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{{Biblioteca/Titolo 2|nome=<big><span style="color:#C11B17">''Intorno alla critica anarchica dello Stato''</span></big><br>di Marco Cossutta|autore=Marco Cossutta|altro=da openstarts.units.it}}
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[[File:Marco Cossutta.jpg|thumb|right|miniatura|230px|Marco Cossutta.]]
L'[[anarchismo]] appare quale l'unica corrente di pensiero politico (ad eccezione della prospettiva tradizionalistica), che, in epoca moderna, quindi post [[1648]], rifiuta in modo radicale la gestione dei rapporti politici attraverso lo [[Stato]], tanto da richiederne l'immediata abolizione come condizione imprescindibile per la piena realizzazione della persona umana. L'emancipazione materiale e spirituale dell'essere umano, per l'[[anarchismo]], non può prescindere dalla abolizione dello [[Stato]]. «In una parola, noi respingiamo ogni legislazione, ogni autorità ed ogni influenza privilegiata, patentata, ufficiale e legale, anche uscita dal suffragio universale, convinti che essa non potrebbe che ridondare a profitto di una minoranza dominante e governante, contro gl'interessi dell'immensa maggioranza asservita. Ecco in qual senso noi siamo realmente [[anarchici]]» ([[Bakunin]]). Anche in assenza di rapporti politici di natura [[statuale]], l'emancipazione non si realizza in modo automatico – vedi la società per censi o quella feudale –, ma è certo per l'[[anarchismo]] che in presenza dello [[Stato]] questa emancipazione non può né svilupparsi, né, tanto meno, affermarsi.


Che tempi sono questi? Sono i tempi delle proteste in Turchia, in Bulgaria e in Brasile, i tempi di [[Anonymous]], del [[movimento No Tav]] e dalle lotte in difesa dei beni comuni. Forse gli anarchici non sono più meno dell'uno per cento, come cantava [[Léo Ferré]], ma certamente coloro che si interrogano criticamente sui presupposti teorici e sui fondamenti delle pratiche anarchiche non sono molto numerosi. Stranamente, verrebbe da dire, perché questa modalità di mettersi in discussione fu inaugurata da un gigante dell'anarchismo classico, [[Errico Malatesta]] (e da [[Camillo Berneri]] subito dopo) che già nel [[1920]], sulle pagine di [[Umanità Nova]] scriveva «L'anarchia non si fa per forza: volerlo, sarebbe la più balorda delle contraddizioni». E un paio di anni dopo «L'anarchia è l'ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, come non si raggiunge mai la linea dell'orizzonte [...], l'anarchismo è metodo di vita e di lotta e deve essere, dagli anarchici, praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità variabili secondo i tempi e le circostanze». C'è da dire che si era già pronunciato nella stessa direzione [[Gustav Landauer]], di cui è nota l'affermazione «Lo stato non è qualcosa che si possa distruggere con una rivoluzione, ma è una condizione, un certo rapporto tra esseri umani, una modalità del comportamento umano: lo distruggiamo stabilendo nuove relazioni, comportandoci in modo diverso».
Al di là di tali perentorie affermazioni, è d'uopo soffermarsi brevemente su una questione per così dire terminologica; ovvero cosa intendiamo e cosa intende l'[[anarchismo]], con il termine [[Stato]]. Il termine [[stato]] è termine ambiguo; allo stesso infatti può essere ascritta, sempre nel linguaggio politico-giuridico, una definizione di natura generale (più che lessicale) per la quale lo [[stato]] (da ''status'') è la condizione di un paese nei suoi dati sociali e politici, nella sua costituzione materiale e, quindi, nel suo ordinamento; lo [[stato]] è perciò tutto ciò che riguarda la vita umana organizzata e non direttamente rivolta ad un fine spirituale. In questo primo senso, lo stato descrive la struttura politica, quindi mondana, di una comunità. Alla luce di quanto rilevato, qualsivoglia organizzazione dei rapporti politici può venire designata con il termine [[stato]].
Accanto a questa definizione generale si colloca una seconda definizione, che qui definiamo – forse impropriamente – stipulativa, ai sensi della quale lo [[Stato]] (qui sinonimo di ''potestas'' – potere su – e non di ''auctoritas'' – potere di) non appare, per così dire, un concetto universale, onnicomprensivo di qualsiasi forma di organizzazione politica, ma indica e descrive unicamente una particolare forma di ordinamento politico sorto in Europa da un processo che affonda le proprie radici nel Tredicesimo secolo e giunge a compimento nel Diciannovesimo secolo. Questa particolare forma di [[stato]], che diventerà nel lessico comune lo [[Stato]] ''tout court'', è quella criticata aspramente dall'[[anarchismo]] e si caratterizza, al suo concreto sorgere agli albori del secolo Diciannovesimo, attraverso tre momenti che fanno sì che lo [[Stato]] sia, per usare la nota espressione di Max Weber, il monopolizzatore delle forza legittima.


