Il Risveglio Anarchico: differenze tra le versioni

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In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli [[anarco-individualisti|individualisti]], che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario:
In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli [[anarco-individualisti|individualisti]], che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario:
:«[...] si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». <ref>Cfr. ''In tema d'organizzazione'' (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì ''Vecchio tema'', n. 608, del 10 febbraio 1923; ''Per uno schiarimento'', n. 610, del 10 marzo 1923; ''Vecchio tema'', n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione «bertoniana» dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto ''Anarchia e Associazione'', pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici». Per le posizioni di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] nei confronti dell'[[individualismo anarchico]], si veda, infine, l'articolo ''Metafisca dell'Individualismo'', pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.</ref>
:«[...] si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». <ref>Cfr. ''In tema d'organizzazione'' (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì ''Vecchio tema'', n. 608, del 10 febbraio 1923; ''Per uno schiarimento'', n. 610, del 10 marzo 1923; ''Vecchio tema'', n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione [[bertoniana]] dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto ''Anarchia e Associazione'', pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici». Per le posizioni di [[Luigi Bertoni|Bertoni]] nei confronti dell'[[individualismo anarchico]], si veda, infine, l'articolo ''Metafisca dell'Individualismo'', pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.</ref>


In sintesi, gli schemi organizzativi sostenuti da ''Il Risveglio'', possono essere considerati, a partire dagli anni '20, sostanzialmente conformi a quelli formulati dal'[[Unione Anarchica Italiana]], anche se a tale organismo il foglio ginevrino non fece mai atto di formale adesione, onde evitare dissensi e possibili spaccature all'interno del movimento italo-elvetico. Tale, almeno, la giustificazione più tardi addotta dallo stesso [[Luigi Bertoni|Bertoni]], quando, costretto a una nuova presa di posizione sulla spinosa questione, ebbe modo di precisare che:
In sintesi, gli schemi organizzativi sostenuti da ''Il Risveglio'', possono essere considerati, a partire dagli anni '20, sostanzialmente conformi a quelli formulati dal'[[Unione Anarchica Italiana]], anche se a tale organismo il foglio ginevrino non fece mai atto di formale adesione, onde evitare dissensi e possibili spaccature all'interno del movimento italo-elvetico. Tale, almeno, la giustificazione più tardi addotta dallo stesso [[Luigi Bertoni|Bertoni]], quando, costretto a una nuova presa di posizione sulla spinosa questione, ebbe modo di precisare che:
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:«Con o senza l'adesione degli [[anarchici]], il [[sindacato]] si forma ed intraprende un dato movimento. Possiamo disinteressarcene? No. Per influire sulla sua linea di condotta, saremo noi meglio in grado di farlo dentro o fuori del [[sindacato]]? La risposta non può essere dubbia. Membri del [[sindacato]] potremo controllarne e seguirne l'opera giorno per giorno, darle una certa direzione, fare intendere la nostra voce d'incoraggiamento o di protesta secondo i casi. Non appartenendovi, ci troveremo il più delle volte in faccia di decisioni già prese, che sarà ben difficile modificare. Quei benedetti statuti che paiono spaventare assai molti compagni, in realtà non contano gran cosa e, col sottrarsi ad essi, non ci si sottrae poi a certi contratti di lavoro, che siamo costretti di subire, a meno d'intenderci col padrone contro altri operai». <ref>Cfr. sul n. 256, del 5 giugno 1909, la rubrica ''Domande e Risposte''.</ref>
:«Con o senza l'adesione degli [[anarchici]], il [[sindacato]] si forma ed intraprende un dato movimento. Possiamo disinteressarcene? No. Per influire sulla sua linea di condotta, saremo noi meglio in grado di farlo dentro o fuori del [[sindacato]]? La risposta non può essere dubbia. Membri del [[sindacato]] potremo controllarne e seguirne l'opera giorno per giorno, darle una certa direzione, fare intendere la nostra voce d'incoraggiamento o di protesta secondo i casi. Non appartenendovi, ci troveremo il più delle volte in faccia di decisioni già prese, che sarà ben difficile modificare. Quei benedetti statuti che paiono spaventare assai molti compagni, in realtà non contano gran cosa e, col sottrarsi ad essi, non ci si sottrae poi a certi contratti di lavoro, che siamo costretti di subire, a meno d'intenderci col padrone contro altri operai». <ref>Cfr. sul n. 256, del 5 giugno 1909, la rubrica ''Domande e Risposte''.</ref>


