Strage di Torino (18-20 dicembre 1922): differenze tra le versioni

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Poco dopo mezzogiorno, l'incontro in Prefettura si concluse. Le autorità  decisero di non mobilitare le forze dell'ordine: « Dovevo essere proprio io - dichiarò poi il vice-questore - a correre l'alea di un sicuro conflitto e tentare di fare quello che in passato e in condizioni più favorevoli e più propizie non avevano voluto fare altri assai più autorevoli di me? ».  
Poco dopo mezzogiorno, l'incontro in Prefettura si concluse. Le autorità  decisero di non mobilitare le forze dell'ordine: « Dovevo essere proprio io - dichiarò poi il vice-questore - a correre l'alea di un sicuro conflitto e tentare di fare quello che in passato e in condizioni più favorevoli e più propizie non avevano voluto fare altri assai più autorevoli di me? ».  


Già: perché mai doveva essere proprio questo « servitore dello Stato » facente funzione di questore ad assicurare l'ordine pubblico? Giudicando con il senno di poi, è lecito ipotizzare che in quella riunione sia stato deciso, su istruzioni provenienti da Roma, di lasciare mano libera ai fascisti per una rappresaglia che servisse a dare una lezione ai « sovversivi » e a far capire, se ve ne fosse stato il bisogno, chi fosse ora a comandare nel Paese. Lo confermerebbe il telegramma inviato in serata allo stesso Tabusso da De Vecchi: « Per affetto che mi lega a Torino et miei fascisti et per sua nota energia raccomando ambito limiti istruzioni superiori massima energia anche evitare mia venuta deciso purificare et punire per sempre ».<ref>G. Carcano, cit., pp. 64-65.</ref> Insomma, queste criptiche istruzioni superiori sembravano prescrivere: ammazzate pure, ma senza esagerare.  
Già: perché mai doveva essere proprio questo « servitore dello Stato » facente funzione di questore ad assicurare l'ordine pubblico? Giudicando con il senno di poi, è lecito ipotizzare che in quella riunione sia stato deciso, su istruzioni provenienti da Roma, di lasciare mano libera ai fascisti per una rappresaglia che servisse a dare una lezione ai « sovversivi » e a far capire, se ve ne fosse stato il bisogno, chi fosse ora a comandare nel Paese. Lo confermerebbe il telegramma inviato in serata allo stesso Tabusso da De Vecchi: « Per affetto che mi lega a Torino et miei fascisti et per sua nota energia raccomando ambito limiti istruzioni superiori massima energia anche evitare mia venuta deciso purificare et punire per sempre ». <ref>G. Carcano, cit., pp. 64-65.</ref> Insomma, queste criptiche istruzioni superiori sembravano prescrivere: ammazzate pure, ma senza esagerare.  


=== Carlo Berruti ===
=== Carlo Berruti ===
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Verso le 13 una diecina di fascisti della squadra « Enrico Toti » - che avevano già  devastato la casa di Maria e Carlo Berruti, alla ricerca di quest'ultimo - entrarono nell'ufficio delle Ferrovie di corso Re Umberto 48, all'angolo con via Valeggio: data l'ora, c'era poca gente. Prelevarono [[Carlo Berruti]], segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, e il socialista Carlo Fanti, li caricarono in una macchina scoperta e li portarono davanti al Fascio torinese. Qui arrivò un giovane ed elegante fascista: salì al posto del Fanti, che venne rilasciato e poté allontanarsi.  
Verso le 13 una diecina di fascisti della squadra « Enrico Toti » - che avevano già  devastato la casa di Maria e Carlo Berruti, alla ricerca di quest'ultimo - entrarono nell'ufficio delle Ferrovie di corso Re Umberto 48, all'angolo con via Valeggio: data l'ora, c'era poca gente. Prelevarono [[Carlo Berruti]], segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, e il socialista Carlo Fanti, li caricarono in una macchina scoperta e li portarono davanti al Fascio torinese. Qui arrivò un giovane ed elegante fascista: salì al posto del Fanti, che venne rilasciato e poté allontanarsi.  


