Francesco Porcelli: differenze tra le versioni

Jump to navigation Jump to search
Nessun cambiamento nella dimensione ,  02:00, 24 nov 2020
nessun oggetto della modifica
(Creata pagina con "'''Francesco Porcelli''' (Bari, 19 novembre 1886 - Bari, agosto 1966) è stato un anarchico italiano. == Biografia == Francesco Porcelli nasce a Bari da Giu...")
 
Nessun oggetto della modifica
Riga 2: Riga 2:


== Biografia ==
== Biografia ==
Francesco Porcelli nasce a Bari da Giuseppe e Stella Ximenes, cameriere, meccanico, elettricista, correttore tipografo, libraio, con un curriculum di studi classici non compiuti. Durante la sua permanenza a Bari è classificato come [[socialista]], ma non dà luogo a “rimarchi”. Aiuta il padre in trattoria, poi dopo la chiusura dell'esercizio familiare, si occupa come cameriere. In seguito alla morte del padre è costretto ad emigrare in [[Svizzera]] nel febbraio [[1908]]. Risiede a Ginevra, dove lavora come meccanico e professa idee sindacaliste a tendenza [[anarchica]]. Nel settembre [[1909]] si dimette dal locale gruppo [[sindacalista]] per aderire al «Germinal» e nel [[1910]] inizia a collaborare a ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', con lo pseudonimo di “Bohémien”. Agli inizi del [[1912]] lascia Ginevra, pare per dissensi nel Circolo di Studi Sociali e per sottrarsi alla sorveglianza [[poliziesca]], e si stabilisce prima a Levallois-Perret (Seine) e poi a Parigi, dove lavora da elettricista. Nella capitale francese è segnalato come «l'anima delle riunioni del locale gruppo rivoluzionario italiano» e invia contributi a ''[[Le Libertaire]]'', firmandosi Ermete De Fiori. A seguito dello scoppio della guerra europea, ritorna a Ginevra nel dicembre [[1914]] e già a partire dal dicembre [[1917]], sulle colonne de ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', inizia a criticare il governo bolscevico esprimendo la propria diffidenza dovuta alla “posizione mentale” degli [[anarchici]] nei confronti dell'autorità .<ref>Francesco Porcelli, ''Una discussione d'attualità'', 22 dicembre 1917, 5 gennaio 1918, 16 febbraio 1918.</ref> Contrario alle trattative russo-tedesche e al Trattato di Brest-Litovsk, nell'aprile successivo Porcelli, esempio isolato nell'ambito della pubblicistica [[anarchica]], condanna lo scioglimento dell'Assemblea costituente. <ref>Francesco Porcelli, ''I massimalisti e la tragedia russa'', 13 aprile 1918.</ref> Nel dicembre [[1918]], a conflitto ormai terminato, Porcelli viene dichiarato disertore e denunciato al Tribunale di guerra. Agli inizi del [[1919]] è annoverato tra i caporioni del gruppo de ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', tanto da sostituire [[Luigi Bertoni]], allora in carcere per l'affare delle “bombe di Zurigo”, alla direzione del giornale. Sua è una delle prime chiare prese di posizione sulla questione della dittatura del proletariato, considerata una «delegazione di potere a qualche individuo che deve agire nell’interesse del proletariato [...] una riconsacrazione della vecchia idea» dell'incapacità delle masse di «foggiarsi la propria esistenza». <ref>Francesco Porcelli, ''Anarchia e Dittatura'', 5 aprile 1919.</ref> Paradossalmente, nel maggio [[1919]] è arrestato per «propaganda bolscevica» ed espulso. Essendosi rifiutato di rimpatriare, Porcelli viene internato nel giugno nella colonia penitenziaria di Orbe. Venuto a conoscenza dell'amnistia, chiede di rientrare in [[Italia]] per «regolarizzare la sua posizione militare». Nel novembre è a Legnano, ospite di Eugenio Montanari, segretario della locale Camera del Lavoro. A Milano partecipa alle agitazioni del "[[biennio rosso]]" e diventa redattore di ''[[Umanità Nova]]''. A metà ottobre viene arrestato, con l'intera redazione di ''[[Umanità Nova]]'' ([[Carlo Frigerio]] e Perelli). Scarcerato il [[12 novembre]] per insufficienza di prove, viene successivamente coinvolto nell'istruttoria per «cospirazione contro i [[poteri]] dello [[Stato]]» che il giudice Carbone apre nel febbraio [[1921]] nei confronti dei redattori e dei principali collaboratori di ''[[Umanità Nova]]''. Assolto con tutti i coimputati il [[25 marzo]], all'indomani della [[strage del Diana]], si trasferisce a Roma con la redazione di ''[[Umanità Nova]]'' Nel [[1923]] lo troviamo sempre a Roma, dove lavora come correttore tipografo, abita presso [[Gigi Damiani]] e collabora a «Fede!», di cui [[Gigi Damiani|Damiani]] è direttore. Quando, l'anno seguente, Malatesta dà vita a ''[[Pensiero e volontà]]'', Porcelli è tra i collaboratori e nel [[1925]] assume la gerenza di «Parole nostre» e di «Vita», ultimo tentativo giornalistico di [[Gigi Damiani|Damiani]]. Assegnato al confino nel dicembre [[1926]], Porcelli ripara a Milano per passare clandestinamente il confine ma è arrestato nel gennaio [[1927]] e tradotto a Lipari.  
