Utopia (concetto): differenze tra le versioni

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[[File:Bolobolo1.jpg|miniatura|500px|Villaggio utopico detto «bolo», raccontato nel romanzo ''[[bolo'bolo]]'' di [[Hans Widmer.]]]]
[[File:Bolobolo1.jpg|miniatura|500px|Villaggio utopico detto «bolo», raccontato nel romanzo ''[[bolo'bolo]]'' di [[Hans Widmer.]]]]
[[File:Utopia.jpg|miniatura|350px|left|Rappresentazione dell'isola di Utopia di [[Tommaso Moro]].]]
Il termine utopia è entrato nell'uso comune grazie all'omonima opera di [[Tommaso Moro]] del [[1516]]. Esso deriva dal greco οὐ ("non") e τόπος ("luogo") e significa "non-luogo". Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l'omofono inglese eutopia, derivato dal greco εὖ ("buono" o "bene") e τόπος ("luogo"), che significa quindi "buon luogo". Questo, dovuto all'identica pronuncia, in inglese, di "utopia" e "eutopia", dà quindi origine ad un doppio significato:
Il termine utopia è entrato nell'uso comune grazie all'omonima opera di [[Tommaso Moro]] del [[1516]]. Esso deriva dal greco οὐ ("non") e τόπος ("luogo") e significa "non-luogo". Nella parola, coniata da Tommaso Moro, è presente in origine un gioco di parole con l'omofono inglese eutopia, derivato dal greco εὖ ("buono" o "bene") e τόπος ("luogo"), che significa quindi "buon luogo". Questo, dovuto all'identica pronuncia, in inglese, di "utopia" e "eutopia", dà quindi origine ad un doppio significato:
*utopia (nessun luogo),
*utopia (nessun luogo),
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== L'utopia di Moro ==
== L'utopia di Moro ==
[[File:Utopia.jpg|miniatura|250px|leftRappresentazione dell'isola di Utopia.]]
[[File:Tommaso Moro.jpg|miniatura|150px|[[Tommaso Moro]]]]
In ''[[Utopia (romanzo)|Utopia]]'' (''Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia'' è il titolo completo), [[Tommaso Moro]] vagheggia l'abolizione della [[La proprietà |proprietà privata]], la libertà di culto e una vita ideale per i cittadini, in cui essi hanno molto tempo da dedicare ai propri piaceri. Non è ben chiaro se Moro intenda l'utopia come «regno perfetto della felicità» o «luogo inesistente» oppure entrambi. Quel che è certo è che in Utopia, [[Stato]] «non soltanto ottimo, ma l'unico che possa a buon diritto attribuirsi il nome di repubblica» permane la presenza di schiavi («prigionieri di guerra» mossa da altri, «quelli la cui scelleraggine finisce in schiavitù», «quelli la cui colpa [...] commessa in città straniere destina all'estremo supplizio», quelli che «se ne vengono da loro a servire di propria iniziativa») e di leggi liberticide, come quella in base alla quale se un uomo o una donna, prima del matrimonio, «vengono convinti di segreta lussuria, sono gravemente puniti e si vieta loro il matrimonio per sempre, a meno che la grazia del principe non perdoni loro il fallo; ma il padre di famiglia e la madre, nella cui casa è stato commesso lo sconcio, sono esposti a gran disonore». E ancora: «Chi profana il matrimonio è colpito dalla più dura schiavitù [...] se l'uno o l'altro, che ha ricevuto il torto, persiste ad amare il proprio coniuge, pur così indegno, non gli vieta la legge di restar unito con lui, purché voglia seguirlo nella condanna all'ergastolo [...] a chi è recidivo per tale delitto è inflitta la morte». Per gli altri delitti: «Le mogli le puniscono i mariti, i figli, i padri, a meno che, nell'interesse della vita morale, debbano esser puniti dallo [[Stato]]. [...] se [i rei] si ribellano [al] trattamento o recalcitrano, allora alfine li scannano come bestie selvagge, cui non può frenare né carcere né catena». <ref>Da ''Utopia'', capitolo ''Sugli schiavi''</ref>
In ''[[Utopia (romanzo)|Utopia]]'' (''Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia'' è il titolo completo), [[Tommaso Moro]] vagheggia l'abolizione della [[La proprietà |proprietà privata]], la libertà di culto e una vita ideale per i cittadini, in cui essi hanno molto tempo da dedicare ai propri piaceri. Non è ben chiaro se Moro intenda l'utopia come «regno perfetto della felicità» o «luogo inesistente» oppure entrambi. Quel che è certo è che in Utopia, [[Stato]] «non soltanto ottimo, ma l'unico che possa a buon diritto attribuirsi il nome di repubblica» permane la presenza di schiavi («prigionieri di guerra» mossa da altri, «quelli la cui scelleraggine finisce in schiavitù», «quelli la cui colpa [...] commessa in città straniere destina all'estremo supplizio», quelli che «se ne vengono da loro a servire di propria iniziativa») e di leggi liberticide, come quella in base alla quale se un uomo o una donna, prima del matrimonio, «vengono convinti di segreta lussuria, sono gravemente puniti e si vieta loro il matrimonio per sempre, a meno che la grazia del principe non perdoni loro il fallo; ma il padre di famiglia e la madre, nella cui casa è stato commesso lo sconcio, sono esposti a gran disonore». E ancora: «Chi profana il matrimonio è colpito dalla più dura schiavitù [...] se l'uno o l'altro, che ha ricevuto il torto, persiste ad amare il proprio coniuge, pur così indegno, non gli vieta la legge di restar unito con lui, purché voglia seguirlo nella condanna all'ergastolo [...] a chi è recidivo per tale delitto è inflitta la morte». Per gli altri delitti: «Le mogli le puniscono i mariti, i figli, i padri, a meno che, nell'interesse della vita morale, debbano esser puniti dallo [[Stato]]. [...] se [i rei] si ribellano [al] trattamento o recalcitrano, allora alfine li scannano come bestie selvagge, cui non può frenare né carcere né catena». <ref>Da ''Utopia'', capitolo ''Sugli schiavi''</ref>


