Carmelo Bene: differenze tra le versioni

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== Cenni biografici, teatrografici, cinematografici e bibliografici ==
== Cenni biografici, teatrografici, cinematografici e bibliografici ==
Carmelo Bene nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel [[1937]]. A vent'anni, dopo gli studi classici, approda all'Accademia di Arte Drammatica Silvio D'Amico, ma la lascia dopo un anno, convinto della sua inutilità. Nel [[1959]] debutta come protagonista del ''Caligola'' di [[Albert Camus]] per la regia di Alberto Ruggero. Dopo questa esperienza Carmelo Bene diventa regista di sé: reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, comincia il suo massacro dei classici: di questi anni sono ''Pinocchio'' ([[1961]]), ''Amleto'' ([[1961]]), ''Salomè'' ([[1964]]), ''Il Rosa e il Nero'' ([[1967]]). Scoppia il caso Carmelo Bene: egli viene considerato un affabulatore, un presuntuoso "massacratore" dalla critica, mentre l'intellighenzia dell'epoca (da Moriavia a Pasolini, a Flaiano) lo ritiene un vero genio. Ai suoi critici Bene risponde mettendo in atto una serie di critiche alla critica, articoli, interviste televisive, e pubblicherà nel [[1972]] il libro ''L'orecchio mancante''. Del [[1965]] esce il suo romanzo paradossale ''Nostra signora dei Turchi'', che l'anno dopo Bene mette in scena. Nel [[1968]] ''Nostra signora dei Turchi'' diventa anche un film, che, mentre vince il premio speciale della giuria a Venezia, genera tumulti durante la visione in alcune sale. Si apre la parentesi del cinema di Carmelo Bene: ''Capricci'' ([[1969]]) e ''Don Giovanni'' ([[1970]]), ''Salomé'' ([[1972]]) e ''Un Amleto di meno'' ([[1973]]). Dopo la meteora cinematografica (che verrà ripresa, per così dire, in alcuni lavori televisivi), Bene ritorna al teatro: negli anni settanta egli ottiene un tangibile successo anche di pubblico con ''La cena delle beffe'' ([[1974]]), ''Amleto'' ([[1975]]), ''Romeo e Giulietta'' ([[1976]]), ''S.A.D.E.'' ([[1977]]) e ''Manfred'' ([[1979]]), che segna l'inizio del suo periodo concertistico. Del [[1979]] è anche un ''Otello'' televisivo, il cui restauro e montaggio inizieranno soltanto nel [[2001]]. Nel [[1981]], con la ''Lectura'' dalla Torre degli Asinelli di Bologna, Bene porta la lettura della ''Divina Commedia'' davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Nell'estate del [[1982]] scrive ''Sono apparso alla Madonna''. Seguono in teatro ''Macbeth'' ([[1983]]), ''Egmont'' ([[1983]]), ''Adelchi'' ([[1984]]), ''Lorenzaccio'' ([[1986]]). Nel [[1987]] Carmelo Bene recita a recanati i ''Canti'' di Leopardi e va in scena con ''Hommelette for Hamlet''. Nel [[1988]] viene nominato clamorosamente direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia, suscitando non poche polemiche. La vicenda finirà poi per degenerare in querele, contro-querele e ricorsi per un'intricata faccenda di competenze e responsabilità. Del [[1989]] è ''Pentesilea'', del [[1990]] il libro ''Il teatro senza spettacolo'', del [[1994]] ''Hamlet Suite''. Nel [[2000]] con la pubblicazione del poema ''<nowiki>'</nowiki>l mal de' fiori'' viene acclamato "poeta dell'impossibile" dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale. Lo stesso anno l'attore affida, tramite pubblico testamento, i diritti delle sue opere alla fondazione l'''Immemoriale di Carmelo Bene''. Il [[16 marzo]] del [[2002]] Carmelo Bene muore a Roma.