La concezione «bertoniana» del [[sindacalismo]] è meglio chiarita, tuttavia, in una serie di scritti polemici contro la posizione riformista del gruppo francese della ''Vie ouvrière'' (Monatte-Rosmer) e la troviamo riassunta nel testo di una conferenza tenuta da [[Luigi Bertoni|Bertoni]] a Parigi il [[28 gennaio]] [[1914]] (poi pubblicata, col titolo ''Notre syndicalisme'', nella parte francese de ''Le Réveil'', n. 377, del 7 febbraio 1914 e seguenti). I «mezzi e lo scopo del [[sindacalismo]]» vi erano così sintetizzati: <ref>''Notre syndicalisme'', n. 380, del 21 marzo 1914.</ref>
La concezione [[bertoniana]] del [[sindacalismo]] è meglio chiarita, tuttavia, in una serie di scritti polemici contro la posizione riformista del gruppo francese della ''Vie ouvrière'' (Monatte-Rosmer) e la troviamo riassunta nel testo di una conferenza tenuta da [[Luigi Bertoni|Bertoni]] a Parigi il [[28 gennaio]] [[1914]] (poi pubblicata, col titolo ''Notre syndicalisme'', nella parte francese de ''Le Réveil'', n. 377, del 7 febbraio 1914 e seguenti). I «mezzi e lo scopo del [[sindacalismo]]» vi erano così sintetizzati: <ref>''Notre syndicalisme'', n. 380, del 21 marzo 1914.</ref>
* «1. Realizzare la più netta separazione possibile fra sfruttati e sfruttatori, per rendere la lotta più estesa, più intensa e più manifesta [...]».
* «1. Realizzare la più netta separazione possibile fra sfruttati e sfruttatori, per rendere la lotta più estesa, più intensa e più manifesta [...]».
* «2. Opporsi ad ogni intromissione ed alle direttive date dal di fuori, non creando dei poteri centrali e distinguendo nettamente il [[sindacato]] da ogni partito politico. Ogni controparola o segnale d'azione deve provenire dalla stessa assemblea e non deve presentarsi come l'imposizione di una qualsivoglia autorità».
* «2. Opporsi ad ogni intromissione ed alle direttive date dal di fuori, non creando dei poteri centrali e distinguendo nettamente il [[sindacato]] da ogni partito politico. Ogni controparola o segnale d'azione deve provenire dalla stessa assemblea e non deve presentarsi come l'imposizione di una qualsivoglia autorità».

Versione delle 13:16, 10 nov 2020

La testata de Le Révéil Anarchiste.

Il Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste è stato un periodico anarchico bilingue (italiano e francese). Diretto da Luigi Bertoni, è stato l'organo di riferimento dell'movimento anarchico svizzero.

Storia

Il Risveglio Socialista Anarchico / Le Réveil Socialiste Anarchiste fu fondato il 7 luglio del 1900 a Ginevra ed era inizialmente redatto da esuli italiani, poi dagli immigrati in Svizzera; la rivista si rivolgeva alla numerosa comunità di immigrati italiani, col proposito «di compiere un doppio lavoro: partecipare in maniera costante all'organizzazione economica, all'educazione sociale e alla propaganda fra gli operai italiani emigrati nei paesi d'Europa; contribuire alla propaganda socialista anarchica in Italia a mezzo di libri ed opuscoli e commentando, senza le reticenze imposte dal fisco, la situazione attuale del regno». [1]