La macchina ripartì in direzione di Nichelino e si fermò in aperta campagna, non lontano dalla linea ferroviaria. A cento metri di distanza, sui pali dell'alta tensione stavano lavorando alcuni operai delle Ferrovie, che poterono così osservare tutta la scena. Tra di loro era il diciottenne comunista [[Gustavo Comollo]]:<ref>Detto Pietro: su di lui cfr. la [http://www.anpi.it/uomini/comollo_gustavo.htm nota biografica dell'ANPI].</ref> « I fascisti erano tre o quattro. Scesero spingendo avanti uno, lo fecero andare per un sentiero e lui camminò tranquillo senza voltarsi [...] gli spararono tre o quattro colpi nella schiena [...] lui cadde giù. Ricordo che cadde lentamente. In fretta quelli salirono sull'auto e sparirono a gran velocità  [...] Dopo un poco ci siamo avvicinati. Alcuni amici dissero che c'era Mariotti su quella macchina [...] forse c'era anche il traditore Porro [...] poi è venuta della gente e anche i carabinieri [...] Berruti restò un bel po' steso per terra ».<ref>In G. Carcano, cit., pp. 59-60.</ref>
La macchina ripartì in direzione di Nichelino e si fermò in aperta campagna, non lontano dalla linea ferroviaria. A cento metri di distanza, sui pali dell'alta tensione stavano lavorando alcuni operai delle Ferrovie, che poterono così osservare tutta la scena. Tra di loro era il diciottenne comunista [[Gustavo Comollo]]:<ref>Detto Pietro: su di lui cfr. la [http://www.anpi.it/uomini/comollo_gustavo.htm nota biografica dell'ANPI].</ref> « I fascisti erano tre o quattro. Scesero spingendo avanti uno, lo fecero andare per un sentiero e lui camminò tranquillo senza voltarsi [...] gli spararono tre o quattro colpi nella schiena [...] lui cadde giù. Ricordo che cadde lentamente. In fretta quelli salirono sull'auto e sparirono a gran velocità  [...] Dopo un poco ci siamo avvicinati. Alcuni amici dissero che c'era Mariotti su quella macchina [...] forse c'era anche il traditore Porro [...] poi è venuta della gente e anche i carabinieri [...] Berruti restò un bel po' steso per terra ». <ref>In G. Carcano, cit., pp. 59-60.</ref>


