Comunità «Maria Luisa Berneri»

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Amarquistas trabalhando2.png La comunità «Maria Luisa Berneri» è stata una colonia estiva per bambini attiva tra il 1960 e il 1967 in località Ronchi, frazione litoranea del comune di Massa al confine con la Versilia.

Storia della comunità

Il modello spagnolo: L'Adunata dei Refrattari

Durante il periodo dell'esilio, prima in Francia e poi in Spagna, Giovanna Caleffi era entrata in diretto contatto con le esperienze pedagogiche innovative che si erano sviluppate in Spagna durante la guerra civile. E questo era stato possibile grazie alla militanza dello stesso Camillo Berneri tra le fila dei rivoluzionari spagnoli, con i quali la donna era rimasta in contatto. A seguito della morte del marito, Giovanna ne aveva assunto completamente gli ideali e si era sostiuita a lui nel fondamentale ruolo di collegamento tra i gruppi libertari e gli anarchici d'America. Tuttavia un particolare esperimento educativo l'aveva particolarmente influenzata: nel 1938, ad un anno dalla prematura scomparsa del marito, l'anarchico Enrico Zambonini, attivo in Spagna durante tutto il corso della guerra civile, aveva deciso di dare vita a un luogo di ritrovo per ragazzi e bambini che avevano subito le orribili tragedie della guerra. Era nata in questo modo la colonia L'Adunata dei Refrattari, che si occupava di fornire ai più giovani un ricovero sicuro nel quale trovare cibo e beni di prima necessità, ma che soprattutto permetteva loro di sfuggire all'orrore della guerra. La colonia era stata attiva per molti anni e dalle testimonianza di coloro che la frequentavano viene ricordata per il suo carattere militaresco, ma contemporaneamente come luogo concreto di assistenza e protezione, dove numerosissimi giovani avevano trovato riparo dal triste destino riservato loro dalla guerra che sconquassava il paese. Grazie a L'Adunata dei Refrattari Giovanna aveva maturato la consapevolezza di quanto fosse importante fornire alle nuove generazioni un'esperienza educativa d'eccezione, lontana dai modelli tradizionali, come quella vissuta dai giovani spagnoli.

La prima esperienza

Giovanna riprende il modello de L'Adunata dei Refrattari e vi apporta miglioramenti, organizzando un nuovo tipo di colonia, priva delle caratteristiche proibitive e militaresche proprie delle colonie spagnole: dal 1951, in ricordo della figlia Maria Luisa, che credeva fermamente nel ruolo della pedagogia libertaria ma che, prematuramente scomparsa all'età di 31 anni, non aveva avuto il tempo di dedicarsi a sperimentazioni, Giovanna Caleffi organizza a Paino di Sorrento (Napoli) una colonia estiva per i bambini/e figli di anarchici e anarchiche di tutte le nazionalità grazie alla casa privata messa a disposizione da Cesare Zaccaria. L'esperienza, però viene interrotta nel 1957 a causa del deficit economico e soprattutto per via della fine del rapporto tra Giovanna e Cesare.

La nuova colonia

Nonostante tutto, Giovanna vuole proseguire l'esperienza della colonia e si attiva per trovare dei finanziatori. Dopo vari tentativi riesce ad acquistare «una modesta casetta e un bel pezzo di pineta» (come essa stessa ci descrive) nella località di Ronchi (Massa), a 700 metri dal mare, che le permette di far nascere la comunità «Maria Luisa Berneri». [1]

Nell'estate del 1960 vengono accolti i primi gruppi di bambini, mentre Giovanna è impegnata nella complicata ricerca degli assistenti ed educatori: «Il problema "assistenti" è sempre stato uno dei più spinosi anche quando la colonia era a Sorrento. Tra i nostri compagni, poi, è quasi impossibile trovarne dei preparati per svolgere questo lavoro».

La scomparsa di Giovanna e la fine della comunità

Giovanna si dedica intensamente alla comunità fino alla sua morte, avvenuta il 14 marzo 1962. La figlia Giliana, unica sopravvissuta della famiglia Berneri, profondamente segnata dalla scomparsa della madre, decide di abbandonare l'attività anarchica. Grazie a quattro compagni (Aurelio Chessa, Ugo Mazzucchelli, Pio Turroni e Stefano Vatteroni), che costituiscono un nuovo gruppo gestionale, la colonia sopravvive fino al 1967. [2] Negli anni seguenti, esperimenti simili saranno ripetuti in altre località italiane, non riuscendo, però, ad eguagliarne i risultati della comunità «Maria Luisa Berneri».