Carmelo Bene nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel [[1937]]. A vent'anni, dopo gli studi classici, approda all'Accademia di Arte Drammatica Silvio D'Amico, ma la lascia dopo un anno, convinto della sua inutilità. Nel [[1959]] debutta come protagonista del ''Caligola'' di [[Albert Camus]] per la regia di Alberto Ruggero. Dopo questa esperienza Carmelo Bene diventa regista di sé: reinventando il linguaggio teatrale, con uno stile ricercato e barocco, comincia il suo massacro dei classici: di questi anni sono ''Pinocchio'' ([[1961]]), ''Amleto'' ([[1961]]), ''Salomè'' ([[1964]]), ''Nostra Signora dei Turchi'' (romanzo paradossale del [[1965]] che nel dicembre dello stesso anno Bene mette in scena <ref>Bene, in realtà, ha sempre preferito per il suo teatro l'espressione "togliere dalla scena".</ref>), ''Il Rosa e il Nero'' ([[1966]]). Scoppia il caso Carmelo Bene: egli viene considerato un affabulatore, un presuntuoso "massacratore" dalla critica, mentre l'intellighenzia dell'epoca (da Moriavia a Pasolini, a Flaiano) lo ritiene un vero genio. Ai suoi critici Bene risponde mettendo in atto una serie di critiche alla critica, articoli, interviste televisive, e pubblicherà nel [[1970]] il libro ''L'orecchio mancante''. Nel [[1968]] ''Nostra Signora dei Turchi'' diventa anche un film che, mentre vince il premio speciale della giuria a Venezia, genera tumulti durante la visione in alcune sale. Si apre la parentesi del cinema di Carmelo Bene: ''Capricci'' ([[1969]]) e ''Don Giovanni'' ([[1970]]), ''Salomé'' ([[1972]]) e ''Un Amleto di meno'' ([[1973]]). Dopo la meteora cinematografica (che verrà ripresa, per così dire, in alcuni lavori televisivi), Bene torna al teatro: negli anni settanta egli ottiene un tangibile successo anche di pubblico con ''La cena delle beffe'' ([[1974]]), ''Amleto'' ([[1975]]), ''Romeo e Giulietta'' ([[1976]]), ''S.A.D.E.'' ([[1977]]) e ''Manfred'' ([[1979]]), che segna l'inizio del suo periodo concertistico. Del [[1979]] è anche un ''Otello'' televisivo, il cui restauro e montaggio inizieranno soltanto nel [[2001]]. Nel [[1981]], con la ''Lectura'' dalla Torre degli Asinelli di Bologna, Bene porta la lettura della ''Divina Commedia'' davanti ad un pubblico di oltre centomila persone, in occasione del primo anniversario della strage della stazione. Nell'estate del [[1982]] scrive ''Sono apparso alla Madonna'' (pubblicato nel [[1983]]). Seguono in teatro ''Macbeth'' ([[1983]]), ''Egmont'' ([[1983]]), ''Adelchi'' ([[1984]]), ''Lorenzaccio'' ([[1986]]). Nel [[1987]] Carmelo Bene recita a recanati i ''Canti'' di Leopardi e va in scena con ''Hommelette for Hamlet''. Nel [[1988]] viene nominato clamorosamente direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia, suscitando non poche polemiche. La vicenda finirà poi per degenerare in querele, contro-querele e ricorsi per un'intricata faccenda di competenze e responsabilità. Del [[1989]] è ''Pentesilea'', del [[1990]] il libro ''Il teatro senza spettacolo'', del [[1994]] ''Hamlet Suite''. Nel [[2000]], con la pubblicazione del poema ''<nowiki>'</nowiki>l mal de' fiori'', viene acclamato "poeta dell'impossibile" dalla Fondazione Schlesinger, istituita da Eugenio Montale. Lo stesso anno l'attore affida, tramite pubblico testamento, i diritti delle sue opere alla fondazione l'''Immemoriale di Carmelo Bene''. Il [[16 marzo]] del [[2002]] Carmelo Bene muore a Roma.


