Propaganda col fatto: differenze tra le versioni

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[[File:Attentatori2.jpg|miniatura|400px|Ecco riuniti in questa foto gli attentatori del duce: (dall'alto) [[Tito Zaniboni]], [[Anteo Zamboni]], [[Gino Lucetti]], [[Michele Schirru]], [[Violet Gibson]] e [[Angelo Sbardellotto]].]]
[[File:Attentatori2.jpg|miniatura|400px|Ecco riuniti in questa foto gli attentatori del duce: (dall'alto) [[Tito Zaniboni]], [[Anteo Zamboni]], [[Gino Lucetti]], [[Michele Schirru]], [[Violet Gibson]] e [[Angelo Sbardellotto]].]]
* Il '''[[4 novembre]] [[1925]]''' '''[[Tito Zaniboni]]''' organizzò un attentato contro Benito Mussolini. Egli avrebbe dovuto far fuoco con un fucile di precisione austriaco da una finestra dell'albergo Dragoni, fronteggiante il balcone di Palazzo Chigi, da cui si sarebbe dovuto affacciare il duce per celebrare l'anniversario della vittoria. Ma [[Tito Zaniboni|Zaniboni]] non sapeva che del suo gruppo faceva parte un informatore della polizia (tale Carlo Quaglia), e che quindi tutte le sue mosse erano state fino a quel momento sorvegliate dal questore Giuseppe Dosi. L'operazione di polizia scattò quando [[Tito Zaniboni|Zaniboni]], giunto in albergo, si apprestò a salire nella sua camera. In un armadio della camera stessa fu trovato il fucile, e nei pressi di piazza San Claudio fu trovata parcheggiata una Lancia Dilambda, che lo Zaniboni aveva acquistato pochi giorni prima e che gli sarebbe servita per la fuga. [[Tito Zaniboni|Zaniboni]] fu quindi arrestato tre ore prima dell'attentato, insieme al generale Luigi Capello.
* Il '''[[4 novembre]] [[1925]]''' '''[[Tito Zaniboni]]''' organizzò un attentato contro Benito Mussolini. Egli avrebbe dovuto far fuoco con un fucile di precisione austriaco da una finestra dell'albergo Dragoni, fronteggiante il balcone di Palazzo Chigi, da cui si sarebbe dovuto affacciare il duce per celebrare l'anniversario della vittoria. Ma [[Tito Zaniboni|Zaniboni]] non sapeva che del suo gruppo faceva parte un informatore della polizia (tale Carlo Quaglia), e che quindi tutte le sue mosse erano state fino a quel momento sorvegliate dal questore Giuseppe Dosi. L'operazione di polizia scattò quando [[Tito Zaniboni|Zaniboni]], giunto in albergo, si apprestò a salire nella sua camera. In un armadio della camera stessa fu trovato il fucile, e nei pressi di piazza San Claudio fu trovata parcheggiata una Lancia Dilambda, che lo Zaniboni aveva acquistato pochi giorni prima e che gli sarebbe servita per la fuga. [[Tito Zaniboni|Zaniboni]] fu quindi arrestato tre ore prima dell'attentato, insieme al generale Luigi Capello.
* Il '''[[7 aprile]] [[1926]]''' Mussolini era appena uscito dal palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando '''[[Violet Gibson]]''' gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. Secondo Arrigo Petacco e altri studiosi, a salvarlo sarebbe stato un saluto romano che porgeva proprio nel momento dello sparo: tirando indietro il capo irrigidendosi come sua abitudine nel saluto, avrebbe inconsapevolmente portato la testa fuori traiettoria. La [[Violet Gibson|Gibson]], faticosamente sottratta a un tentativo di linciaggio, fu condotta in questura; interrogata, non rivelò la ragione dell'attentato. L'attentatrice, per volontà dello stesso Mussolini, che ai tempi era in buoni rapporti con Winston Churchill, venne assolta in istruttoria dal Tribunale speciale per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall'Italia verso l'Inghilterra. Rimase per trent'anni ricoverata in una clinica psichiatrica, il St Andrew's Hospital a Northampton, ove morì.  
* Il '''[[7 aprile]] [[1926]]''' Mussolini era appena uscito dal palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando '''[[Violet Gibson]]''' gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. La [[Violet Gibson|Gibson]], faticosamente sottratta a un tentativo di linciaggio, fu condotta in questura; interrogata, non rivelò la ragione dell'attentato. L'attentatrice, per volontà dello stesso Mussolini, che ai tempi era in buoni rapporti con Winston Churchill, venne assolta in istruttoria dal Tribunale speciale per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall'Italia verso l'Inghilterra. Rimase per trent'anni ricoverata in una clinica psichiatrica, il St Andrew's Hospital a Northampton, ove morì.  