Dante Mariotti era il comandante della squadra « Enrico Toti »,<ref>Notizie sulla composizione delle squadre fasciste sono contenute in Dante Maria Tuninetti, ''Squadrismo, squadristi, piemontesi'', Roma, Pinciana 1942.</ref> mentre « il traditore » era Luigi Porro, figlio di Carlo, uno degli inetti generali dello Stato Maggiore rimossi dopo il disastro di Caporetto. Nel 1921 quel giovane studente d'ingegneria si era iscritto al Partito comunista, ma l'anno dopo era tornato nel più congegnale ambiente della canaglia fascista. Secondo tutte le testimonianze, anche di parte fascista, in quei giorni il Porro indicò i comunisti da colpire.<ref>Lo squadrista e poi repubblichino F. G., importante esponente del fascismo piemontese che non volle che fosse pubblicato il suo nome in un'intervista concessa nel 1972, dichiarò che in quei giorni il Porro, appartenente alla squadra « Enrico Toti » indicò delle persone, ma  « non ammazzò nessuno ». Va tenuto conto che quando l'intervista fu rilasciata l'ingegner Luigi Porro, dirigente d'azienda, era ancora vivo. Cfr. G. Carcano, cit., p. 112.</ref> Secondo [[Teresa Noce]],<ref>Al tempo, giovane operaia comunista che poi sposò Luigi Longo e divenne una dirigente di primo piano del PCI.</ref> il Porro comandò un gruppo di fascisti che era alla ricerca di [[Luigi Longo]], suo compagno di corso all'Università, entrando nel negozio della famiglia Longo, nella centrale via Po, per assassinarlo, ma Longo si trovava allora a Mosca.<ref>G. Carcano, cit., p. 115.</ref>
Dante Mariotti era il comandante della squadra « Enrico Toti »,<ref>Notizie sulla composizione delle squadre fasciste sono contenute in Dante Maria Tuninetti, ''Squadrismo, squadristi, piemontesi'', Roma, Pinciana 1942.</ref> mentre « il traditore » era Luigi Porro, figlio di Carlo, uno degli inetti generali dello Stato Maggiore rimossi dopo il disastro di Caporetto. Nel 1921 quel giovane studente d'ingegneria si era iscritto al Partito comunista, ma l'anno dopo era tornato nel più congegnale ambiente della canaglia fascista. Secondo tutte le testimonianze, anche di parte fascista, in quei giorni il Porro indicò i comunisti da colpire. <ref>Lo squadrista e poi repubblichino F. G., importante esponente del fascismo piemontese che non volle che fosse pubblicato il suo nome in un'intervista concessa nel 1972, dichiarò che in quei giorni il Porro, appartenente alla squadra « Enrico Toti » indicò delle persone, ma  « non ammazzò nessuno ». Va tenuto conto che quando l'intervista fu rilasciata l'ingegner Luigi Porro, dirigente d'azienda, era ancora vivo. Cfr. G. Carcano, cit., p. 112.</ref> Secondo [[Teresa Noce]],<ref>Al tempo, giovane operaia comunista che poi sposò Luigi Longo e divenne una dirigente di primo piano del PCI.</ref> il Porro comandò un gruppo di fascisti che era alla ricerca di [[Luigi Longo]], suo compagno di corso all'Università, entrando nel negozio della famiglia Longo, nella centrale via Po, per assassinarlo, ma Longo si trovava allora a Mosca. <ref>G. Carcano, cit., p. 115.</ref>


Il vice-prefetto Palumbo provvide a comunicare al ministro dell'Interno, che era poi Mussolini, la nota sull'accaduto, si direbbe con qualche brivido di compiacimento e molte inesattezze: « Il Berruti pericoloso anarchico schedato ch'ebbe già  a soggiornare in Svizzera ed in Inghilterra, e qui conviveva con altra nota sovversiva ».
Il vice-prefetto Palumbo provvide a comunicare al ministro dell'Interno, che era poi Mussolini, la nota sull'accaduto, si direbbe con qualche brivido di compiacimento e molte inesattezze: « Il Berruti pericoloso anarchico schedato ch'ebbe già  a soggiornare in Svizzera ed in Inghilterra, e qui conviveva con altra nota sovversiva ».
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Durante l'irruzione in quell'osteria alcuni avventori erano fuggiti: uno di questi si rifugiò nella sua casa vicina, in via Nizza 279, ma fu inseguito, raggiunto nel suo appartamento, e ucciso con quattro colpi di pistola alla testa. Il cadavere fu caricato sul camion dei fascisti e scaricato in periferia, alla prima campagna che allora si apriva nel fondo di via San Paolo.  
Durante l'irruzione in quell'osteria alcuni avventori erano fuggiti: uno di questi si rifugiò nella sua casa vicina, in via Nizza 279, ma fu inseguito, raggiunto nel suo appartamento, e ucciso con quattro colpi di pistola alla testa. Il cadavere fu caricato sul camion dei fascisti e scaricato in periferia, alla prima campagna che allora si apriva nel fondo di via San Paolo.  


Senza documenti, quell'uomo vestito di una tuta da operaio fu riconosciuto solo qualche giorno dopo. Si chiamava Giovanni Massaro, aveva 34 anni: aveva lavorato come manovale delle Ferrovie, ma aveva perso il lavoro perché soffriva di turbe psichiche e ogni tanto doveva essere ricoverato in manicomio. Un povero diavolo, insomma: « anche per il probabile stato di turbamento in cui egli poté trovarsi a causa della propria demenza, lo catturarono e lo uccisero ».<ref>Dalla relazione dell'inchiesta Gasti-Giunta.</ref>
Senza documenti, quell'uomo vestito di una tuta da operaio fu riconosciuto solo qualche giorno dopo. Si chiamava Giovanni Massaro, aveva 34 anni: aveva lavorato come manovale delle Ferrovie, ma aveva perso il lavoro perché soffriva di turbe psichiche e ogni tanto doveva essere ricoverato in manicomio. Un povero diavolo, insomma: « anche per il probabile stato di turbamento in cui egli poté trovarsi a causa della propria demenza, lo catturarono e lo uccisero ». <ref>Dalla relazione dell'inchiesta Gasti-Giunta.</ref>