== L'anarchismo di Carmelo Bene ==
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:Intervistatore: «Un'affermazione pericolosa... ».
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:CB: «Di questa me ne assumo ogni rischio».
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:Intervistatore: «Pericolosa, intendo, nel senso che [[Stirner]] è uno dei punti più delicati della meditazione contemporanea. Cioè, con [[Stirner]], per esempio, si può tranquillamente partire verso il [[fascismo]]... »
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:CB: «Anche da [[Nietzsche]] si può andare al [[nazismo]]... ».
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:Intervistatore: «No. Distorcendo [[Nietzsche]]... ».
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=== Contro la «rappresentazione di Stato» <ref>Secondo Bene ogni rappresentazione è rappresentazione di [[Stato]].</ref>===
=== Contro la «rappresentazione di Stato» <ref>Secondo Bene ogni rappresentazione è rappresentazione di [[Stato]].</ref>===
Tutto il teatro di Carmelo Bene è un susseguirsi di atti [[iconoclasti]] e sovversivi nei confronti dei paradigmi dominanti del teatro classico, borghese e convenzionale. Alle unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione Bene contrappone rispettivamente l'antistoricismo, <ref>Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo '''''Kronos''''', contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia, a cui oppone quello della "scrittura di scena" (e in seguito quello della "macchina attoriale"), che accade nel tempo '''''Aion'''''. Sulla dicotomia ''Kronos''/''Aion'' è forte l'influenza di Gilles Deleuze, che in ''Logica del senso'' ([[1969]]) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli stoici.</ref> il teatro come "non-luogo" <ref>In quello che Bene definisce "Grande Teatro" agisce, o meglio, viene agito il "non-attore" o la "macchina attoriale", non vi è rappresentazione e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa [[utopia]] o "'''non-luogo'''" viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio: in tal senso Bene ha definito [[Franz Kafka]] il più grande pornografo).</ref> e l'atto. <ref>Bene sostiene l'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non smarrendosi nell'atto. L''''atto''' è ciò che tenta di negare, di ostacolare, di sgambettare l'azione, che resta orfana del suo artefice.</ref> All'Io contrappone la "macchina attoriale", <ref>La "macchina attoriale" (o "C.B.") è la conseguenza dell'attore che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità ecc.) per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. La "macchina attoriale" è una fusione tra "macchina" e attore: l'amplificazione non è una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità ma prevalentemente dal meccanismo sonoro.</ref> al testo a monte la "scrittura di scena" <ref>Quello di Bene è un teatro del dire e non del detto. Per Bene il teatro del già detto, che [[Artaud]], a cui Bene si è ispirato, definì "un teatro di invertiti", non dice niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Bene sostiene che l'importanza del testo nella "scrittura di scena" è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto, più o meno significativo, che si trova sulla scena. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Per Bene il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della "scrittura di scena".</ref> e alla finzione del teatro di rappresentazione la verità frutto della "sospensione del tragico". <ref>Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi, modi e maniere: per Bene si tratta di minare il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di ''handicap'', appositamente creati sulla scena, che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi (il depensamento può essere considerato come forma di meditazione o come un lavorio interno che conduce ad una non scelta tra gli infiniti doppi). Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Pertanto, nel teatro di Carmelo Bene soltanto la "macchina attoriale" può essere assoggettata a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io, che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.</ref> L'opera di Carmelo Bene è caratterizzata da un piglio [[nichilista]] decisamente più ''construens'' che ''destruens'' <ref>«Il mio è un [[nichilismo]] attivo, non negativo. Ognuno di noi cerca quello che non ha, quello che non è, perché ognuno di noi è quello che non è. Il mio nuovo libro ''La voce di Narciso'' inizia con questa frase: "Non esisto, dunque sono"» (''Carmelo Bene anzi benissimo'', Renato Palazzi, ''Corriere della Sera illustrato'', [[21 novembre]] [[1981]]).</ref> e soprattutto dall'incomunicabilità dell'irrappresentabile ("teatro senza spettacolo"): Bene sosteneva che, proprio a causa di questo «vuoto» (da non confondersi - ribadiva - col ''nihil'' filosofico) di fronte al quale veniva a trovarsi, lo spettatore viveva un'esperienza traumatica che non era in grado di riferire.
