Patriarcato

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Marija Gimbutas (settembre 1989), studiosa delle società matrilineari

In antropologia, il patriarcato è definito come un sistema sociale nel quale il potere, l'autorità e i beni materiali sono concentrati nelle mani dell'uomo più anziano dei vari gruppi di discendenza e la loro trasmissione avviene per via maschile, generalmente a vantaggio del primogenito maschio (organizzazione patrilineare).

Origine del patriarcato

È praticamente certo che ci sia stato un tempo in cui la civiltà sia stata non-patriarcale. Ma come avrebbe luogo la transizione dalla cultura non-patriarcale a quella patriarcale? Le ipotesi al vaglio sono tante, tuttavia recenti scoperte storico-acheologiche - tra cui quella di James de Meo, che collocherebbe la nascita e lo sviluppo del patriarcato in primo luogo in Saharasia circa 4000 anni prima della nostra era, in un epoca in cui si verificarono mutamenti climatici che portarono verso condizioni di desertificazione [1] - confuterebbero la teoria maggiormente accettata dalla storiografia ufficiale, cioè che il patriarcato sia direttamente legato alla scoperta dell'agricoltura e alla nascita della proprietà. Nei prossimi paragrafi verranno analizzate alcune di queste teorie.

La teoria femminista

Spesso si sostiene che, poiché gli uomini sono più aggressivi e forti fisicamente delle donne, essi hanno naturalmente vinto la competizione con le donne per una posizione privilegiata entro la cultura. Ma molte femministe sostengono che non vi sia nulla di quello che un uomo può fare che una donna non possa fare a sua volta.

La dottrina femminista nega che le donne siano il "sesso debole", evidenziando come vi siano molte forme di forza diverse da quella fisica e dall'aggressività. Le donne possono impiegare molte forme alternative di forza e di solidarietà in modo più efficace degli uomini.

Si assume quindi, che proprio perché sono gli uomini più delle donne a ricevere dal patriarcato un beneficio culturale, allora sono gli uomini che devono aver ideato e rafforzato il patriarcato stesso.

Ma perché le donne avrebbero dovuto collaborare alla loro stessa oppressione? Veniamo qui ad un punto che suggerisce quel "biasimo della vittima" che è un vecchio espediente degli oppressori per giustificare i loro privilegi.

Sara Morace osserva che, comunque, deve essere stata un transizione dolorosa, coincisa con conflitti tra popolazioni per il possesso di terre e animali. In un'epoca segnata dalla violenza le donne si sono viste strappare il prestigio e la libertà, e hanno scelto spesso di far parte di una società sì patriarcale, ma che garantiva loro l'incolumità personale. Insomma, l'origine del patriarcato potrebbe essere un caso di crisi culturale sfociante nella scelta del male minore. Un'ipotesi al vaglio è la seguente:

«Il ruolo femminile era inizialmente legato alla nutrizione, alla crescita dei figli e alla coltivazione dell'orto, ovvero era un “produttore” di vita. Con l'andare del tempo, quando gli uomini iniziarono ad allevare gli animali per ricavarne cibo, e con l'emergere della figura del contadino-padrone, l'associazione donna/terra assunse un valore ancora più denso di significato: l'uomo diventò proprietario della terra, capo-famiglia e "proprietario" della donna. Successivamente, mediante una deduzione religiosa, la donna come datrice di vita fu associata alla donna come vittima sacrificale. Il maschio acquisì il ruolo di sacerdote o sacro carnefice/eroe e quindi di dominatore».

I miti (e i ritrovamenti) riguardanti le Amazzoni sembrano testimoniare di donne che si sono ribellate alla nuova organizzazione sociale e hanno proseguito una cooperazione ancora matristica, mentre i popoli vicini sostituivano perfino nel cielo le divinità maschili a quelle femminili.

La scoperta dell'agricoltura

Seconda la versione maggiormente accreditata dal "mondo accademico", l'origine del patriarcato risalirebbe ad un certo stadio seguente la nascita e lo sviluppo delle società agricole. Secondo questi, in ogni parte del mondo ove sia sorta l'agricoltura si sarebbe inevitabilmente instaurato un sistema patriarcale. I tre esempi principali sono il Vicino Oriente antico, la Cina antica e il Mesoamerica. In ciascun caso, l'agricoltura sorse senza alcun influsso dall'esterno; in ciascun caso sembra che l'inizio della pratica agricola sia stato seguito da un periodo di culto di una dea della fertilità (con o senza un equivalente maschile) e da una società caratterizzata da una approssimativa eguaglianza tra i sessi: ma questo breve periodo di quasi matriarcato fu seguito dall'emergere di una cultura guerriera dominata dai maschi.

Secondo molti sociologi il passaggio a un'agricoltura su larga scala, con lo sfruttamento degli animali, avrebbe favorito l'accumulo di viveri e il passaggio da un'economia di tipo cooperativo a un'autonomizzazione rispetto al clan.