Per tutto il '900 il pensiero anarchico non ha mai smesso l'abitudine di ripensarsi criticamente, soprattutto a opera di intellettuali e militanti come [[Paul Goodman]] - «Una società libera non può essere l'imposizione di un “ordine nuovo” al posto di quello vecchio: è l'ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi occupino gran parte della vita sociale» -, oppure attraverso le parole di [[Colin Ward]] «Come si reagirebbe alla scoperta chela società in cui si vorrebbe realmente vivere c'è già... se non si tiene conto, ovviamente, di qualche piccolo guaio come sfruttamento, guerra, dittatura e gente che muore di fame? [...] Una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve, sepolta sotto il peso dello [[Stato]] e della burocrazia, del [[capitalismo]] e dei suoi sprechi, del privilegio e delle sue ingiustizie». Nelle loro pagine troviamo un'idea di anarchia che sembra allontanarsi da quella dei classici [[Bakunin]], [[Kropotkin]] e [[Proudhon]]. La capacità di riflessione e di autocritica espressa in tempi non sospetti testimonia una grande vitalità e sembra anticipare molte delle questioni sollevate più di recente.
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Il post-anarchismo spiegato a mia nonna di [[Michel Onfray]] si inserisce, quindi, in un ampio dibattito che si può riassumere in una domanda: le idee e i concetti della post-modernità possono essere impiegati per riattivare e riattualizzare il pensiero anarchico? Posta in questi termini la questione però non è molto chiara. Quale pensiero anarchico? E perché avrebbe bisogno di una “cura rinvigorente”?
 
'''[https://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/post-anarchismo Vai al testo]'''
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Versione attuale delle 16:18, 29 lug 2023

Intorno alla critica anarchica dello Stato
di Marco Cossutta
Marco Cossutta.

L'anarchismo appare quale l'unica corrente di pensiero politico (ad eccezione della prospettiva tradizionalistica), che, in epoca moderna, quindi post 1648, rifiuta in modo radicale la gestione dei rapporti politici attraverso lo Stato, tanto da richiederne l'immediata abolizione come condizione imprescindibile per la piena realizzazione della persona umana. L'emancipazione materiale e spirituale dell'essere umano, per l'anarchismo, non può prescindere dalla abolizione dello Stato. «In una parola, noi respingiamo ogni legislazione, ogni autorità ed ogni influenza privilegiata, patentata, ufficiale e legale, anche uscita dal suffragio universale, convinti che essa non potrebbe che ridondare a profitto di una minoranza dominante e governante, contro gl'interessi dell'immensa maggioranza asservita. Ecco in qual senso noi siamo realmente anarchici» (Bakunin). Anche in assenza di rapporti politici di natura statuale, l'emancipazione non si realizza in modo automatico – vedi la società per censi o quella feudale –, ma è certo per l'anarchismo che in presenza dello Stato questa emancipazione non può né svilupparsi, né, tanto meno, affermarsi.

Al di là di tali perentorie affermazioni, è d'uopo soffermarsi brevemente su una questione per così dire terminologica; ovvero cosa intendiamo e cosa intende l'anarchismo, con il termine Stato. Il termine stato è termine ambiguo; allo stesso infatti può essere ascritta, sempre nel linguaggio politico-giuridico, una definizione di natura generale (più che lessicale) per la quale lo stato (da status) è la condizione di un paese nei suoi dati sociali e politici, nella sua costituzione materiale e, quindi, nel suo ordinamento; lo stato è perciò tutto ciò che riguarda la vita umana organizzata e non direttamente rivolta ad un fine spirituale. In questo primo senso, lo stato descrive la struttura politica, quindi mondana, di una comunità. Alla luce di quanto rilevato, qualsivoglia organizzazione dei rapporti politici può venire designata con il termine stato. Accanto a questa definizione generale si colloca una seconda definizione, che qui definiamo – forse impropriamente – stipulativa, ai sensi della quale lo Stato (qui sinonimo di potestas – potere su – e non di auctoritas – potere di) non appare, per così dire, un concetto universale, onnicomprensivo di qualsiasi forma di organizzazione politica, ma indica e descrive unicamente una particolare forma di ordinamento politico sorto in Europa da un processo che affonda le proprie radici nel Tredicesimo secolo e giunge a compimento nel Diciannovesimo secolo. Questa particolare forma di stato, che diventerà nel lessico comune lo Stato tout court, è quella criticata aspramente dall'anarchismo e si caratterizza, al suo concreto sorgere agli albori del secolo Diciannovesimo, attraverso tre momenti che fanno sì che lo Stato sia, per usare la nota espressione di Max Weber, il monopolizzatore delle forza legittima.

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