Biblioteca Anarchica

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La Biblioteca Anarchica
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La Biblioteca Anarchica contiene articoli, libri, bibliografie, opuscoli, video, audio, multimedia e manifesti anarchici. Nella Biblioteca sono presenti i libri classici dell'anarchismo (da scaricare), ma anche articoli ed opuscoli recenti, divisi per argomento, e pubblicazioni che hanno una relazione o un'influenza sul movimento anarchico e che possono anche essere scritte anche da chi non è formalmente anarchico. L'obiettivo della Biblioteca Anarchica è quello di facilitare l'accesso delle persone alla letteratura anarchica e consentire così una più profonda comprensione dell'anarchismo e delle sue motivazioni.
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Qui di seguito sono elencate le opere scaricabili recentemente inserite nella Biblioteca:

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  • Testi divisi per autore (elenco di e-books scaricabili dal web)
  • Testi divisi per argomento (elenco di titoli, in parte scaricabili dal web):

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Un testo consigliato Un autore consigliato
Patria e umanità
di Élisée Reclus
Élisée Reclus in un ritratto di Clifford Harper.

La questione se il patriottismo sia incompatibile con l'amore dell'umanità, non può essere trattato senza un'adeguata premessa. Che cosa è "il patriottismo" nella sua accezione veramente popolare, implicitamente inteso nel senso etimologico? È l'amore esclusivo alla patria, sentimento che si completa con un corrispondente odio verso le patrie straniere. E cos'è la patria? Un territorio grande o piccolo, chiaramente delimitato da frontiere di origine diversa, barriere naturali, artificiali o semplici linee tracciate dalla volontà di qualcuno, prima sulla carta e poi traslate sul terreno.

Partendo da queste definizioni che certamente corrispondono all'idea generale delle masse, come d'altronde definito dalle diplomazie, dai regimi militari e dal sistema fiscale, si deve riconoscere che la patria e il suo derivato, il patriottismo, sono una deplorevole sopravvivenza, il prodotto di un egoismo aggressivo che può solo portare alla rovina delle migliori opere umane e allo sterminio degli uomini.

Ma il popolo è sincero e dietro la parola "patria" ha inteso mille cose dolci e belle che non implicano in maniera alcuna la divisione della terra in parcelle nemiche. Il dolce profumo della terra natale, le figure sorridenti dei vecchi che ci hanno amato, i cari ricordi di scuola e gli studi con bravi colleghi, le azioni intraprese in comune durante la gioventù e soprattutto la favola che risuonò prima nel nostro orecchio, e in cui abbiamo udito le parole che hanno condizionato la nostra vita. Tutto questo è patrimonio naturale di ogni uomo in qualsiasi parte del mondo in cui si trovi la sua origine, tutto questo è anteriore all'idea di una patria limitata, ed è puro sofismo collegare questi sentimenti con l'esistenza di un effimero reticolato che affetta la rotondità del nostro pianeta.

C'è al contrario totale antagonismo tra i primi sentimenti che ci legano alla terra e alla società umana, e tutti gli ostacoli che impediscono la libera formazione dei gruppi umani, che intendono limitare quello che per la natura delle cose non è limitabile, come l'empatia tra gli uomini, il loro spirito di mutua benevolenza e di solidarietà.

Storicamente, la patria fu sempre cattiva e funesta. Fu sempre un dominio, rivendicato come proprietà esclusiva da un padrone assoluto o da un gruppo di padroni organizzati gerarchicamente, o, come ai giorni nostri, da un gruppo di classi dirigenti e privilegiate. Sempre, per quanto guardiamo al passato, troviamo che i pacifici cittadini hanno dovuto, in nome di una patria dalle frontiere sempre diverse, lavorare, pagare e combattere, sempre oppressi dai parassiti, re, signori, guerrieri, giudici, diplomatici e milionari. E furono questi parassiti in lotta con altre bande a segnare le barriere di separazione tra popoli vicini, fratelli grazie agli interessi comuni. Per difendere o espandere queste assurde delimitazioni si sono susseguite guerre alle guerre: era chiaro che i segnali di confine dovessero essere installati tra i cadaveri, come un tempo lo erano le porte delle città.

