Ernesto Bonomini

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Ernesto Bonomini (Pozzolengo, 18 marzo 1903 – Miami, 6 luglio 1986) è stato un anarchico italiano autore dell'omicidio di Nicola Bonservizi (1890-1924), corrispondente a Parigi de Il Popolo d'Italia e direttore della rivista di propaganda fascista Italie Nouvelle.

Biografia

Nasce a Pozzolengo (BS) il 18 marzo 1903 da Teresina e Giuseppe Dolci, mugnaio. È ancora molto giovane quando comincia a frequentare i socialisti, dimostrandosi antimilitarista fervente. Sorpreso ripetutamente a cantare inni sovversivi e perquisito, emigra in Francia per evitare rappresaglie alla sua famiglia (“fatta responsabile delle sue azioni”). A Parigi diventa anarchico e il 20 febbraio 1924 spara, nel sontuoso ristorante "Savoia", al giornalista Nicola Bonservizi, vecchio collaboratore di Mussolini e capo dei fasci italiani in Francia, che morirà dopo alcune settimane di agonia. Semilinciato al momento dell'arresto, Bonomini dichiara il 20 ottobre 1924 di aver voluto vendicare, con il suo atto, «tutte le vittime del fascismo» e dice di non nutrire alcuna simpatia per il comunismo perché i suoi «compagni anarchici russi sono perseguitati dalla dittatura di Mosca nella stessa guisa che quelli italiani sono perseguitati dalla dittatura fascista». Malgrado le testimonianze a suo favore di Pioch e Blum e l'abile difesa dell'avvocato Torrès, viene condannato a otto anni di lavori forzati e a 10 di divieto di soggiorno, scampando alla pena capitale perché è ancora forte in Francia l'“indignazione sollevata dal barbarico eccidio di Matteotti” da parte della “Ceka fascista”. Detenuto a Riom (Auvergne), viene schedato il 31 gennaio 1929 dalla Prefettura di Brescia quale “socialista antimilitarista pericoloso” e descritto come persona dal “carattere spavaldo e prepotente”. Rilasciato il 20 febbraio 1932, esprime, in marzo, su «Lotta anarchica» di Parigi, il suo dispiacere perché i compagni sono divisi da «polemiche, rancori ed antipatie personali che come orrido cancro rodono il nostro movimento a beneficio del comune nemico» e lancia un appello al «fronte unico libertario». Arrestato nei giorni seguenti ed espulso dalla Francia, vive in Belgio per qualche mese. Tornato in Francia, lavora alla Librairie moderne di Lille, insieme al compagno d'ideali Umberto Marzocchi, fino all'aprile 1933, quando è arrestato per “rottura del bando” e condannato, il 5 maggio, a un mese di carcere, insieme allo stesso Marzocchi. Dopo aver scontato la pena, si stabilisce a Parigi, legandosi sentimentalmente a Louisette Bled (o Lucette Blel o Biel) e in agosto dichiara che a un nuovo arresto replicherà con un clamoroso sciopero della fame. Nel gennaio 1934 incontra l'anarchico Emidio Recchioni e il 20 aprile viene arrestato e fatto salire su un treno diretto in Belgio, dal quale riesce a scendere, rifugiandosi a Lille. In seguito fa il decoratore a Sartrouville, alle dipendenze del massimalista Amedeo Delai, e sottoscrive delle piccole somme per «Le Libertaire» di Parigi. Membro della FAPI e del Comitato anarchico per le vittime politiche d'Italia, interviene ai funerali di Recchioni e alle riunioni sovversive, che hanno luogo nella capitale francese, insieme a Pietro Pirola, Angiolino Bruschi, Carlo Rosselli, Camillo Berneri, Quisnello Nozzoli, Piero Corradi e Oreste Mombello. Nell'autunno 1935 partecipa al Congresso di Parigi degli anarchici italiani, poi si impegna nella dura battaglia contro la politica di espulsioni del governo francese e, in dicembre, è sospettato di voler rimpatriare per compiere un atto terroristico. Alla fine di luglio 1936 parte per Barcellona e in agosto è segnalato, insieme a Renato Castagnoli, Celso Persici, Bruno Bonturi, Francesco Barbieri e Ludovico Rossi, al valico di Port-Bou, dove, in veste di “commissario di frontiera”, controlla gli ingressi e le uscite dalla Spagna. Il 16 ottobre