Contemporaneamente nacque anche Le Réveil Socialiste Anarchiste, che si avvaleva della collaborazione di alcuni anziani di anarchici romandi. Il redattore responsabile dei due periodici, organi ufficiali del movimento anarchico in Svizzera, era Luigi Bertoni, nei primi anni con la collaborazione regolare degli emigrati italiani Lavinio Barchiesi, Mario Bassadonna, Vivaldo Lacchini, Nino Samaja, Antonio Cavallazzi, Pietro Tempia e Felice Mezzani (dalla Francia) e degli svizzeri Jacques Gross, Jean Wintsch, Eugène Steiger e soprattutto Georges Herzig.

Nel 1910 il periodico, quindicinale bilingue (settimanale dall'8 luglio 1905 al 22 agosto 1908), si trasformò in due quindicinali distinti, con tiratura totale di 4.000 copie.

Nel corso degli anni la testata subì alcuni mutamenti: dal 1° maggio 1913 assunse il titolo di Il Risveglio Comunista Anarchico / Le Révéil Comuniste Anarchiste. Il 1° maggio 1926, per eliminare qualsiasi ambiguità rispetto al termine "comunista", assunse la testata Il Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste. In questa fase Carlo Frigerio e Carlo Vanza furono alcuni dei principali collaboratori.

Non contrario all'organizzazione anarchica, Il Risveglio fu attivamente a fianco delle lotte del movimento operaio svizzero, pur entrando in polemica con sia con l'anarcosindacalismo sia con i socialisti dell'Avvenire del lavoratore, diretto da Giacinto Menotti Serrati. Allo scoppio della prima guerra mondiale si schierò contro gli interventisti anarchici del Manifesto dei Sedici e vicino agli antimilitaristi europei ed in seguito contro la deriva autoritaria bolscevica in Russia e la possibilità di costituire un fronte unico rivoluzionario contro il fascismo e il nazismo.

Fine delle attività e tentativi di ristampa

Il 24 agosto 1940 comparve l'ultimo ultimo numero della rivista a causa della repressione istituzionale, ma altri numeri uscirono clandestinamente in formato opuscolo fino al 1946 con la dicitura Quelque part en Suisse. Dal 1947 al 1950 furono Carlo Frigerio e Alfred Amiguet a provare a rilanciare la rivista, ma per problemi vari dovettero interrompere le pubblicazioni.

In seguito, a partire dal 1957, l'anarchico ed obiettore di coscienza italiano Pietro Ferrua, insieme a Caludio Cantini e allo stesso Frigerio, provò a ridare alle stampe la rivista, ma fu possibile portare avanti la pubblicazione, tra mille difficoltà, solo per tre anni. A questo punto la rivista cessò definitivamente la sua attività.

Pensiero [2]

L'organo ginevrino seppe mantenere, per tutta la durata delle pubblicazioni, una impostazione di estrema coerenza con la propria linea programmatica, che si richiamava alla vecchia tradizione internazionalista dei giurassiani, di cui si considerava, d'altronde, l'erede ed il diretto continuatore:

«Quando abbiamo fondato Il Risveglio - ebbe modo di puntualizzare la redazione, rispondendo alla domanda di un lettore - fu con l'intenzione ben precisa di risvegliare il vecchio movimento anarchico, come era già stato compreso da Bakounine, Schwitzguebel e Guillaume prima, da Reclus, Kropotkine ed altri ancora dopo di loro». [3]

Di tale condotta, mantenuta nonostante il «deviazionismo» di alcuni fra i più prestigiosi collaboratori del giornale (basti pensare alla posizione interventista di Kropotkin, durante la Prima guerra mondiale), Bertoni potè a buon diritto vantarsi molti anni più tardi, quando, rispondendo a un attacco polemico, mossogli dalle colonne de L'Adunata dei Refrattari, scrisse:

«Ahimè! Abbiamo dovuto rompere coi Guillaume, coi Kropotkine, con altri, a cui ci legavano da anni stima ed affetto, e lo abbiamo dolorosamente, ma recisamente fatto. Quando Guillaume volle farci ammettere per anarchismo il sindacalismo della famosa C.G.T. francese, rispondemmo no; quando Chaugui ed altri dei Temps Nouveaux ci vollero far ingoiare la candidatura antiparlamentare De Ambris dicemmo loro di tenersela per proprio conto; quando il ciarlatano Hervé, popolarissimo fra i compagni francesi, ci capitò a Ginevra, gli dicemmo sul muso pubblicamente la verità... E l'enumerazione potrebbe continuare». [4]

Il problema organizzativo

Erede, come detto, di una vecchia tradizione di stampo internazionalista e bakuniniano, Il Risveglio vi si attenne anche per quanto concernevano gli schemi organizzativi (non a caso, ripubblicherà in opuscolo, nel 1914, lo scritto di Bakunin su L'Organisation de l'Internationale), senza lasciarsi minimamente influenzare da quel clima di infatuazione nietzschiana e neostirneriana che caratterizzò l'anarchismo italiano durante l'epoca giolittiana:

«Lo scopo dell'organizzazione è anzitutto di creare un ambiente nostro per una propaganda ed un'azione nostra. Gli antiorganizzatori quel che fanno lo debbono organizzare a un dipresso come noi, e più un'organizzazione è individuale, più evidentemente è autoritaria, non lasciando ai cooperatori indispensabili che di fornire denaro e attività in una evidente posizione di dipendenza, volontaria fin che si vuole, ma che non sopprime perciò la realtà stessa della dipendenza. Come è pura metafisica considerare l'individuo a sé e in sé [...] così va considerato l'uomo come membro di una data società e in tutti i suoi rapporti con essa. L'isolato si troverà a non contare più nulla o a subire suo malgrado dei successivi assorbimenti d'altri ambienti in mancanza d'un proprio. Più gli anarchici sono capaci di cooperazione e di solidarietà fra loro e più potranno salvaguardare la loro individualità e caratteristica d'anarchici, senza contare che l'unione - unione attiva, intendiamoci bene - fa la forza non solo materialmente, ma ancor più moralmente». [5]

In altra occasione, alla tesi sostenuta dagli individualisti, che associazione è sinonimo di autoritarismo, il giornale ebbe modo di ribattere che, al contrario:

«[...] si può esercitarne uno grandissimo all'infuori d'ogni aggruppamento [...] Diremo di più. In mancanza d'organizazzione, l'autoritarismo è inevitabile. Il compagno più capace o intraprendente mette gli altri in presenza d'una sua iniziativa già presa, e non hanno tempo né modo di discuterla. Non resta loro che appoggiarla incondizionatamente [...] Sono appunto gli autoritari che negano la possibilità d'un'unione senza capi, e certi compagni nostri vengono indirettamente a dar loro ragione col terrore che dimostrano per ogni qualsiasi intesa un po' allargata». [6]

In sintesi, gli schemi organizzativi sostenuti da Il Risveglio, possono essere considerati, a partire dagli anni '20, sostanzialmente conformi a quelli formulati dal'Unione Anarchica Italiana, anche se a tale organismo il foglio ginevrino non fece mai atto di formale adesione, onde evitare dissensi e possibili spaccature all'interno del movimento italo-elvetico. Tale, almeno, la giustificazione più tardi addotta dallo stesso Bertoni, quando, costretto a una nuova presa di posizione sulla spinosa questione, ebbe modo di precisare che:

«Se io avessi proposto ai compagni della Svizzera un'adesione in blocco all'Unione Anarchica Italiana, avrei sollevato opposizioni, attriti, divisioni; risposi dunque che senza adesione formale, l'U.A.I. ci tenesse al corrente di tutta l'azione sua, che noi l'avremmo volta per volta appoggiata, facendo, se del caso, controproposte o proposte originali nostre. Il risultato era identico, trattandosi di aggruppamenti lontani e non aventi sede in una città o borgata italiana, dove già esistesse una sezione dell'UAI». [7]