=== Matteo Chiolero ===
=== Matteo Chiolero ===
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Brandimarte confermava, infine, che il capo « del fascismo torinese è l'on. De Vecchi. Egli ci ha telegrafato, come è noto, per condividere in pieno la responsabilità  della nostra azione »<ref>G. Carcano, cit., pp. 98-99.</ref>.
Brandimarte confermava, infine, che il capo « del fascismo torinese è l'on. De Vecchi. Egli ci ha telegrafato, come è noto, per condividere in pieno la responsabilità  della nostra azione »<ref>G. Carcano, cit., pp. 98-99.</ref>.


Dunque, Brandimarte e De Vecchi sono sicuramente i responsabili dell'eccidio. Nessuno ha mai indicato come superiore mandante il nome di Mussolini. Si sa che egli telefonò al prefetto di Torino, un giorno immediatamente successivo alla strage: « Come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzati di più; come capo del governo debbo ordinare che vengano rilasciati i comunisti arrestati ».<ref>« Il Risorgimento », 1 maggio 1925.</ref>
Dunque, Brandimarte e De Vecchi sono sicuramente i responsabili dell'eccidio. Nessuno ha mai indicato come superiore mandante il nome di Mussolini. Si sa che egli telefonò al prefetto di Torino, un giorno immediatamente successivo alla strage: « Come capo del fascismo mi dolgo che non ne abbiano ammazzati di più; come capo del governo debbo ordinare che vengano rilasciati i comunisti arrestati ». <ref>« Il Risorgimento », 1 maggio 1925.</ref>


Un'interessante testimonianza è quella da Federico Picolotti.<ref>Rilasciata a l'«Avanti!» il 21 marzo 1947.</ref> Socialista, operaio della FIAT, il 19 o 20 dicembre 1922 fu convocato in direzione, dove si trovò di fronte Giovanni Agnelli, altri due dirigenti, e Pietro Brandimarte, rivestito della sua brava divisa nera e grigio-verde con stivaloni e frustino. Questi gli chiese a quale partito appartenesse e alla risposta del Picolotti, dopo aver scorso dei nomi scritti su un suo taccuino, disse che il suo nome non era compreso « tra quelli da ammazzare ». Si offrì di concedergli un salvacondotto, dal momento che i suoi fascisti lo stavano cercando, e si congedò. A quel punto Agnelli rassicurò l'operaio, perché della questione avrebbe parlato con Mussolini. Qualche giorno dopo gli riferì di stare tranquillo, che « nessuno ''gli'' avrebbe fatto del male ».
Un'interessante testimonianza è quella da Federico Picolotti. <ref>Rilasciata a l'«Avanti!» il 21 marzo 1947.</ref> Socialista, operaio della FIAT, il 19 o 20 dicembre 1922 fu convocato in direzione, dove si trovò di fronte Giovanni Agnelli, altri due dirigenti, e Pietro Brandimarte, rivestito della sua brava divisa nera e grigio-verde con stivaloni e frustino. Questi gli chiese a quale partito appartenesse e alla risposta del Picolotti, dopo aver scorso dei nomi scritti su un suo taccuino, disse che il suo nome non era compreso « tra quelli da ammazzare ». Si offrì di concedergli un salvacondotto, dal momento che i suoi fascisti lo stavano cercando, e si congedò. A quel punto Agnelli rassicurò l'operaio, perché della questione avrebbe parlato con Mussolini. Qualche giorno dopo gli riferì di stare tranquillo, che « nessuno ''gli'' avrebbe fatto del male ».


=== L'amnistia ===
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