rende un commosso, fraterno omaggio, su «Le Libertaire» di Parigi, all'anarchico francese Louis-Emile Cottin, autore di un attentato a Clemenceau, caduto a Farlete (Huesca) otto giorni prima. Raggiunto dalla sua compagna a Barcellona il 4 novembre, Bonomini è oggetto, due settimane dopo, di un telegramma, con il quale la polizia fascista informa i prefetti italiani che Bonomini lavora in Spagna per la FAIB e li invita a vigilare su un suo possibile rientro. Il 14 aprile 1937 Bonomini mette in guardia i correligionari dall'offensiva antianarchica, avviata dai comunisti in Spagna con “l'intenzione di rieditare il tradimento di Kronstadt e dell'Ucraina libertaria”, e denuncia gli arresti dei compagni Tommasini, Cimadori, Bibbi e Fontana e le uccisioni di molti anarchici spagnoli. Al principio di maggio 1937 Bonomini sfugge casualmente alla liquidazione fisica da parte dei comunisti, che assassinano Camillo Berneri e Francesco Barbieri, suoi compagni di idee e di casa. Dato più volte per ferito e fucilato, Bonomini scrive il 16 agosto 1937 su «Guerra di classe» di Barcellona di essere rimasto in Spagna, malgrado il pericolo di essere trucidato dagli stalinisti, perché non intende abbandonare la rivoluzione spagnola «al suo tragico destino» e vuole «affrontare e sfidare il nemico sul terreno da lui scelto per distruggerci»: «la forza degli anarchici spagnoli» – aggiunge – «rimane intatta e le adesioni al movimento libertario vanno crescendo». Il 28 agosto Bonomini osserva in un altro articolo che nel luglio 1936 gli anarchici hanno confuso, «disgraziatamente», la rivoluzione totalitaria con la dittatura anarchica, temendo di violare i «sacrosanti principi dirigendo con una mano di ferro la rivolta popolare». Nel novembre 1937 Bonomini torna sulla situazione spagnola, menziona i rivoluzionari francesi, inglesi, tedeschi, americani, russi e bulgari, giunti in Spagna dopo le giornate del luglio 1936 e arrestati dopo i fatti del maggio 1937, e difende dalle calunnie l'anarchico Joaquín Ascaso, ex presidente del disciolto Consiglio di difesa dell'Aragona. Qualche mese dopo lascia Barcellona e l'8 aprile 1938 è a Parigi, dove usa il falso nome di Antonio Falcelli (o Fancelli) e interviene alle riunioni degli anarchici e dei massimalisti. Imprigionato il 1° giugno 1938 per aver violato il decreto di espulsione, Bonomini viene condannato, il 26 luglio, a un anno di carcere per uso di falsi documenti e il 3 marzo 1939 viene rinchiuso nel “campo di lavoro vigilato” di Rieucros (Lozère), dove impera la “più dura disciplina”. Evaso a fine aprile, insieme all'anarchico Giuseppe Picone Chiodo, già volontario in Spagna, Bonomini arriva il 13 maggio 1939 a Bruxelles, dove dice ai correligionari che intende chiudere in Italia la sua esistenza con un gesto clamoroso. Nella capitale belga frequenta Mario Mantovani, Giuseppe Bifolchi e Vittorio Cantarelli, che lo aiutano a procurarsi un “passaporto autentico” dal Consolato cubano di Bruxelles e un visto dalla compagnia Canadian Pacific per imbarcarsi su una nave, che lo porterà da Liverpool in Canada. Giunto a destinazione, prosegue per New York, dove trova ospitalità presso i compagni de «L'Adunata dei Refrattari» e denuncia nel febbraio 1940 il totale allineamento di Mussolini alle posizioni di Hitler. Per evitare l'arresto cambia spesso alloggio e in dicembre abita presso Osvaldo Maraviglia, l'amministratore de «L'Adunata dei Refrattari». Dopo la fine del conflitto, resta in America e nell'ottobre 1946 replica a Giuseppe Mariani, unico sopravvissuto degli attentatori del teatro Diana, riaffermando la sua fiducia nell'utilità dei gesti di “rivolta individuale”, che Mariani ha ripudiato dopo la scarcerazione. Nel 1971 abita ancora negli USA, dove frequenta saltuariamente l'anarchico Frank Aldi di Porto Santo Stefano, da mezzo secolo emigrato in America, e altri compagni di fede. Muore a Miami il 6 luglio 1986.