Attività della comuità

La colonia, molto ben organizzata, consisteva in una casa di tre stanze con relativi servizi. All'esterno si poteva contare su tende militari, che fornivano ulteriori posti letto. La partecipazione dei ragazzi era molto attiva, non solo da parte dei ragazzi del territorio apuano, ma anche da parte dei giovani provenienti da altre zone della penisola e dall'estero. I giovani, di solito tra le venti e le trenta unità, erano seguiti da professori estremamente competenti e dalla stessa Caleffi, molto attiva all'interno del progetto.

Le attività non erano prestabilite, ma decise giorno per giorno. Fondamentale era il rapporto con la natura: i ragazzi, infatti, grazie ad un costante contatto con essa, erano istruiti a rispettarla. Spazi aperti erano sinonimo di libertà e movimento, perciò grande importanza era data all’attività fisica: venivano organizzate lunghe passeggiate, corse campestri ed escursioni, il tutto accompagnato da canti anarchici che contribuivano a creare un positivo spirito di gruppo. La peculiarità della colonia era la semplicità con la quale le idee libertarie circolavano tra i ragazzi: nulla era imposto, ma tutto era facoltativo, ogni cosa veniva decisa dal gruppo.

Il fulcro dell'insegnamento era l'apertura al diverso e al nuovo con l'eliminazione di punti di vista stereotipati: i ragazzi, infatti, erano spinti a condividere esperienze personali grazie alle quali si creavano scambi linguistici e culturali. Ben accolte erano anche le spinte individuali, in un'ottica di potenziamento delle abilità dell'individuo in maniera del tutto libera e spontanea. Nonostante queste caratteristiche positive molte colonie dei dintorni, il cui modo di operare era completamente differente, vedevano con occhio diffidente "La Berneri".

La testimonianza di Aurora Failla

Aurora Failla, libertaria carrarese, figlia di Alfonso Failla ed allieva della comunità ricorda i pic-nic nei quali la gente si ritrovava e passava del tempo insieme cucinando e mangiando, in un periodo nel quale non esistevano metodi alternativi di raccolta di denaro. Ricorda poi che l'esperienza aveva coinvolto moltissime persone che lavoravano gratuitamente, tra queste insegnanti e inservienti della scuola pubblica, che durante l'estate si mettevano a disposizione della colonia. La colonia era vista in modo benevolo dalla maggior parte delle persone della zona, che a volte donavano verdura, frutta, vivande in generale; l'unica eccezione era rappresentata dalla vicina colonia delle suore, che vedeva il gruppo come un'"Armata Brancaleone". Periodicamente veniva il medico, il dott. Gualtiero Figaia con un aiutante, per accertarsi che tutti stessero bene, oppure veniva chiamato in caso di necessità. Aurora racconta che nella colonia i bambini, figli di anarchici e non, si ritrovavano durante l'estate dopo che alcuni compagni, denominati "collettori", li avevano presi in affidamento da varie zone d'Italia (in alcuni casi anche dalla Francia e dalla Spagna) e li avevano accompagnati fino a Marina di Massa, utilizzando il treno. Così i ragazzi, che non avevano la possibilità di permettersi una vacanza con la famiglia, passavano comunque un mese estivo in compagnia e potevano socializzare con diverse persone; quelli che abitavano lontani non vedevano la famiglia per un mese intero, gli altri ricevevano le visite dei familiari, la domenica. Ma nonostante la giovane età non è mai successo che qualcuno risentisse troppo della lontananza dei propri cari (eccetto qualche caso raro), grazie alla compagnia ed alla competenza degli educatori, che non avendo uno schema obbligatorio di insegnamento potevano pensare ad allietare le giornate dei bambini. Aurora ricorda che bambini e insegnanti erano messi sullo stesso piano: non esistevano figure autoritarie che volevano imporre il proprio pensiero. Infatti, durante i comizi non si faceva circolare la dottrina anarchica: ognuno portava invece ciò che era a lui familiare, ossia le situazioni e le idee che erano veicolate nel proprio ambiente domestico, pertanto non vi era alcun tipo di indottrinamento. Per quanto riguarda le attività didattiche, venivano eseguite delle letture e i membri della colonia raccontavano le loro storie ed esperienze agli altri, in linea con il clima di scambio del progetto. Questo permetteva, grazie alla presenza di ragazzi stranieri, un approccio ad altre lingue e aveva la caratteristica di uno "scambio culturale". Tra le più importanti esperienze di apprendimento vi erano quelle relative all'osservazione della natura e degli animali ed il canto di canzoni per lo più anarchiche. Aurora sottolinea il fatto che i metodi utilizzati nella colonia erano molto innovativi: si organizzavano molte attività e la giornata era suddivisa in maniera ben precisa. La colazione era preparata da Giovanna, che coinvolgeva alcuni ragazzi, mentre gli altri allestivano la tavola. Subito dopo il gruppo veniva accompagnato al mare. La camminata era abbastanza lunga, più di un chilometro, durante la quale i bambini cantavano e si divertivano, a differenza dei ragazzi della vicina colonia religiosa, costretti a camminare in fila indossando grembiuli in piena estate. Dopo aver passato la mattina al mare, tra bagni e giochi, si rientrava a casa, dove si preparava il pranzo e la tavola. Il pomeriggio si articolava in diverse attività come quella della stampa dei giornalini, creati mediante l'utilizzo di rulli e tavole di linoleum per i disegni, sotto la supervisione di maestri molto competenti e dotati, che insegnavano ai ragazzi tecniche e nozioni di una certa complessità. L'obbiettivo era quello di favorire uno scambio di idee e opinioni anche diverse dalla comune mentalità. Dopo cena i ragazzi si ritiravano per dormire, alcuni all'interno della casa, altri all'interno di una grande tenda situata all'esterno, nella pineta. La colonia era aperta in luglio e agosto e accoglieva un numero di ragazzi compreso tra le 20 e le 30 unità; alla fine del primo mese vi era un ricambio sia dei ragazzi che degli educatori, per permettere al maggior numero possibile di persone di entrare a far parte del progetto.