Dall'assenza di proprietà (i beni venivano prodotti collettivamente e distribuiti nel clan) si sarebbe passati alla prima forma di proprietà privata: i viveri in più, gli animali, e anche i figli. Il padre avrebbe cominciato a rivendicare i figli perché alleati nell'accumulo e nella difesa delle proprietà. Per far tutto questo avrebbe stipulato dei contratti in grado di assicurargli il controllo sul corpo della madre: nascerebbe così la famiglia nucleare e patriarcale.

In realtà la versione maggiormente accreditata, ovvero questa, è quella anche più lacunosa ed è stata abilmente confutata da molti studiosi, tra cui Marija Gimbutas, Riane Eisler e James De Meo.

La cultura nomade pastorale

Carta che rappresenta le ondate migratorie dei nomadi-pastori Kurgan (4000 e il1000 a.c), secondo l'ipotesi kurgan. L'emigrazione verso l'Anatolia (freccia con tratti punteggiati) è avvenuta attraverso il Caucaso o i Balcani. La zona viola corrisponde al supposto Urheimat (cultura di Samara, cultura di Sredny Stog). La zona rossa corrisponde alla zona di ubicazione degli indoeuropei intorno al 2500 a.c. La zona arancione corrisponde alla loro progressione intorno al 1000 a.c.

Più credibile, seppur quasi censurata dalla storiografia ufficiale, è la teoria basata sugli studi di Gimbutas e Riane Eisler, secondo cui la scoperta dell'agricoltura non diede affatto luogo alla nascita della proprietà, e di conseguenza ad un sistema autoritario e gerarchico, bensì a società agricole egualitarie (le società gilaniche), che condividevano il possesso della terra.

Al contrario, il modo di produzione nomade-pastorale, che non era interno alla società neolitica ma anzi del tutto esterno ad essa, era estremamente gerarchizzato e impostato sulla proprietà del bestiame. I capi-pastori diventavano tali in funzione del numero di animali che detenevano, relegando i nullatenenti a posizioni di subordinazione (guardiani delle greggi); la donna stessa, non svolgendo più nessuna funzione economica come nei modi di produzione paleolitico e neolitico, divenne una pura proprietà dei capi-pastore. Questi decidevano se e quando le donne potevano sposarsi (potevano farlo solo con possessori di bestiame), divenendo quindi una sorta di oggetto atta esclusivamente alla procreazione.

E sarebbe proprio la cultura nomade-pastorale, in particolare quella dei nomadi Kurgan e degli indoeuropei, ad aver distrutto la cultura neolitica europea e ad aver introdotto, sempre nel continente europeo, un sistema patriarcale ed autoritario. [2]


La famiglia patriarcale

«È provato che il matrismo costituisce la forma più antica, più primitiva e più innata di comportamento umano e dell'organizzazione sociale, mentre il patrismo, perpetuato attraverso istituzioni sociali traumatizzanti, si è innanzi tutto sviluppato tra gli Homo Sapiens in Saharasia, sotto la pressione di una desertificazione e di una carestia durissime e da migrazioni forzate.» (James de Meo, Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia)
Riane Eisler, autrice Il calice e la spada

Al vertice della famiglia patriarcale c'era il padre, al quale competevano i massimi diritti e i massimi doveri, nei confronti degli altri membri familiari. La sua autorità gli permetteva di avere potere di vita e di morte sui figli, combinava le loro nozze e si sentiva in diritto di dominare gli animali, i territori e le piante che considerava di sua proprietà . Le figlie dei possidenti erano concesse in matrimonio ai soli uomini dello stesso rango sociale; gli uomini poveri potevano sposarsi solo con le prostitute o con donne molto povere. In questo modo si acuiva il distacco tra famiglie ricche e povere, tra dominatori e dominati, ponendo le basi della distinzione di classe (classismo). La donna è ridotta ad una sorta di fattrice, contrariamente alla civiltà paleolitica e alle società gilaniche descritte da Riane Eisler, dove la donna occupava un ruolo di assoluta parità a quello dell'uomo.

La famiglia patriarcale, comunque, non assomigliava per niente alla famiglia moderna, ma era un organismo più esteso; essa comprendeva anche numerosi parenti di sangue o acquisiti, e persino “schiavi” domestici che in cambio di protezione, o per vera e propria costrizione, forniva le “proprie braccia” al padrone.

In ogni villaggio si distinsero famiglie più ricche e più povere; famiglie più grandi e più piccole; famiglie potenti e emarginate. Le famiglie dei più forti non avevano difficoltà a controllare le decisioni comunitarie: favorivano o impedivano matrimoni; concedevano o negavano lavoro; utilizzavano la propria autorità per acquisire nuove ricchezze.

I villaggi erano ormai strutturati su una gerarchia più o meno rigida e il consiglio di villaggio era strettamente dipendente dagli ordini delle famiglie più ricche. Il consiglio dei villaggi era spesso formato da soli 4 o 5 membri, spesso appartenenti alla stessa famiglia. Con il consolidamento della famiglia patriarcale andava dunque sviluppandosi di pari passo l'idea stessa del dominio e della sopraffazione (dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura).