Francesco Porcelli nasce a Bari da Giuseppe e Stella Ximenes, cameriere, meccanico, elettricista, correttore tipografo, libraio, con un curriculum di studi classici non compiuti. Durante la sua permanenza a Bari è classificato come [[socialista]], ma non dà luogo a “rimarchi”. Aiuta il padre in trattoria, poi dopo la chiusura dell'esercizio familiare, si occupa come cameriere. In seguito alla morte del padre è costretto ad emigrare in [[Svizzera]] nel febbraio [[1908]]. Risiede a Ginevra, dove lavora come meccanico e professa idee sindacaliste a tendenza [[anarchica]]. Nel settembre [[1909]] si dimette dal locale gruppo [[sindacalista]] per aderire al «Germinal» e nel [[1910]] inizia a collaborare a ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', con lo pseudonimo di “Bohémien”. Agli inizi del [[1912]] lascia Ginevra, pare per dissensi nel Circolo di Studi Sociali e per sottrarsi alla sorveglianza [[poliziesca]], e si stabilisce prima a Levallois-Perret (Seine) e poi a Parigi, dove lavora da elettricista. Nella capitale francese è segnalato come «l'anima delle riunioni del locale gruppo rivoluzionario italiano» e invia contributi a ''[[Le Libertaire]]'', firmandosi Ermete De Fiori. A seguito dello scoppio della guerra europea, ritorna a Ginevra nel dicembre [[1914]] e già a partire dal dicembre [[1917]], sulle colonne de ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', inizia a criticare il governo bolscevico esprimendo la propria diffidenza dovuta alla “posizione mentale” degli [[anarchici]] nei confronti dell'autorità .<ref>Francesco Porcelli, ''Una discussione d'attualità'', 22 dicembre 1917, 5 gennaio 1918, 16 febbraio 1918.</ref> Contrario alle trattative russo-tedesche e al Trattato di Brest-Litovsk, nell'aprile successivo Porcelli, esempio isolato nell'ambito della pubblicistica [[anarchica]], condanna lo scioglimento dell'Assemblea costituente. <ref>Francesco Porcelli, ''I massimalisti e la tragedia russa'', 13 aprile 1918.</ref> Nel dicembre [[1918]], a conflitto ormai terminato, Porcelli viene dichiarato disertore e denunciato al Tribunale di guerra. Agli inizi del [[1919]] è annoverato tra i caporioni del gruppo de ''[[Il Risveglio Anarchico]]'', tanto da sostituire [[Luigi Bertoni]], allora in carcere per l'affare delle “bombe di Zurigo”, alla direzione del giornale. Sua è una delle prime chiare prese di posizione sulla questione della dittatura del proletariato, considerata una «delegazione di potere a qualche individuo che deve agire nell’interesse del proletariato [...] una riconsacrazione della vecchia idea» dell'incapacità delle masse di «foggiarsi la propria esistenza». <ref>Francesco Porcelli, ''Anarchia e Dittatura'', 5 aprile 1919.</ref> Paradossalmente, nel maggio [[1919]] è arrestato per «propaganda bolscevica» ed espulso. Essendosi rifiutato di rimpatriare, Porcelli viene internato nel giugno nella colonia penitenziaria di Orbe. Venuto a conoscenza dell'amnistia, chiede di rientrare in [[Italia]] per «regolarizzare la sua posizione militare». Nel novembre è a Legnano, ospite di Eugenio Montanari, segretario della locale Camera del Lavoro. A Milano partecipa alle agitazioni del "[[biennio rosso]]" e diventa redattore di ''[[Umanità Nova]]''. A metà ottobre viene arrestato, con l'intera redazione di ''[[Umanità Nova]]'' ([[Carlo Frigerio]] e Perelli). Scarcerato il [[12 novembre]] per insufficienza di prove, viene successivamente coinvolto nell'istruttoria per «cospirazione contro i [[poteri]] dello [[Stato]]» che il giudice Carbone apre nel febbraio [[1921]] nei confronti dei redattori e dei principali collaboratori di ''[[Umanità Nova]]''. Assolto con tutti i coimputati il [[25 marzo]], all'indomani della [[strage del Diana]], si trasferisce a Roma con la redazione di ''[[Umanità Nova]]'' Nel [[1923]] lo troviamo sempre a Roma, dove lavora come correttore tipografo, abita presso [[Gigi Damiani]] e collabora a «Fede!», di cui [[Gigi Damiani|Damiani]] è direttore. Quando, l'anno seguente, Malatesta dà vita a ''[[Pensiero e Volontà]]'', Porcelli è tra i collaboratori e nel [[1925]] assume la gerenza di «Parole nostre» e di «Vita», ultimo tentativo giornalistico di [[Gigi Damiani|Damiani]]. Assegnato al confino nel dicembre [[1926]], Porcelli ripara a Milano per passare clandestinamente il confine ma è arrestato nel gennaio [[1927]] e tradotto a Lipari.  


Ha scritto di lui Giovanni Ansaldo:
Ha scritto di lui Giovanni Ansaldo:
64 364

contributi

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti il nostro utilizzo dei cookie.

Menu di navigazione