Al giorno d'oggi, le frontiere sono più funeste che mai, anche se sono più spesso attraversate, perché protette con maggior metodo, più scientificamente che nel passato da fortificazioni, stazioni doganali e guardie mobili. Se il commercio pretende di svilupparsi sotto l'impulso di bisogni vitali, si verifica solo dopo lunghe discussioni tra gli stati e la costruzione di grandi opere militari. La zona di divisione è suddivisa per tutta la sua lunghezza; e con incessanti intrighi, con l'aiuto di veri crimini, nascono odi tremendi su entrambi i lati della fittizia frontiera, tracciata lungo un torrente, nei boschi e nei prati.

Ora dobbiamo affermare questo fatto scandaloso, cioè che nel secolo delle locomotive e dei motocicli di tutte le specie non ci sia una sola linea ferroviaria tra Francia e Spagna e nemmeno una strada carreggiabile che attraversi i Pirenei. Nonostante la geografia, non si vuole che due nazioni siano vicine, non si vuole che, cessando di essere patrie diverse, diventino uno stesso paese della stessa famiglia unita.

Il vasto mondo appartiene a noi e noi apparteniamo al mondo. Abbasso tutti i confini, i simboli di dominio e di odio. Corriamo infine ad abbracciare tutti gli uomini e chiamiamoci fratelli.

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Carmelo Bene
Carmelo Bene in Pinocchio.

– Ma io non voglio fare né arti né mestieri...
– Perché?
– Perché a lavorare mi par fatica.
– Ragazzo mio quelli che dicono così finiscono quasi sempre o in carcere o all'ospedale. L'uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbligato in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall'ozio! L'ozio è una bruttissima malattia e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.

Il movimento anarchico si è sovente battuto per migliorare le condizioni dei lavoratori ed ha assunto una posizione che è stata definita "nella storia, ma contro la storia". Per Carmelo Bene, invece, la libertà non è occupazione sul lavoro, bensì affrancamento dal lavoro (già nel 1953 Guy Debord aveva tracciato su un muro della Rue de Seine lo slogan "Ne travaillez jamais"). Al tempo stesso la visione anarchica beniana non si pone nella storia, ma al di fuori di essa. Seguono un paio di esempi significativi.

«In quanto anarchico, io rimango fuori dalla tradizione, meglio ancora: fuori dalla storia. Io contesto la storia, la rifiuto. Anzi, ho una profonda nostalgia per la storia che non è stata fatta. Per esempio, se Marco Antonio avesse vinto la battaglia di Azio, nessuno può mettere in dubbio che la storia avrebbe avuto un corso diverso. Ebbene io sono per i corsi che non ci sono stati e per la gente che ha sempre perduto, per quella fetta di umanità che ha sempre subito la storia, senza mai farla» (Carmelo Bene arriva e dice che non recita!, Corriere della Sera, 20 marzo 1974).
«Al governo c'è una fondamentale mancanza di ingredienti erotici, ci sono delle perversioni senza portafoglio; senza sforzo mi sono sforzato sempre di rappresentare queste cose in un contesto anarchico squisitamente politico e quando l'operaio vede lo spettacolo deve dire: mi stanno defraudando di una mia carica vitale. Si potrebbe dire: forse domani se saremo liberi potremo occuparci di noi. Questo è pericoloso! Sputa sulla famiglia, sputa sulla patria, su Dio, sulla madre, sui soldi, sull'anima, sulla religione, su me stesso; i cosiddetti anarchici sapevano che migliorare il lavoro significava niente, una truffa - qualunque ideologia è una truffa come qualunque prospettiva di lavoro, se poi il lavoro lo vediamo anche in prospettiva... » (Se il teatro è erotismo non si può dire che Bene, Anna Maria Papi, Il Nuovo, 6 luglio 1975).

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Un articolo esterno consigliato Un testo esterno consigliato
Efficienza ed equità dell'anarchia e di altri sistemi sociali storici: un semplice modello esplorativo
di Guido Candela e Roberto Cellini

