Anarcopedia:Archivio Testo Consigliato
La bandiera nera è il simbolo dell'Anarchia. Essa provoca reazioni che vanno dall'orrore alla delizia tra quelli che la riconoscono. Cercate di capire cosa significa e preparatevi a vederla sempre più spesso in pubblico... Gli Anarchici sono contro tutti i governi perché credono che la libera ed informata volontà dell'individuo sia la vera forza dei gruppi e della stessa società. Gli Anarchici credono nell'iniziativa e nella responsabilità individuali e nella completa cooperazione dei gruppi composti di liberi individui. I governi sono l'opposto di questi ideali, dato che si fondano sulla forza bruta e la frode deliberata per imporre il controllo dei pochi sui molti. Che questo processo crudele e fraudolento sia giustificato da concetti come il diritto divino, elezioni democratiche, o un governo rivoluzionario del popolo conta poco per gli Anarchici. Noi rigettiamo l'intero concetto stesso di governo e ci affidiamo in modo radicale alla capacità di risoluzione dei problemi propria di ogni uomo libero. Perché la bandiera nera? Il nero è il colore della negazione. La bandiera nera è la negazione di tutte le bandiere. È la negazione dell'idea di nazione che mette la razza umana contro se stessa e nega l'unità di tutta l'umanità. Il colore nero è il colore del sentimento di rabbia e indignazione nei confronti di tutti i crimini compiuti nel nome dell'appartenenza allo stato. È la rabbia e l'indignazione contro l'insulto all'intelligenza umana insito nelle pretese, ipocrisie e bassi sotterfugi dei governi... Il nero è anche il colore del lutto; la bandiera nera che cancella le nazioni è anche simbolo di lutto per le loro vittime, i milioni assassinati nelle guerre, esterne ed interne, a maggior gloria e stabilità di qualche maledetto stato. È a lutto per quei milioni il cui lavoro è derubato (tassato) per pagare le stragi e l'oppressione di altri esseri umani. È a lutto non solo per la morte del corpo, ma anche per l'annullamento dello spirito sotto sistemi autoritari e gerarchici. È a lutto per i milioni di cellule grigie spente senza dar loro la possibilità di illuminare il mondo. È il colore di una tristezza inconsolabile... Ma il nero è anche meraviglioso. È il colore della determinazione, della risoluzione, della forza, un colore che definisce e chiarifica tutti gli altri. Il colore nero è il mistero che circonda la germinazione, la fertilità, il suolo fertile che nutre nuova vita che continuamente si evolve, rinnova, rinfresca, e si riproduce nel buio. Il seme nascosto nella terra, lo strano viaggio dello sperma, la crescita segreta dell'embrione nel grembo materno - il colore nero circonda e protegge tutte queste cose... Così il colore nero è negazione, rabbia, indignazione, lutto, bellezza, speranza, è il nutrimento e il riparo per nuove forme di vita e di relazioni sulla e con la terra. La bandiera nera significa tutte queste cose. Noi siamo orgogliosi di portarla, addolorati di doverlo fare, e speriamo nel giorno nel quale questo simbolo non sarà più necessario. |
La questione se il patriottismo sia incompatibile con l'amore dell'umanità, non può essere trattato senza un'adeguata premessa. Che cosa è "il patriottismo" nella sua accezione veramente popolare, implicitamente inteso nel senso etimologico? È l'amore esclusivo alla patria, sentimento che si completa con un corrispondente odio verso le patrie straniere. E cos'è la patria? Un territorio grande o piccolo, chiaramente delimitato da frontiere di origine diversa, barriere naturali, artificiali o semplici linee tracciate dalla volontà di qualcuno, prima sulla carta e poi traslate sul terreno. Partendo da queste definizioni che certamente corrispondono all'idea generale delle masse, come d'altronde definito dalle diplomazie, dai regimi militari e dal sistema fiscale, si deve riconoscere che la patria e il suo derivato, il patriottismo, sono una deplorevole sopravvivenza, il prodotto di un egoismo aggressivo che può solo portare alla rovina delle migliori opere umane e allo sterminio degli uomini. Ma il popolo è sincero e dietro la parola "patria" ha inteso mille cose dolci e belle che non implicano in maniera alcuna la divisione della terra in parcelle nemiche. Il dolce profumo della terra natale, le figure sorridenti dei vecchi che ci hanno amato, i cari ricordi di scuola