Sindacalismo

Per quanto favorevole ad un'attiva partecipazione anarchica alle lotte ed alle rivendicazioni operaie, il periodico non si lasciò mai invischiare nell'ingranaggio sindacale, di cui intravvide, fin dall'inizio, i pericolosi limiti riformisti. Fin dai primi numeri, i redattori avevano infatti chiarito che:

«Noi non siamo dei riformisti, ma siamo dei rivoluzionari. Tariffe locali e regionali, cassa di disoccupazione, di resistenza, di viatico, minimo di salario, diminuzione d'orario, ecc., non hanno per noi che un'importanza relativa e sono d'altronde questioni difficili a trattare in linea generale, perché la loro soluzione dipende da un cumulo di circostanze particolari che variano assai secondo i paesi e secondo le professioni. Col dire ai compagni: Sindacatevi! non intendiamo certo consigliar loro di accettare il salariato. Vogliamo solo col migliorare le condizioni nella misura del possibile, poter quindi disporre di maggiori forze per abbatterlo». [8]

Tali vedute non significavano, tuttavia, la rinuncia a un intervento nelle lotte e nell'azione organizzata dalla classe lavoratrice, tanto che alcuni anni più tardi, rispondendo a un lettore che chiedeva se «un anarchico non dovrebbe agire individualmente senza ricorrere ad un sindacato, il cui statuto e le cui decisioni rappresentano una nuova legge», il foglio ginevrino, meglio chiarendo la propria posizione, affermava che:

«Con o senza l'adesione degli anarchici, il sindacato si forma ed intraprende un dato movimento. Possiamo disinteressarcene? No. Per influire sulla sua linea di condotta, saremo noi meglio in grado di farlo dentro o fuori del sindacato? La risposta non può essere dubbia. Membri del sindacato potremo controllarne e seguirne l'opera giorno per giorno, darle una certa direzione, fare intendere la nostra voce d'incoraggiamento o di protesta secondo i casi. Non appartenendovi, ci troveremo il più delle volte in faccia di decisioni già prese, che sarà ben difficile modificare. Quei benedetti statuti che paiono spaventare assai molti compagni, in realtà non contano gran cosa e, col sottrarsi ad essi, non ci si sottrae poi a certi contratti di lavoro, che siamo costretti di subire, a meno d'intenderci col padrone contro altri operai». [9]

La concezione bertoniana del sindacalismo è meglio chiarita, tuttavia, in una serie di scritti polemici contro la posizione riformista del gruppo francese della Vie ouvrière (Monatte-Rosmer) e la troviamo riassunta nel testo di una conferenza tenuta da Bertoni a Parigi il 28 gennaio 1914 (poi pubblicata, col titolo Notre syndicalisme, nella parte francese de Le Réveil, n. 377, del 7 febbraio 1914 e seguenti). I «mezzi e lo scopo del sindacalismo» vi erano così sintetizzati: [10]

