Stefano Vatteroni

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Stefano Vatteroni

Stefano Vatteroni (Avenza, Carrara, 21 febbraio 1897 - Carrara, 3 gennaio 1965) è stato un'anarchico e un antifascista italiano.

Biografia [1]

Umberto Giuseppe Stefano Vatteroni nasce ad Avenza, frazione di Carrara (MS) il 21 febbraio 1897 da Carlo ed Elisa Lazzi, stagnino. Anarchico fin dall'adolescenza, è molto attivo nelle lotte contro lo squadrismo apuano, prima di trasferirsi a Roma, dopo l'ascesa al potere di Mussolini, per evitare le rappresaglie dei fascisti locali. Nella capitale conosce Errico Malatesta e collabora con lui nella propaganda libertaria e nella lotta antifascista.

L'11 settembre del 1926 un suo concittadino, Gino Lucetti attenta alla vita di Mussolini. La reazione delle autorità fasciste è immediata, centinaia sono gli anarchici perquisiti e arrestati, tra questi Vatteroni che si protesta estraneo ai fatti che gli sono contestati, ma che non viene creduto dagli inquirenti perché fornisce, secondo le autorità, «risposte contraddittorie» e perché ha «compiuto un viaggio a Carrara nell'agosto 1926 per donare tutti i suoi beni alla madre».

Denunciato al Tribunale speciale fascista per «concorso in attentato, detenzione di armi e ferimento di più persone», Vatteroni viene condannato l'11 giugno 1927 a 18 anni e 9 mesi di reclusione e a 3 anni di vigilanza speciale, mentre i suoi coimputati Giuseppe Tiburzi, Alfonso Pettinari e Fausto De Santis sono prosciolti con la formula di «non luogo a procedere». Detenuto nelle carceri di Lucca, Vatteroni passa in quelle di Alessandria e di Finalborgo, poi, nel 1932, è tradotto nel reclusorio di Civitavecchia, quindi è a Pallanza, a Fossano e di nuovo a Civitavecchia e infine nel 1935-1936 ancora una volta a Roma.

Scarcerato nel febbraio 1937 grazie a varie amnistie e condoni, dopo aver scontato 11 anni di reclusione, viene assegnato dalla Commissione provinciale di Roma il 5 aprile 1937 al confino per 5 anni e deportato alle Tremiti, dove «mantiene pessima condotta politica» e viene arrestato perché si è rifiutato di salutare romanamente. Condannato a un anno di carcere, lo sconta a Lucera. Rimandato alle Tremiti, vi conosce Jolanda Setti di Rubiera (RE), durante una visita che la donna fa al fratello, confinato nell'isola, e si lega sentimentalmente a lei. Trasferito a Ponza, vi resta fino al 1939, quando viene deportato a Ventotene.

A fine pena, il 25 gennaio 1942, è trattenuto come internato «pericoloso nelle contingenze belliche» e relegato nella colonia di Tursi, dove rimane fino al settembre 1943. In questa località, arroccata su un'altura, non arrivano i "liberatori" americani che, occupata la pianura circostante, proseguono verso nord, cosicché il villaggio rimane in mano ai tedeschi. Vatteroni, insieme ad altri, forma una banda che assalta le postazioni germaniche e libera il paese.

Nel dopoguerra vive a Napoli e a Roma, poi riprende, a Carrara, il suo posto di militante anarchico. Il 14 marzo 1946 scrive su Umanità Nova il necrologio di Elena Melli. [2] È a fianco di Alberto Meschi nella CdL unitaria, assicura la sua presenza nella Cooperativa del Partigiano, collabora, insieme alla sua compagna Jolanda, al fine di garantire il buon funzionamento della Colonia «Gino Lucetti» e della Comunità «Maria Luisa Berneri» a Marina di Massa.

Non trascurabile è anche la sua attività all'interno della neonata FAI. È delegato della Federazione Comunista Libertaria di Massa Carrara al congresso costitutivo della federazione a Carrara nel settembre 1945 e ancora come delegato della stessa federazione partecipa a Firenze al convegno nazionale FAI nel marzo 1946, a quello di Canosa nel febbraio 1948 e infine a quello di Livorno nel maggio 1954. È presente al VI congresso della federazione che si svolge a Senigallia nel novembre 1957, come delegato dei gruppi anarchici di Carrara.

Vatteroni muore a Carrara il 3 gennaio 1965. Alcune pubblicazioni anarchiche ricordarono la sua morte. [3] [4] Conformemente alle sue disposizioni, i funerali si sono svolti senza pubblicità con la partecipazione di alcuni compagni e familiari. Avrà definitiva sepoltura al cimitero di Carrara, vicino alle tombe di Gino Lucetti e Alberto Meschi. La sua compagna Jolanda Setti muore a Carrara il 5 marzo 1989.

Note

  1. Fonte: Dizionario biografico online degli anarchici italiani.
  2. Per la morte della compagna di Errico Malatesta, Umanità Nova n. 11, 14 marzo 1946.
  3. La redazione de L'Adunata dei Refrattari così scrisse nel numero 3 del 6 febbraio 1965: «Era venuto giovane al movimento anarchico del quale fu sempre militante consapevole ed attivo. Riuscitagli impossibile la vita nel carrarese in seguito alle lotte per la resistenza al fascismo, si trasferì a Roma dove si trovava al momento dell'attentato di Gino Lucetti contro Mussolini, l'11 settembre 1926, nel processo del quale fu implicato come conterraneo, compagno di idee e complice. Il processo si svolse l'11 giugno 1927. Lucetti fu condannato a 30 anni, Leandro Sorio a 20 e Vatteroni a 18. Undici anni dopo, scontato il cellulare, abbreviata la condanna da decreti di amnistia e indulto, fu ricondotto al carcere giudiziario di Roma e di qui internato al confino a Tursi nell'estate del 1937. Al confino conobbe la sua compagna ed ebbero una figlia. Ma causa le provocazioni di un bullo fascista che pretendeva dai confinati il saluto "alla romana" ebbe a subire un nuovo processo ed ebbe a scontare un altro anno di prigione. Tornò dal confino dopo la caduta del fascismo e riprese con ardore immutato la sua vita di militante; e nelle sue attività di militante lo ha colto, ovviamente precipitata dalle passate sofferenze e persecuzioni, la morte. Conformemente alle sue disposizioni, i funerali si sono svolti senza pubblicità con la partecipazione di alcuni compagni e famigliari. Avrà definitiva sepoltura al cimitero di Carrara, vicino alle tombe di Gino Lucetti e Alberto Meschi».
  4. Commemorando insieme Vatteroni e Lucetti, Umanità Nova, 25 gennaio 1965. L'articolo completo è presente nel libro, curato da Paolo Finzi, Insuscettibile di ravvedimento. L'anarchico Alfonso Failla (1906-1986). Carte di polizia, scritti, testimonianze, p. 228.