modernamente la intendiamo, è praticamente sconosciuta. Non è un caso che in latino revolutio significhi ritorno.

Max Stirner, filoso anarco-individualista, nei suoi scritti esaltò la rivolta ma non la rivoluzione

In epoca rinascimentale il termine entra invece a far parte dell'uso politico, richiamandosi al moto ciclico delle stelle e volendo significare quindi che esistono leggi immutabili a cui è difficile sottrarsi (... il pianeta è destinato a chiudere la sua orbita ciclica e a ritornare al suo punto di partenza) e che al limite possono solamente essere riscoprite o rivalutate. Con il suo De revolutionibus orbium, Copernico avvalora tale tesi, pensando alla rivoluzione come un ritorno alla verità. La filosofia politica post-rinascimentale interpreta quindi la rivoluzione, coerentemente, come ripristino di un ordine giusto infranto. La rivoluzione è intesa quasi come restaurazione.

Anche in Kant, il concetto di rivoluzione assume il significato di illuminazione e rivelazione di ciò che era stato occultato ingiustamente. La stessa Rivoluzione americana si configura come un ritorno a “sani valori” e “sani principi”. D'altronde tanto Tommaso d'Aquino che Montesquieu condannano senza mezze misure l'idea rivoluzionaria.

È con la Rivoluzione Francese che il termine assume significato moderno di rottura con il passato, ingenerando un dibattito sul suo significato: «Con la rivoluzione sono state trovate nuove e più giuste leggi o sono state perdute le giuste e antiche consuetudini?».

Con rivoluzione russa, tale dibattito va accentuandosi e il termine assume il significato che le ha attribuito l'era moderna: un sinonimo di rottura, di violenta trasformazione delle istituzioni e delle formazioni di sovranità che innescherebbe un mutamento di assetti socio-economici, in parte già registrati dal mutamento di equilibri sociali che hanno premuto per la rottura.

È da rilevare che alcuni pensatori, per es. Albert Camus e Max Stirner, hanno ritenuto doveroso distinguere la rivolta dalla rivoluzione. Per Stirner solo la rivolta è accettabile perché "appartiene" al singolo individuo; Camus distingue invece la rivolta in storica, metafisica e artistica: le prime due tendono a trasformarsi in coercizione e oppressione in nome della storia e dell'uomo che si sostituisce a Dio. In generale la rivoluzione prende per questi ed altri pensatori un'accezione meramente negativa, poiché destinata a sostituire un potere con un altro, un governo con un altro o comunque un sistema sociale con un altro.

Rivoluzione politica e sociale

Le rivoluzioni nascono per soddisfare il bisogno di libertà di una comunità e per risvegliare la coscienza del popolo, il quale se tenuto in schiavitù rischia di venire derubato non solo dei suoi beni materiali ma della sua stessa identità. La sostanziale distinzione tra rivoluzione politica e sociale consiste nel fatto che la prima tende a sostituire un potere con un altro (es. Rivoluzione Francese), mentre la rivoluzione sociale consiste nel drastico cambiamento delle strutture sociali di una società, fino, talvolta, all'abbattimento di ogni potere.

Le rivoluzioni storicamente più comuni sono proprio quelle politiche, segnate sempre da una matrice filosofica o politico-sociale che si autoproclama “avanguardia” delle masse rivoluzionarie. Per questo gli anarchici invece ritengono che la vera rivoluzione (vedi Rivoluzione sociale) è quella che elimina immediatamente ogni autorità e struttura gerarchica, al contrario dei marxisti, che certamente considerano la rivoluzione come un mezzo necessario per sovvertire l'ordine sociale, ma non eliminando immediatamente ogni forma di potere, bensì sostituendo il potere borghese con quello proletario (dittatura del proletariato), anche se solo ed esclusivamente in una fase transitoria che conduca, dopo un lungo processo, all'estinzione dello Stato.

La storia però insegna che molto frequentemente, quando alcuni uomini\donne si arrogano il diritto esclusivo di essere l'unica e autentica “guida rivoluzionaria” o quando si scende a compromessi riformisti con la scusa di “salvare la rivoluzione”, le rivoluzioni tendono ad “istituzionalizzarsi”, perdendo la radicalità iniziale e diventando semplicemente una fase transitoria da una forma di potere ad un'altra. Gli anarchici si oppongono a questo modo di intendere la rivoluzione, essi ritengono quindi che la rivoluzione reale è quella fatta da tutto il popolo con l'obiettivo immediato di eliminare ogni forma di dominio e gerarchia, realizzando quindi una vera RIVOLUZIONE SOCIALE.

Mezzi rivoluzionari

Come si giunge alla rivoluzione? La storia insegna che le possibilità sono molteplici:

Tipologie di rivoluzione politica

Rivoluzioni libertarie

Rivoluzioni marxiste

Rivoluzioni liberali

Voci correlate