  • «1. Realizzare la più netta separazione possibile fra sfruttati e sfruttatori, per rendere la lotta più estesa, più intensa e più manifesta [...]».
  • «2. Opporsi ad ogni intromissione ed alle direttive date dal di fuori, non creando dei poteri centrali e distinguendo nettamente il sindacato da ogni partito politico. Ogni controparola o segnale d'azione deve provenire dalla stessa assemblea e non deve presentarsi come l'imposizione di una qualsivoglia autorità».
  • «3. Il principio dell'azione diretta deve essere applicato sempre ed ovunque dagli stessi interessati e devono essere evitate il più possibile le rappresentanze e le deleghe di potere [...]».
  • «4. Costituzione di un organismo, assolutamente indipendente dall'organismo statale e da tutte le istituzioni borghesi, che si opponga ad ogni intervento legale, rifiutando ogni sovvenzione ufficiale e combatta, soprattutto, la tendenza ad affidare delle nuove funzioni allo Stato. Questo perchè l'organizzazione operaia si realizza a misura che l'organizzazione statale perde d'importanza e diviene inutile mano a mano che il lavoro prende il posto del potere, dell'officina e del governo [...]».
  • «5. Fondare una morale nuova, basata sul lavoro, la funzione più importante della vita, e sviluppare il senso di responsabilità di fronte al mestiere che esercitiamo, delle faccende che compiamo tutti i giorni. Denunciare anche il lavoro antisociale, quello cioè che nuoce ai nostri simili e che ci viene imposto al fine di mantenere l'attuale stato di miseria, di oppressione e di sfruttamento».
  • «6. Formulare un diritto nuovo, per sviluppare nei lavoratori la coscienza sempre più netta della loro inferiorità e pertanto d'indegnità, contro la quale essi sono chiamati a rivoltarsi per ottenere con l'uguaglianza di fatto, il benessere e la libertà. Non si tratta, ben inteso, di un diritto scritto, ma della rivendicazione pratica per tutti dei beni e dei godimenti riservati oggi a pochi privilegiati».

Note

  1. Dopo un anno, a. II, n. 15, del 20 luglio 1901.
  2. Fonte principale: Leonardo Bettini, Bibliografia dell'anarchismo
  3. Cfr. nel n. 243, del 28 novembre 1908, la rubrica Domande e Risposte.
  4. Una cattiva azione, suppl. al n. 748, del 7 luglio 1928.
  5. Alcune spiegazioni, suppl. al n. 716, del 16 aprile 1927 (in polemica con un gruppo antiorganizzatore del nordamerica.
  6. Cfr. In tema d'organizzazione (risposta della redazione a un intervento di «Prometeo»), n. 599, del 14 ottobre 1922. Cfr. altresì Vecchio tema, n. 608, del 10 febbraio 1923; Per uno schiarimento, n. 610, del 10 marzo 1923; Vecchio tema, n. 653, dell'8 novembre 1923. Una chiara sintesi della concezione bertoniana dell'organizzazione (compresa «l'organizzazione sindacale - sulla quale sono più che mai divisi gli organizzatori stessi - e l'organizzazione, chiamiamola così, politica»), si ritrova, comunque, nel lungo scritto Anarchia e Associazione, pubblicato a puntate sul suppl. ai n. 753, 754 e 755, rispettivamente del 22 settembre, 6 e 20 ottobre 1928, nel quale vengono altresì denunciate, come antianarchiche, le formule e gli eccessi organizzativi degli «arscinovisti»: «I compagni russi che hanno fatto la dolorosa esperienza di una rivoluzione, hanno sentito talmente la mancanza di un'organizzazione [...] dal volerne una anche in contraddizione coi principi anarchici». Per le posizioni di Bertoni nei confronti dell'individualismo anarchico, si veda, infine, l'articolo Metafisca dell'Individualismo, pubblicato in «Pensiero e Volontà» (Roma), a. II, n. 1 (1 gennaio 1925), pp. 6-7.
  7. Dibattito vano, n. 885, del 4 novembre 1933.
  8. Gli anarchici e i sindacati, a. I, n. 7, del 29 settembre 1900.
  9. Cfr. sul n. 256, del 5 giugno 1909, la rubrica Domande e Risposte.
  10. Notre syndicalisme, n. 380, del 21 marzo 1914.

Bibliografia

  • Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italiani - Volume 1, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2004.
  • Gianpiero Bottinelli, Luigi Bertoni, la coerenza di un anarchico, La Baronata, Lugano, 1997.
  • Jean-Louis Amar, Le Réveil anarchiste, organe d'un mouvement libertaire genevois, 1900-1980 (in francese), Mémoire de licence histoire, Univ. Genève, 1981.
  • Furio Biagini, Il Risveglio (1900-1922): storia di un giornale anarchico dall'attentato di Bresci all'avvento del fascismo, Piero Lacaita Editore, 1991.

Collegamenti esterni