Strage di Torino (18-20 dicembre 1922): differenze tra le versioni

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== L'agguato ==
== L'agguato ==


[[Francesco Prato]]<ref>Esiste, nell'antifascismo italiano, un omonimo Francesco Prato (Mondovì, 4 maggio 1894 - Vicoforte di Mondovì, 29 aprile 1945), ucciso dai Tedeschi. Cfr. la biografia dell'[http://www.anpi.it/uomini/prato_francesco.htm ANPI]. Da notare che i due Prato sarebbero stati entrambi « Guardie rosse » e avrebbero svolto attività  di difesa della sede de « L'Ordine Nuovo »: non sembra impossibile che vi sia stata una confusione nella loro biografia di quegli anni.</ref> era nato nel [[1889]] a Valmacca, in provincia di Alessandria. Era venuto a Torino giovanissimo, abitava a pensione in corso Spezia, nel quartiere operaio di Barriera Nizza, e aveva trovato lavoro come bigliettaio dei tram. Socialista, nel [[1921]] aveva aderito al Partito comunista. Come scrisse due anni dopo un giornalista de « [[l'Unità ]] » il Prato, « temperamento audace, battagliero, insofferente d'ogni sopruso e d'ogni prepotenza, incuteva timore agli stessi [[fascismo|fascisti]]. Ovunque si trattava di difendere dei compagni o delle istituzioni proletarie dalle violenze delle camicie nere, il Prato si trovava in prima linea ». Odiato dai [[fascismo|fascisti]], sapeva che la sua vita, nelle condizioni dell'Italia di allora, era legata a un filo: « e alla pelle Prato ci pensò. Non cessò mai la sua attività  politica ma, ad ogni buon conto, non uscì mai senza la rivoltella in tasca »<ref>Mario Segre, « l'Unità  », 5 agosto 1924.</ref>.  
[[Francesco Prato]]<ref>Esiste, nell'antifascismo italiano, un omonimo Francesco Prato (Mondovì, 4 maggio 1894 - Vicoforte di Mondovì, 29 aprile 1945), ucciso dai Tedeschi. Cfr. la biografia dell'[http://www.anpi.it/uomini/prato_francesco.htm ANPI]. Da notare che i due Prato sarebbero stati entrambi « Guardie rosse » e avrebbero svolto attività  di difesa della sede de « L'Ordine Nuovo »: non sembra impossibile che vi sia stata una confusione nella loro biografia di quegli anni.</ref> era nato nel [[1889]] a Valmacca, in provincia di Alessandria. Era venuto a Torino giovanissimo, abitava a pensione in corso Spezia, nel quartiere operaio di Barriera Nizza, e aveva trovato lavoro come bigliettaio dei tram. Socialista, nel [[1921]] aveva aderito al Partito comunista. Come scrisse due anni dopo un giornalista de « [[l'Unità]] » il Prato, « temperamento audace, battagliero, insofferente d'ogni sopruso e d'ogni prepotenza, incuteva timore agli stessi [[fascismo|fascisti]]. Ovunque si trattava di difendere dei compagni o delle istituzioni proletarie dalle violenze delle camicie nere, il Prato si trovava in prima linea ». Odiato dai [[fascismo|fascisti]], sapeva che la sua vita, nelle condizioni dell'Italia di allora, era legata a un filo: « e alla pelle Prato ci pensò. Non cessò mai la sua attività  politica ma, ad ogni buon conto, non uscì mai senza la rivoltella in tasca »<ref>Mario Segre, « l'Unità  », 5 agosto 1924.</ref>.  


La sera del [[17 dicembre]] [[1922]], una fredda e nebbiosa domenica, il Prato, mentre, concluso il suo turno di lavoro, stava andando a trovare la fidanzata, fu atteso per strada da tre fascisti che gli spararono colpendolo a una gamba. Si difese sparando a sua volta, ferendone mortalmente due, il ferroviere Giuseppe Dresda e lo studente Lucio Bazzani, mentre il terzo, l'artigiano Carlo Camerano, rimasto solo leggermente ferito, si dava alla fuga correndo ad avvisare dell'accaduto i suoi camerati. Prato trovò rifugio in casa di amici dove, tenuto sempre nascosto, qualche giorno dopo un medico dell'Alleanza Cooperativa l'operò estraendogli il proiettile e ingessandolo. La vita del Prato non valeva più niente in Italia e il Partito decise di farlo espatriare: il [[17 febbraio]] [[Paolo Robotti]] e le sorelle [[Rita Montagnana|Rita]] ed [[Elena Montagnana]] lo portarono in auto a [[Milano]] da dove altri compagni lo trasferirono in [[Svizzera]], a Zurigo, e di qui in [[Unione Sovietica]], dove passerà  il resto della vita.  Morirà  nel 1943 in un gulag staliniano.
La sera del [[17 dicembre]] [[1922]], una fredda e nebbiosa domenica, il Prato, mentre, concluso il suo turno di lavoro, stava andando a trovare la fidanzata, fu atteso per strada da tre fascisti che gli spararono colpendolo a una gamba. Si difese sparando a sua volta, ferendone mortalmente due, il ferroviere Giuseppe Dresda e lo studente Lucio Bazzani, mentre il terzo, l'artigiano Carlo Camerano, rimasto solo leggermente ferito, si dava alla fuga correndo ad avvisare dell'accaduto i suoi camerati. Prato trovò rifugio in casa di amici dove, tenuto sempre nascosto, qualche giorno dopo un medico dell'Alleanza Cooperativa l'operò estraendogli il proiettile e ingessandolo. La vita del Prato non valeva più niente in Italia e il Partito decise di farlo espatriare: il [[17 febbraio]] [[Paolo Robotti]] e le sorelle [[Rita Montagnana|Rita]] ed [[Elena Montagnana]] lo portarono in auto a [[Milano]] da dove altri compagni lo trasferirono in [[Svizzera]], a Zurigo, e di qui in [[Unione Sovietica]], dove passerà  il resto della vita.  Morirà  nel 1943 in un gulag staliniano.
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