Tutto il teatro di Carmelo Bene è un susseguirsi di atti [[iconoclasti]] e sovversivi nei confronti dei paradigmi dominanti del teatro classico, borghese e convenzionale. Alle unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione Bene contrappone rispettivamente l'antistoricismo, <ref>Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo '''''Kronos''''', contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia, a cui oppone quello della "scrittura di scena" (e in seguito quello della "macchina attoriale"), che accade nel tempo '''''Aion'''''. Sulla dicotomia ''Kronos''/''Aion'' è forte l'influenza di Gilles Deleuze, che in ''Logica del senso'' ([[1969]]) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli stoici.</ref> il teatro come "non-luogo" <ref>In quello che Bene definisce "Grande Teatro" agisce, o meglio, viene agito il "non-attore" o la "macchina attoriale", non vi è rappresentazione e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa [[utopia]] o "'''non-luogo'''" viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio: in tal senso Bene ha definito [[Franz Kafka]] il più grande pornografo).</ref> e l'atto. <ref>Bene sostiene l'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non smarrendosi nell'atto. L''''atto''' è ciò che tenta di negare, di ostacolare, di sgambettare l'azione, che resta orfana del suo artefice.</ref> All'Io contrappone la "macchina attoriale", <ref>La "macchina attoriale" (o "C.B.") è la conseguenza dell'attore che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità ecc.) per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. La "macchina attoriale" è una fusione tra "macchina" e attore: l'amplificazione non è una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità ma prevalentemente dal meccanismo sonoro.</ref> al testo a monte la "scrittura di scena" <ref>Quello di Bene è un teatro del dire (dei significanti) e non del detto (dei significati). Per Bene il teatro del già detto, che [[Artaud]], a cui Bene si è ispirato, definì "un teatro di invertiti", non dice niente di nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte altrove. Bene sostiene che l'importanza del testo nella "scrittura di scena" è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto, più o meno significativo, che si trova sulla scena. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Per Bene il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della "scrittura di scena".</ref> e alla finzione del teatro di rappresentazione la verità frutto della "sospensione del tragico". <ref>Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi, modi e maniere: per Bene si tratta di minare il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di ''handicap'', appositamente creati sulla scena, che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi (il depensamento può essere considerato come forma di meditazione o come un lavorio interno che conduce ad una non scelta tra gli infiniti doppi). Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Pertanto, nel teatro di Carmelo Bene soltanto la "macchina attoriale" può essere assoggettata a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io, che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.</ref> L'opera di Carmelo Bene è caratterizzata da un piglio [[nichilista]] decisamente più ''construens'' che ''destruens'' <ref>«Il mio è un [[nichilismo]] attivo, non negativo. Ognuno di noi cerca quello che non ha, quello che non è, perché ognuno di noi è quello che non è. Il mio nuovo libro ''La voce di Narciso'' inizia con questa frase: "Non esisto, dunque sono"» (''Carmelo Bene anzi benissimo'', Renato Palazzi, ''Corriere della Sera illustrato'', [[21 novembre]] [[1981]]).</ref> e soprattutto dall'incomunicabilità dell'irrappresentabile ("teatro senza spettacolo"): Bene sosteneva che, proprio a causa di questo «vuoto» (da non confondersi - ribadiva - col ''nihil'' filosofico) di fronte al quale veniva a trovarsi, lo spettatore viveva un'esperienza traumatica che non era in grado di riferire.


=== Contro lo Stato democratico===
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