* L''''[[11 settembre]] [[1926]]''' '''[[Gino Lucetti]]''' si appostò sul piazzale di Porta Pia a Roma e lanciò una bomba contro la Lancia Lambda Coupé de ville che trasportava Mussolini nel consueto tragitto da casa a Palazzo Chigi. La bomba rimbalzò sul bordo superiore del finestrino posteriore destro dell'automobile e, qualche secondo dopo, esplose a terra ferendo otto passanti e lasciando illeso l'obbiettivo. [[Gino Lucetti|Lucetti]] fu immediatamente immobilizzato da un passante, tale Ettore Perondi, e poi raggiunto dalla polizia. Nel corso delle indagini la polizia cercò invano le prove di un complotto, arrestò la madre, il fratello e la sorella di Lucetti, vecchi amici carraresi e anche chi aveva alloggiato con lui in albergo. Lucetti dopo l'arresto in commissariato dichiarò: «Non sono venuto con un mazzo di fiori per Mussolini. Ma ero intenzionato di servirmi anche della rivoltella qualora non avessi ottenuto il mio scopo con la bomba.» Nel [[1943]], dopo 17 anni di detenzione, [[Gino Lucetti|Lucetti]] fu liberato dagli Alleati ma morì poco dopo ad Ischia a causa di un bombardamento il [[17 settembre]] [[1943]].  
* L''''[[11 settembre]] [[1926]]''' '''[[Gino Lucetti]]''' si appostò sul piazzale di Porta Pia a Roma e lanciò una bomba contro la Lancia Lambda Coupé de ville che trasportava Mussolini nel consueto tragitto da casa a Palazzo Chigi. La bomba rimbalzò sul bordo superiore del finestrino posteriore destro dell'automobile e, qualche secondo dopo, esplose a terra ferendo otto passanti e lasciando illeso l'obbiettivo. [[Gino Lucetti|Lucetti]] fu immediatamente immobilizzato da un passante, tale Ettore Perondi, e poi raggiunto dalla polizia. Nel corso delle indagini la polizia cercò invano le prove di un complotto, arrestò la madre, il fratello e la sorella di Lucetti, vecchi amici carraresi e anche chi aveva alloggiato con lui in albergo. Lucetti dopo l'arresto in commissariato dichiarò: «Non sono venuto con un mazzo di fiori per Mussolini. Ma ero intenzionato di servirmi anche della rivoltella qualora non avessi ottenuto il mio scopo con la bomba.» Nel [[1943]], dopo 17 anni di detenzione, [[Gino Lucetti|Lucetti]] fu liberato dagli Alleati ma morì poco dopo ad Ischia a causa di un bombardamento il [[17 settembre]] [[1943]].  
* La sera del '''[[31 ottobre]] [[1926]]''', quarto anniversario della sua nomina a primo ministro in seguito alla marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna, dove si era recato il giorno prima per inaugurare lo stadio Littoriale. Alla fine delle celebrazioni, Mussolini venne accompagnato verso la stazione a bordo di un'automobile scoperta, guidata da Leandro Arpinati. Alle 17.40 il corteo aveva raggiunto l'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza. '''[[Anteo Zamboni]]''', di professione fattorino nella tipografia del padre, era in questa via, appostato tra la folla sotto il primo arco di portico e mentre l'automobile rallentava per svoltare, sparò contro Mussolini, mancandolo. Il proiettile aveva seguito una traiettoria dall'alto verso il basso: colpì il cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della giacca del duce, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Puppini (che questi teneva sulle ginocchia) e si conficcò nell'imbottitura della portiera dell'automobile. In reazione a tale gesto, gli squadristi di Leandro Arpinati (fra i quali Arconovaldo Bonacorsi) e gli arditi milanesi capitanati da Albino Volpi, si gettarono sullo studente quindicenne e lo linciarono. Il tenente del 56º fanteria che per primo individuò e bloccò il giovane attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini. Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come: "criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento".  
* La sera del '''[[31 ottobre]] [[1926]]''', quarto anniversario della sua nomina a primo ministro in seguito alla marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna, dove si era recato il giorno prima per inaugurare lo stadio Littoriale. Alla fine delle celebrazioni, Mussolini venne accompagnato verso la stazione a bordo di un'automobile scoperta, guidata da Leandro Arpinati. Alle 17.40 il corteo aveva raggiunto l'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza. '''[[Anteo Zamboni]]''', di professione fattorino nella tipografia del padre, era in questa via, appostato tra la folla sotto il primo arco di portico e mentre l'automobile rallentava per svoltare, sparò contro Mussolini, mancandolo. Il proiettile aveva seguito una traiettoria dall'alto verso il basso: colpì il cordone dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che Mussolini indossava a tracolla, perforò il bavero della giacca del duce, attraversò il cappello a cilindro del sindaco Umberto Puppini (che questi teneva sulle ginocchia) e si conficcò nell'imbottitura della portiera dell'automobile. In reazione a tale gesto, gli squadristi di Leandro Arpinati (fra i quali Arconovaldo Bonacorsi) e gli arditi milanesi capitanati da Albino Volpi, si gettarono sullo studente quindicenne e lo linciarono. Il tenente del 56º fanteria che per primo individuò e bloccò il giovane attentatore fu Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo Pasolini. Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come: "criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento".  
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