Pietrino Arixi

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Pietrino Arixi

Pietrino Arixi (Villasor [?], Cagliari, 1922 - Villasor [?], Cagliari, 1996) è stato un anarchico italiano e un'importante figura dell'anarchismo sardo. A causa di alcune sue coraggiose prese di posizione contro l'autoritarismo e la guerra subì le persecuzioni della “giustizia” che lo condannò a lunghi periodi di internamento in alcuni famigerati istituti psichiatrici.

Biografia

Pietrino Arixi nasce nel 1922 in una famiglia di Villasor, un piccolo paese ubicato a circa 25 km da Cagliari. Di origine molto povera, sperimenta sin da bambino le fatiche del lavoro, esperienza che all'epoca era del resto comune a molti altri suoi coetanei sardi (e non solo sardi), svolgendo i più svariati lavori: bracciante, spigolatore, servo pastore ecc. Tutto questo sino al momento di svolgere il servizio militare, in cui in lui affiora l'istintiva repulsione all'autoritarismo che non lo abbandonerà in tutta la sua vita: :«Ho sempre odiato il servizio militare, gli eserciti, i soldati e le guerre che scatenano».

Più avanti, dopo la caduta del fascismo nel 1943, svolge il ruolo di attendente nel campo degli americani, divenendo testimone diretto di tutta quell'umanità di povera gente che giungevano a chiedere l'elemosina ai “liberatori”:

«Ricordo che a chiedere l'elemosina agli americani venivano persone anche da Iglesias e non rare erano le ragazze che con essi si prostituivano».

Nel 1948 Arixi intenderebbe sposarsi, ma il prete del paese non vuole celebrare le nozze perché la futura moglie è incinta. La coppia prova a celebrare il matrimonio a Cagliari, ma anche nel capoluogo i due troveranno diversi ostacoli.

«Se avessi saputo prima che la vita dell'operaio è un inferno continuo non sarei entrato in chiesa neppure se mi avessero puntato il mitra in faccia».

Nel frattempo era soppravissuto lavorando come minatore, mietitore e bracciante. Proprio nel Sulcis [1], tra i minatori, conosce i primi elementi del pensiero anarchico, che in seguito approfondirà durante un lungo periodo di convalescenza trascorso in Svizzera, dove era emigrato in cerca di lavoro. È proprio in questa fase che inizia a leggere e raccogliere libri e riviste del movimento anarchico.

Desideroso di vivere l'anarchismo in prima persona, entra in contatto con gli anarchici di Genova e di Carrara. Nella cittadina toscana, vera e propria roccaforte anarchica, viene fermato dai carabinieri per un controllo. Trovato privo di documenti e con un libro anarchico in tasca, viene caricato con la forza su una camionetta, ma avendo opposto resistenza Arixi è definito “pazzo” e per questo condannato al ricovero coatto di 4 mesi nell'ospedale psichiatrico di Siena. Di quel periodo dirà in seguito:

«Muri spessi come non mai, inferriate alle finestre, personale dalla struttura mentale del secondino e completamente disumanizzati tanto che i rapporti che riescono a instaurare con i ricoverati non differiscono da quelli intercorrenti tra un allevatore di bestiame e gli animali allevati, con la sola differenza che le bestie, essendo materia produttrice di ricchezza, richiedono certe attenzioni e cure, al contrario dei malati di mente...».

Rientrato a Villasor, prosegue la sua difficile esistenza: bracciante, operaio e qualche lavoretto saltuario. Entra anche in contatto con l'anarchismo sardo, stringendo amicizia in particolare con Tomaso Serra e Costantino Cavalleri, e si impegna nello studio e ricerca di materiale anarchico. Si dedica con passione anche alla composizione di oltre 500 mutetus (poesie in limba sarda); nell'ottobre del 1971, mentre impazza la guerra in Vietnam, definita da Arixi «uno dei peggiori massacri che la storia possa mai ricordare», dà pubblicamente fuoco per protesta a 77 mila lire di pensione, poi, armato di due pistole giocattolo, entra nella chiesa del paese e minaccia un frate che là si trovava. Arrestato, spiega che il suo era solo un gesto simbolico per far capire quanto fosse brutto avere un'arma puntata addosso e quanto sia criminale la guerra.