La testimonianza di Fenisia Cimoli

Fenisia Cimoli, istruttrice della comunità, ricorda di aver incontrato Giovanna Caleffi attraverso la conoscenza comune del dott. Gualtiero Figaia, partecipante anch'egli all'esperienza della colonia; aggiunge che proprio Giovanna la spinse a seguire un corso sulla pedagogia ed educazione attiva presso il CEMEA (Centro Esercitazione Metodo Educazione Attiva): il centro forniva agli studenti una corretta formazione per adempiere al ruolo di istruttore pedagogico. Grazie a questo percorso Fenisia, che sarà sempre grata a Giovanna, acquisì la giusta preparazione ed esperienza per poi inserirsi nella colonia. Fenisia racconta poi una giornata tipo alla colonia: «L'idea, non era quella di trasmettere messaggi anarchici, la politica non c'entra nulla con la pedagogia. Il nostro era un metodo basato sull'educazione attiva, il cui compito era di insegnare ai ragazzi un corretto comportamento e farli divertire con esperienze o al mare o in montagna. Innanzitutto si dividevano i ragazzi per categoria: vi erano i grandi, i medi e i più piccoli. Ad ogni istruttore era affidato un gruppetto di dieci ragazzi. I maschi e le femmine partecipavano assieme nelle escursioni, ma trascorrevano la notte in camere separate. Durante le uscite in spiaggia era compito degli istruttori progettare dei giochi di intrattenimento per tutti i ragazzi. I più piccoli giocavano a fare costruzioni con la sabbia, mentre per le uscite in montagna, che si effettuavano molto di rado, si usciva la mattina presto e si intraprendevano percorsi programmati, che culminavano con l'ora di pranzo, quando si mangiava all'aperto. Vi erano poi quelle giornate in cui il tempo non permetteva le uscite e allora si intrattenevano i ragazzi con giochi collettivi in colonia». Fenisia conclude: «È stata davvero una bella esperienza, anche perché per me è stata la prima, ma soprattutto perché ho incontrato tanta brava gente».

Note

  1. A metà degli anni '50 Giovanna aveva ricevuto una donazione da parte di un compagno pugliese consistente in un appartamento a Milano e in una somma di danaro; a tale donazione aveva unito i frutti di una sottoscrizione a livello nazionale ed internazionale: al sostegno degli anarchici della zona si era aggiunto quello dei compagni emigrati in America (significativi i sostegni della folta comunità anarchica italiana residente negli Stati Uniti e in Canada), i quali mandavano ciò che potevano, raccogliendo fondi tramite iniziative collettive.
  2. Alla morte di Giovanna la colonia venne formalmente presa in mano da Ugo Mazzucchelli, ma la gestione diventò assai difficoltosa.