e gli studi con bravi colleghi, le azioni intraprese in comune durante la gioventù e soprattutto la favola che risuonò prima nel nostro orecchio, e in cui abbiamo udito le parole che hanno condizionato la nostra vita. Tutto questo è patrimonio naturale di ogni uomo in qualsiasi parte del mondo in cui si trovi la sua origine, tutto questo è anteriore all'idea di una patria limitata, ed è puro sofismo collegare questi sentimenti con l'esistenza di un effimero reticolato che affetta la rotondità del nostro pianeta. C'è al contrario totale antagonismo tra i primi sentimenti che ci legano alla terra e alla società umana, e tutti gli ostacoli che impediscono la libera formazione dei gruppi umani, che intendono limitare quello che per la natura delle cose non è limitabile, come l'empatia tra gli uomini, il loro spirito di mutua benevolenza e di solidarietà. Storicamente, la patria fu sempre cattiva e funesta. Fu sempre un dominio, rivendicato come proprietà esclusiva da un padrone assoluto o da un gruppo di padroni organizzati gerarchicamente, o, come ai giorni nostri, da un gruppo di classi dirigenti e privilegiate. Sempre, per quanto guardiamo al passato, troviamo che i pacifici cittadini hanno dovuto, in nome di una patria dalle frontiere sempre diverse, lavorare, pagare e combattere, sempre oppressi dai parassiti, re, signori, guerrieri, giudici, diplomatici e milionari. E furono questi parassiti in lotta con altre bande a segnare le barriere di separazione tra popoli vicini, fratelli grazie agli interessi comuni. Per difendere o espandere queste assurde delimitazioni si sono susseguite guerre alle guerre: era chiaro che i segnali di confine dovessero essere installati tra i cadaveri, come un tempo lo erano le porte delle città. Al giorno d'oggi, le frontiere sono più funeste che mai, anche se sono più spesso attraversate, perché protette con maggior metodo, più scientificamente che nel passato da fortificazioni, stazioni doganali e guardie mobili. Se il commercio pretende di svilupparsi sotto l'impulso di bisogni vitali, si verifica solo dopo lunghe discussioni tra gli stati e la costruzione di grandi opere militari. La zona di divisione è suddivisa per tutta la sua lunghezza; e con incessanti intrighi, con l'aiuto di veri crimini, nascono odi tremendi su entrambi i lati della fittizia frontiera, tracciata lungo un torrente, nei boschi e nei prati. Ora dobbiamo affermare questo fatto scandaloso, cioè che nel secolo delle locomotive e dei motocicli di tutte le specie non ci sia una sola linea ferroviaria tra Francia e Spagna e nemmeno una strada carreggiabile che attraversi i Pirenei. Nonostante la geografia, non si vuole che due nazioni siano vicine, non si vuole che, cessando di essere patrie diverse, diventino uno stesso paese della stessa famiglia unita. Il vasto mondo appartiene a noi e noi apparteniamo al mondo. Abbasso tutti i confini, i simboli di dominio e di odio. Corriamo infine ad abbracciare tutti gli uomini e chiamiamoci fratelli. |
Lo Stato non è la patria è una lettera di Michail Bakunin indirizzata ai compagni anarchici italiani. «La gioventù mazziniano-garibaldina non s'era mai posta questa domanda: che rappresenta effettivamente un tale Stato italiano pel popolo? Perché mai deve amarlo e tutto a lui sacrificare? Quando si faceva questa domanda a Mazzini - e ciò non accadeva che raramente, tanto sembrava semplice e facile - egli rispondeva con gran parole: «Patria donata da Dio! Santa missione storica! Culto delle tombe! Ricordo solenne dei martiri! Lungo e glorioso sviluppo delle tradizioni! Roma antica! Roma dei papi! Gregorio VIII! Dante! Savonarola! Roma del popolo!». Tutto ciò era così nebuloso, così bello, e nel medesimo tempo sì assurdo, da essere sufficiente per abbagliare e stordire i giovani spiriti, più adatti d'altronde all'entusiasmo e alla fede che alla ragione e alla critica. E la gioventù italiana, mentre si faceva uccidere per questa Patria astratta, malediceva la brutalità e il materialismo delle masse, dei contadini in particolare, che mai si son mostrati disposti al sacrificio per la grandezza e per l'indipendenza di questa Patria politica, dello Stato. Se la gioventù si fosse data la briga di riflettere avrebbe capito, e forse da lungo tempo, che l'indifferenza ben netta delle masse popolari pel destino dello Stato italiano non solo