«In pieno periodo di inquisizione –dice Arixi- il mio gesto avrebbe comportato la condanna alla pena capitale. In regime democratico (?) si agisce in maniera più pulita e si ricorre o alla galera o al manicomio». Così è. Infatti viene ricoverato nel manicomio cagliaritano di Villa Clara, da cui però riesce a fuggire e ad inscenare una clamorosa e drammatica protesta contro la guerra: raggiunta la centrale piazza Yenne di Cagliari, si cosparge di benzina e si dà fuoco, proclamando il suo odio all'imperialismo. In seguito spiegherà il suo gesto dicendo: "Io sono un prigioniero, un incompreso: come Galileo Galilei, come Silvio Pellico. Sono una vittima del sistema come Jan Palach. Volevo bruciare: l'ho fatto per dimostrare la mia innocenza"».

Nonostante le gravi ustioni riesce a salvarsi, ma è nuovamente ricoverato in ospedale psichiatrico. Una volta dimesso riprende la solita difficile vita con la moglie, con cui alla fine era riuscito a legarsi ufficialmente, e i figli. Per mettere insieme un pasto decente, Pietrino Arixi spesso si reca nelle campagne del paese alla ricerca di lumache («Uno dei pasti più economici per i poveri come noi»). Ed è proprio durante una di queste ricerche che rinviene un'ascia nuragica, ingenerando in lui una nuova passione: l'archeologia. In pochi anni, da solo, scopre ben 35 siti (punici, romani, nuragici e prenuragici) e ritrova almeno 2000 reperti, che cataloga, studia e confronta da autodidatta. La sua idea è quella di «raccogliere quanti più reperti possibile per poi fare una unica donazione al Comune di Villasor, con la sola clausola di istituire un museo archeologico nel paese e sotto tale spinta costringere chi di dovere a intraprendere le ricerche necessarie per riportare in luce tutta la ricchezza archeologica della zona», ma nel 1980, scoperto dai carabinieri (Pietrino non faceva mistero in paese della sua passione...), è arrestato e trattenuto nel carcere cagliaritano di Buoncammino per 8 giorni ed in seguito condannato con la condizionale a 4 mesi e una multa.

In un primo momento le forze dell'ordine gli sequestrano tutti i reperti ritrovati, ma una volta restituiti si accorge però che alcuni "pezzi" sono incredibilmente e “misteriosamente” scomparsi (rubati?). Arixi, che nel frattempo prosegue la sua militanza anarchica, non demorde e riprende con passione le proprie ricerche archeologiche, riuscendo ad accumulare in un anno almeno 25 000 reperti. Questa volta documenta con una telecamera quanto è in suo possesso, dichiarando la propria disponibilità a donare tutto al comune di Villasor, a patto che si desse vita ad un museo apposito, ma «con queste cautele nessuno si è precipitato in casa a far man bassa degli oggetti: nessuno ha avuto tanta fretta, come invece avvenne la prima volta».

Coerentemente con il suo spirito antiautoritario, l'anarchico di Villasor dimostra il lassismo delle istituzioni e la loro scarsa voglia di difendere, al di là degli slogan, il proprio patrimonio naturale e culturale: «Possibile che un pazzo come me riesca a salvare dalla distruzione del tempo e degli eventi naturali, nonché dalla distruzione (...) degli uomini (...) migliaia di cocci e reperti, ma una volta che tali reperti finiscono nelle mani della gente "sana" (...) nonché "onesta" e retribuita (...) è possibile che tali reperti vengano dispersi in un semplice trasferimento?».

Nel 1994 i beni gli vengono ritirati. Nell'estate del 1996, a 74 anni, dopo una vita difficile e al limite dell'emarginazione sociale, Pietrino Arixi muore senza però aver visto la realizzazione del museo in cui avrebbe dovuto trovar posto tutto il materiale archeologico in suo possesso. Al contrario, tutto il materiale sull'anarchismo in suo possesso (libri, articoli, riviste ecc.) confluirà in S'arkiviu-bibrioteka "T. Serra" di Guasila [2], che era stata messa in piedi dall'anarchico Tomaso Serra.

Note

Opere

  • Il ribelle dell'anarchia (vita e pensiero di un anarchico sardo), Editziones Arkiviu - "Bibrioteka Tomaso Serra" di Guasila.

Voci correlate

Collegamenti esterni

Intervista a Pietrino Arixi: prima parte - seconda parte - terza parte - quarta parte