Abbiamo proposto una modellizzazione (invero molto semplice) del funzionamento del sistema economico secondo scuole di pensiero anarchiche. Abbiamo confrontato i risultati con le realizzazioni associabili ad altri due sistemi sociali storici, il capitalismo e il comunismo. Abbiamo mostrato che un sistema anarchico “di base” porta a un livello di produzione inefficiente, poiché difetta di coordinamento nella produzione e nella valorizzazione dei beni, a causa dell'eccessiva frammentazione dei diritti di proprietà. Al contrario, il capitalismo e il comunismo realizzano un sistema più efficiente (ed ugualmente efficiente fra loro, sulla carta), in termini sia del prodotto reale sia del prodotto monetario: il primo, per l’intervento dell'impresa privata del capitalista, il secondo in virtù del coordinamento del ministro della produzione. Tuttavia, comunismo e capitalismo introducono entrambi elementi di disparità sociale, anche sul piano teorico. Infatti, nel comunismo, uno degli agenti oltre a conferire la sua risorsa (ad esempio, il lavoro) è anche ministro della produzione, assumendo così istituzionalmente il potere di dettare la distribuzione della produzione, del reddito, e dei consumi; la deriva burocratico-predatoria è quindi l'esito scontato. Nel capitalismo, uno degli agenti oltre a conferire la sua risorsa ha anche il diritto privato sul prodotto e quindi sul profitto dell'impresa. Proprio nella distribuzione, allora, questi due sistemi manifestano i loro maggiori problemi sociali, perché il primo può deviare verso un comunismo predatorio, mentre il secondo comporta che la distribuzione sia dettata esogenamente e lasci quindi campo aperto ad una conflittualità sociale. I due sistemi teoricamente più efficienti, comunismo e capitalismo, sono equi solo nei casi estremi del comunismo anarchico e del capitalismo perfettamente concorrenziale: il primo perché è fondato su una distribuzione bilanciata dei poteri (delle proprietà costituzionali) che realizza un comunismo attuato tramite soluzioni contrattuali; il secondo perché verifica un equilibrio di lungo periodo che lascia un profitto nullo all'impresa capitalistica. La “storia” ha mostrato che il comunismo è risultato di fatto meno efficiente e meno equo del capitalismo. Meno efficiente, perché il ministro della produzione non è stato abile quanto il mercato nell'organizzare la produzione. Meno equo, per due motivi: dal lato del comunismo, perché esso si è sistematicamente risolto in un comunismo predatorio; dal lato del capitalismo, perché il capitalismo sindacale ha usato l'esogenità distributiva per contenere la disparità dei redditi del capitalismo puro. Tuttavia, è necessario ricordare che la storia non ha ancora verificato i due sistemi che la teoria indica efficienti ed equi, “dimenticando” e lasciando “sui libri” il comunismo anarchico ed il capitalismo perfettamente concorrenziale. Infine, per ciò che riguarda l'anarchia, la sua posizione è davvero strana poiché perde in termini di efficienza, ma ha la sua rivincita sul piano dell'equità. Essa potrebbe quindi presentarsi come una soluzione di second best, qualora, per mancanza di verifica nei presupposti sociali di fatto richiesti, la realtà sfoci in un comunismo predatorio o in un capitalismo di monopolio “garantito” dal governo stesso. Ma, se ci volgiamo alla storia, dobbiamo concludere che non sappiamo ancora quale sia il volto effettivo dell'anarchia, né quali istituzioni (intese come “comportamenti consolidati”) debbano essere introdotte o possano sorgere endogenamente per limitarne l'inefficienza allocativa.

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In segno di sfida
di Giorgio Pratolongo
Copertina di In segno di sfida di Giorgio Pratolongo.

«La felicità che mi era sempre stata negata, avevo il diritto di viverla»: avvolte nella leggenda, le parole di Jules Bonnot hanno attraversato un secolo di storia, facendosi manifesto di ribellione e rifiuto senza compromesso di qualunque ingiustizia commessa in ogni tempo, a ogni latitudine.

Perché la Banda Bonnot non fu solamente il primo gruppo di espropriatori a utilizzare l'automobile per compiere le rapine ai danni di banche e ricchi possidenti.

Le azioni della Banda, infatti, avvenivano sempre di giorno, alla luce del sole, per amplificare il loro reale scopo: spaventare i detentori dell'ordine costituito e irridere i suoi custodi, affinché fosse chiaro come nulla è immutabile, tantomeno ciò che di brutto regola da sempre il mondo che viviamo.

Ma chi era veramente Jules Bonnot? E cosa pensavano, come vivevano e cosa fu a spingere lui e i suoi sodali, tutti figli di operai, osti e ciabattini, a rifiutare il proprio destino sociale per passare all'azione?

Le matite di Giorgio Pratolongo cercano la risposta nei bassifondi di Parigi, insieme a gente come Raymond "La Science" Callemin, Octave Garnier, Édouard Carouy, André Soudy, Eugène Dieudonné, René Valet, Étienne Monier... i bandits tragiques protagonisti della grande epopea della Banda Bonnot: una vicenda la cui sorte ha senz'altro beffato i giudici e la polizia, restando libera per sempre.

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