non è un disonore per esse, ma prova, al contrario, d'una intelligenza istintiva che fa comprendere come questo Stato unitario e centralizzato sia, per sua natura, a loro estraneo, ostile, e proficuo solo, per le classi privilegiate di cui garantisce, a lor danno, il dominio e la ricchezza. La prosperità dello Stato è la miseria della nazione reale, del popolo; la grandezza e la potenza dello Stato è la schiavitù del popolo. Il popolo è il nemico naturale e legittimo dello Stato; e sebbene si sottometta - troppo sovente, ahimè - alle autorità, ogni forma di autorità gli è odiosa. Lo Stato non è la Patria; è l'astrazione, la finzione metafisica, mistica, politica, giuridica della Patria; ma si tratta di un amore naturale, reale; il patriottismo del popolo non è un'idea, ma un fatto; e il patriottismo politico, l'amore dello Stato, non è la giusta espressione di questo fatto, ma un'espressione snaturata per mezzo d'una menzognera astrazione, sempre a profitto di una minoranza che sfrutta. La Patria, la nazionalità, come l'individualità è un fatto naturale e sociale, fisiologico e storico al tempo stesso; non è un principio. Non si può definire principio umano che quello che è universale, comune a tutti gli uomini; ma la nazionalità li separa: non è, dunque, un principio. Principio è, invece, il rispetto che ognuno deve avere pei fatti naturali, reali o sociali. E la nazionalità, come l'individualità, è uno di questi fatti. Dobbiamo, dunque rispettarla. Violarla è un misfatto e, per parlare il linguaggio di Mazzini, diviene un sacro principio ogni volta che è minacciata e violata. Ed è per questo ch'io mi sento sempre e francamente il patriota di tutte le patrie oppresse. La Patria rappresenta il diritto incontestabile e sacro di tutti gli uomini, associazioni, comuni, regioni, nazioni, di vivere, pensare, volere, agire a loro modo e questo modo è sempre il risultato incontestabile di un lungo sviluppo storico». |
Nella letteratura critica sull'anarchismo, esiste un'opinione, largamente diffusa, secondo la quale l'anarchismo - che è la categorica negazione della società attuale e del diritto attuale - ha altresì una posizione negativa sul diritto in generale, anche nella futura società libertaria. È un'opinione assolutamente errata. È un'opinione assolutamente errata e l'errore poggia:
L'anarchismo s'è posto questo compito, di trovare cioè questo ordine sociale: «In cui non vi sarà alcun governo, alcun difensore della morale, né carcere, né carnefice, né ricco, né povero, in cui tutti saranno uguali nei diritti; fratelli che abbiano ciascuno la loro porzione quotidiana di fatica, che vivano d'accordo e d'amore non per la forza d'una legge obbligatoria che punisca severamente coloro che non ubbidiscano ad essa, ma per la forza dei rapporti reciproci, degli interessi dell'uno e dell'altro, per la forza dell'inevitabile legge della natura» (Reclus). Questo processo d'ipertrofia governativa e, come contracolpo, il rifiuto di accettare l'idea del potere, sono stati, ad esempio, bene espressi da Emile Durkheim: «Il potere governativo... tende ad inghiottire tutte le forme di attività che hanno carattere sociale, lasciando fuori soltanto il calore umano. Detto potere è costretto pertanto ad assumere un numero considerevole di funzioni per le quali non è adatto e che esso assolve in modo insufficiente. A più riprese si è rilevato che la sua esaltazione nell'assorbire tutto per suo conto è pari alla sua piena impotenza nel regolare la vita umana. Ne deriva lo sperpero enorme di forze e d'energia - e di ciò lo si accusa bene a ragione - che in realtà non corrisponde al risultato ottenuto. D'altra parte, gli uomini non obbediscono ad alcun'altra collettività che non sia lo Stato, perché lo Stato si proclama il solo organismo collettivo. Essi si abituano a guardare la società esclusivamente attraverso lo Stato, sempre in dipendenza dello Stato. Pertanto lo Stato si pone molto lontano da essi, resta sempre una cosa astratta e non può influenzarli da vicino ed in forma immediata. Ecco perché nel sentimento sociale dell'umanità non c'è né partecipazione cosciente, né sufficiente energia. In gran parte della vita degli uomini, intorno ad essi, non c'è nulla, non c'è che il vuoto. In queste condizioni, gli uomini sono trascinati inevitabilmente sia verso l'egoismo, sia verso l'anarchia». |