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Arrestato, D'Alba manifesta una personalità che sconcerta le [[autorità]], alternando dichiarazioni sulla propria appartenenza all'anarchismo ad atteggiamenti al limite dello squilibrio mentale, talvolta dichiarando di avere agito da solo e tal'altra di avere avuto complici e mandanti. La polizia indirizzerà le proprie indagini verso la [[Svizzera]], dove l'attentato aveva prodotto un certo entusiasmo tra gli anarchici italiani emigrati. | Arrestato, D'Alba manifesta una personalità che sconcerta le [[autorità]], alternando dichiarazioni sulla propria appartenenza all'anarchismo ad atteggiamenti al limite dello squilibrio mentale, talvolta dichiarando di avere agito da solo e tal'altra di avere avuto complici e mandanti. La polizia indirizzerà le proprie indagini verso la [[Svizzera]], dove l'attentato aveva prodotto un certo entusiasmo tra gli anarchici italiani emigrati. | ||
Alla fine le indagini porteranno a stabilire che, con buone probabilità, l'attentato fu l'[[azione diretta]] di una singola [[individualità]], ma ciò ebbe comunque conseguenze importanti per la vita politica italiana. Innanzitutto, a causa dell'attentato di D'Alba, si incrinano i rapporti tra il capo del govenro Giolitti e il re, essendo emerse palesi manchevolezze nell'apparato di polizia (il questore di Roma fu sostituto); poi l'attentato sarà la causa indiretta dell'espulsione dal partito socialista di Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angiolo Cabrini, che si erano felicitati con Vittorio Emanuele per lo scampato pericolo. | Alla fine le indagini porteranno a stabilire che, con buone probabilità, l'attentato fu l'[[azione diretta]] di una singola [[individualità]], ma ciò ebbe comunque conseguenze importanti per la vita politica italiana. Innanzitutto, a causa dell'attentato di D'Alba, si incrinano i rapporti tra il capo del govenro Giolitti e il re, essendo emerse palesi manchevolezze nell'apparato di polizia (il questore di Roma fu sostituto); poi l'attentato sarà la causa indiretta dell'espulsione dal partito [[socialista]] di Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angiolo Cabrini, che si erano felicitati con Vittorio Emanuele per lo scampato pericolo. | ||
=== Il processo e la condanna === | === Il processo e la condanna === | ||
In attesa del processo, Antonio D'Alba tenta il suicidio, ma senza riuscire a portarlo a termine. L'[[8 ottobre]] [[1912]], davanti ai giudici della corte d'assise di Roma, proclama la sua fede nell'[[anarchismo]], dichiarando sprezzantemente di aver agito da solo. La sua difesa viene assunta dall'avvocato socialista [[Enrico Ferri]], che fonderà il processo sull'incapacità di intendere e | In attesa del processo, Antonio D'Alba tenta il suicidio, ma senza riuscire a portarlo a termine. L'[[8 ottobre]] [[1912]], davanti ai giudici della corte d'assise di Roma, proclama la sua fede nell'[[anarchismo]], dichiarando sprezzantemente di aver agito da solo. La sua difesa viene assunta dall'avvocato [[socialista]] [[Enrico Ferri]], che fonderà il processo sull'incapacità di intendere e | ||
volere del D'Alba. Per Ferri l'accusato non è «né delinquente nato né delinquente passionale, né delinquente politico», ma soltanto un «cervello instabile e semioscuro», uno dei «miseri abbandonati dalla famiglia nel fango della strada». | volere del D'Alba. Per Ferri l'accusato non è «né delinquente nato né delinquente passionale, né delinquente politico», ma soltanto un «cervello instabile e semioscuro», uno dei «miseri abbandonati dalla famiglia nel fango della strada». | ||