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[[File:Charles Fourier.gif|thumb|150px|[[Charles Fourier]]]]
[[File:Charles Fourier.gif|thumb|150px|[[Charles Fourier]]]]
Alcune opere successive a quella di Moro auspicavano una sorta di [[comunismo]] idealistico. Tra questi: ''[[Viaggio in Icaria]]'' ([[1840]]) di [[Étienne Cabet]], ''[[La Razza Futura]]'' ([[1871]]) di [[Edward Bulwer-Lytton]] e ''[[Notizie da Nowhere]]'' ([[1890]]) di [[William Morris]].
Alcune opere successive a quella di Moro auspicavano una sorta di [[comunismo]] idealistico. Tra questi: ''[[Viaggio in Icaria]]'' ([[1840]]) di [[Étienne Cabet]], ''[[La Razza Futura]]'' ([[1871]]) di [[Edward Bulwer-Lytton]] e ''[[Notizie da Nowhere]]'' ([[1890]]) di [[William Morris]].
Col passare del tempo la parola utopia assume il significato di "chimera", "impossibile", "irrealizzabile", ecc. Al contempo l'utopia diviene anche una critica della realtà, assumendo le caratteristiche di un'idea tesa al raggiungimento della felicità dei popoli. Questa idealizzazione ha portato allo sviluppo di una sorta di socialismo idealistico, che [[Karl Marx|Marx]] definisce [[socialismo utopistico]], considerato precursore del [[comunismo]] e dell'[[anarchismo]], e di cui si possono ricordare le opere di [[Robert Owen]], [[Saint-Simon]], [[Fourier]] e altri minori.
Col passare del tempo la parola utopia assume il significato di "chimera", "impossibile", "irrealizzabile"ecc. Al contempo l'utopia diviene anche una critica della realtà, assumendo le caratteristiche di un'idea tesa al raggiungimento della felicità dei popoli. Questa idealizzazione ha portato allo sviluppo di una sorta di socialismo idealistico, che [[Karl Marx|Marx]] definisce [[socialismo utopistico]], considerato precursore del [[comunismo]] e dell'[[anarchismo]], e di cui si possono ricordare le opere di [[Robert Owen]], [[Saint-Simon]], [[Fourier]] e altri minori.


== Ideologia e utopia ==
== Ideologia e utopia ==
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Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'[[anarchismo]] <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'[[anarchismo]] depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'[[anarchismo]] un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.
Tale rappresentazione in chiave miracolistica dell'[[anarchismo]] <ref>In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto ('''ευ τοπος'''), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo ('''ου τοπος'''), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell''''ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva'''. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.</ref> va pertanto, per un verso, demistificata, per altro, nettamente rigettata, al fine non soltanto di favorire l'emergere di una immagine dell'[[anarchismo]] depurata da tali fantasie, ma anche, e soprattutto, di riconoscere nell'[[anarchismo]] un genuino (in quanto dialettico) '''approccio critico alla realtà sociale'''.


È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare, ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.
È stato sottolineato che lo stesso «[[Malatesta]] sintetizza la forma mentis dell'argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all'essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998, p. 437</ref> Pare, invece, che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – sia pur parzialmente – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell'esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare a "mondi" nella società anarchica. In questo senso, '''su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo'''. <ref>[[Malatesta]], il [[1° giugno]] [[1926]], sulle pagine di ''[[Pensiero e Volontà]]'', rileva: «appare l'idea, purtroppo assai sparsa in mezzo ai nostri compagni, che compito degli anarchici sia semplicemente quello di demolire, lasciando ai posteri l'opera di ricostruzione. Ed è idea nefasta. La vita sociale, come la vita individuale, non ammette interruzioni». Sulla stessa rivista, il [[16 giugno]] dello stesso anno, dichiara: «distruggiamo i monopoli, d'accordo, ma i monopoli, quando non sieno quelli dei bottoncini da camicia o del rossetto per le labbra di certe signorine, i grossi monopoli (acqua, elettricità, carbone, trasporti di terra e di mare ecc.) rispondono sempre ad un servizio pubblico necessario; e non si distruggono quei monopoli, o se ne produce il sollecito ritorno, se nell'atto stesso che si mandan via i monopolisti non si continua il servizio e, possibilmente, in modo migliore di quello che avveniva sotto di loro».</ref> Per certi versi, si possono, quindi, intravedere fra le righe malatestiane intenti dialettici rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.


Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
Pertanto, nonostante il pensiero comune, l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (“potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]); infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo|essere anarchico]].
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