Gli anarchici contro il patriarcato

Gli anarchici si oppongono al patriarcato poiché vedono in esso la causa e l'origine del dominio e di ogni forma di discriminazione: sessismo, classismo, razzismo e specismo.

Il vincolo che unisce il dominio gerarchico con il patriarcato è stato ben spiegato dall' anarco pimitivista John Zerzan:

«Lo stretto vincolo tra sessismo e gerarchia si evidenzia al passaggio dalla piccola società primitiva di villaggio all'avvento delle grandi civiltà. E il passaggio più profondo avvenne dentro la psiche dell'individuo. Le donne cominciano a perdere quella parità che fino allora avevano avuto con gli uomini (ma ci sono anche state società matriarcali); un cambiamento che riguarderà non solo la loro condizione di vita, ma anche il modo di pensare se stesse. Sia a casa che nell'economia la divisione del lavoro perde le precedenti forme egualitarie e diviene sempre più gerarchica. Gli uomini rivendicano la superiorità del loro lavoro rispetto a quello delle donne; più tardi l'artigiano affermerà la sua superiorità sul contadino ed infine l'intellettuale affermerà la sua sovranità sugli operai. La gerarchia si instaura nell'inconscio individuale in un sistema convalidato anche dalla religione, dalla morale e dalla filosofia».

Il limite di molte analisi anarchiche, soprattutto di quelle anarco-primitiviste, sta nell'accettazione della versione ufficiale sulle modalità in cui sarebbe nato il patriarcato, ovvero che esso si sarebbe instaurato subito dopo la scoperta dell'agricoltura. In questa maniera, involontariamente, non si fa altro che avallare la tesi secondo cui il patriarcato e l'autorità siano dei fatti naturali e comunque legati al "progresso" dell'umanità da stadi incivili verso quelli più civili.

La storia, quella falsificata dalle istituzioni, insegna sin dalle elementari che l'organizzazione sociale necessiterebbe di un'autorità, pena il ritorno allo stadio primitivo. In questo senso gli anarco-primitivisti convergono con le posizioni del mondo dell'istituzione scolastica, distinguendosi per il semplice fatto che essi ritengono il ritorno al mondo primitivo un progresso sociale e non un regresso. Tuttavia è bene sottolineare ancora una volta che il punto di partenza delle loro analisi (nascita del patriarcato dovuta alla scoperta dell'agricoltura) è storicamente falso.

La storia, quella vera, insegna invece che l'organizzazione sociale non solo non necessita della gerarchia, ma anzi l'avvento violento della società patriarcale fece fare un notevole passo indietro all'umanità (evidenziato dal regresso nel campo delle arti), anche dal punto di vista dell'efficienza organizzativa.

Psicanalisi e patriarcato

«Ogni ordine sociale crea i caratteri di cui ha bisogno per mantenersi. Nella società divisa in classi, la classe dirigente si assicura la sua supremazia per mezzo dell'educazione e delle istituzioni familiari, per la diffusione tra tutti i membri della società delle sue ideologie, dichiarate ideologie dominanti. Ma non si tratta solamente di imporre delle ideologie, degli atteggiamenti e dei concetti ai membri della società: in realtà, assistiamo, in ogni nuova generazione, ad un processo in profondità, generatore di una struttura psichica corrispondente in tutti gli strati della società all'ordine sociale stabilito». (Wilhelm Reich, L'analisi caratteriale)
«Le osservazioni psicologiche di Wilhelm Reich permettono di comprendere il meccanismo attraverso il quale i comportamenti patristi (corazzati, violenti) si sono stabiliti e sono proseguito a lungo dopo che il trauma iniziale era passato» (James De Meo, Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia).

Note

  1. James DeMeo, Direttore del Laboratorio di Ricerca Biofisica sull'Orgone in Oregon, è «prosecutore dei rivoluzionari studi intrapresi dal grande ricercatore Wilhelm Reich» (Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia).
  2. Vedasi Stato e Genesi dello Stato e delle classi

Bibliografia

  • Riane Eisler, Il piacere è sacro: il mito del sesso come purificazione, edizioni Frassinelli, 1996
  • Riane Eisler, Il calice e la spada. La presenza dell'elemento femminile nella storia da Maddalena a oggi, Edizioni Frassinelli, 2006
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, Venexia edizioni, 2008
  • Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea: mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica [1989]; introduzione di Joseph Campbell; traduzione di Nicola Crocetti di The Language of the Goddess
  • Serafino Massoni, La stirpe del serpente: un originale romanzo storico che fa risalire ai tempi della guerra di Troia la transizione dal matriarcato al patriarcato, dall'amore libero ai concetti di famiglia, fedeltà, gelosia. 2008 Aliberti Editore.

Voci correlate

Collegamenti esterni