Consigli ed occupazioni di fabbrica in Italia (1919-20): differenze tra le versioni

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A questo punto in buone parti del paese, il malcontento legato soprattutto alla grave situazione economica del paese esploderà  in scioperi e manifestazioni sempre più intense che culmineranno nella formazione dei consigli di fabbrica e nelle occupazioni delle stesse.
A questo punto in buone parti del paese, il malcontento legato soprattutto alla grave situazione economica del paese esploderà  in scioperi e manifestazioni sempre più intense che culmineranno nella formazione dei consigli di fabbrica e nelle occupazioni delle stesse.


Durante questo periodo, l'[[Unione Sindacale Italiana]] (USI) raggiungerà  quasi un milione di membri, ma dall'altro verso cresceva anche il malcontento dei nazionalisti e dei reduci della guerra a causa della cosiddetta "vittoria mutilata"...<ref>[http://www.storiaxxisecolo.it/grandeguerra/gmitalia6.htm Vittoria mutilata]</ref>
Durante questo periodo, l'[[Unione Sindacale Italiana]] (USI) raggiungerà  quasi un milione di membri, ma dall'altro verso cresceva anche il malcontento dei nazionalisti e dei reduci della guerra a causa della cosiddetta "vittoria mutilata"... <ref>[http://www.storiaxxisecolo.it/grandeguerra/gmitalia6.htm Vittoria mutilata]</ref>


== Il biennio rosso ==
== Il biennio rosso ==
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Nel giugno del [[1920]] ad Ancona scoppiò la [[rivolta dei Bersaglieri]], originata dall'ammutinamento dei bersaglieri di una caserma cittadina che non volevano partire per l'[[Albania]], dove era in corso una occupazione militare decisa dal [[governo]] Giolitti. Fu una vera e propria ribellione armata che coinvolse truppe di varie forze che solidarizzarono con i ribelli. Da Ancona la rivolta si estese in tutte le Marche, in Romagna e a Terni. Il sindacato dei ferrovieri indisse uno [[sciopero]] per impedire che ad Ancona arrivassero le guardie regie; il moto fu sedato solo grazie all'intervento della marina militare, intervenuta per bombardare la città <ref>Ruggero Giacomini, ''La rivolta dei bersaglieri e le giornate rosse. I moti di Ancona dell'estate 1920 e l'indipendenza dell'Albania'', Ancona, Assemblea legislativa delle Marche/ Centro culturale "La Città  futura", 2010.</ref>
Nel giugno del [[1920]] ad Ancona scoppiò la [[rivolta dei Bersaglieri]], originata dall'ammutinamento dei bersaglieri di una caserma cittadina che non volevano partire per l'[[Albania]], dove era in corso una occupazione militare decisa dal [[governo]] Giolitti. Fu una vera e propria ribellione armata che coinvolse truppe di varie forze che solidarizzarono con i ribelli. Da Ancona la rivolta si estese in tutte le Marche, in Romagna e a Terni. Il sindacato dei ferrovieri indisse uno [[sciopero]] per impedire che ad Ancona arrivassero le guardie regie; il moto fu sedato solo grazie all'intervento della marina militare, intervenuta per bombardare la città <ref>Ruggero Giacomini, ''La rivolta dei bersaglieri e le giornate rosse. I moti di Ancona dell'estate 1920 e l'indipendenza dell'Albania'', Ancona, Assemblea legislativa delle Marche/ Centro culturale "La Città  futura", 2010.</ref>


Per ottenere aumenti salariali e riduzione dell'orario di lavoro, la FIOM (sindacato metalmeccanici) proclamò uno sciopero bianco da parte dei lavoratori, a cui gli industriali controbatterono con una serrata, ovvero la chiusura delle fabbriche. A fronte della volontà  padronale di non concedere nulla agli operai, nel luglio [[1920]] la protesta crebbe di intensità  e da più parti si ventilò l'ipotesi dell'occupazione delle fabbriche. Il [[13 agosto]] [[1920]] gli industriali ruppero le trattative. I sindacati a questo punto proposero una protesta ostruzionistica, ovvero gli operai avrebbero dovuto rallentare e ridurre la produzione ma senza fermarla, di modo che fosse comunque loro garantito, seppur ridotto, un salario. La federazione nazionale industriale, ritenendo insufficiente la risposta attendistica del governo Giolitti, deliberò pubblicamente un ordine di serrata degli stabilimenti la mattina del [[1° settembre]], anche se già  nella notte precedente era stata decisa a Torino dal consiglio direttivo dell'AMMA. Ancor prima, a dire il vero, già  dal 30 agosto le '''Officine Romeo & C.''' di Milano iniziarono la serrata nonostante il parere contrario del Prefetto del capoluogo lombardo.<ref>P. Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', p. 53.</ref> [[File:Maurizio-garino.jpg|240 px|thumb|Foto segnaletica di [[Maurizio Garino]]]]
Per ottenere aumenti salariali e riduzione dell'orario di lavoro, la FIOM (sindacato metalmeccanici) proclamò uno sciopero bianco da parte dei lavoratori, a cui gli industriali controbatterono con una serrata, ovvero la chiusura delle fabbriche. A fronte della volontà  padronale di non concedere nulla agli operai, nel luglio [[1920]] la protesta crebbe di intensità  e da più parti si ventilò l'ipotesi dell'occupazione delle fabbriche. Il [[13 agosto]] [[1920]] gli industriali ruppero le trattative. I sindacati a questo punto proposero una protesta ostruzionistica, ovvero gli operai avrebbero dovuto rallentare e ridurre la produzione ma senza fermarla, di modo che fosse comunque loro garantito, seppur ridotto, un salario. La federazione nazionale industriale, ritenendo insufficiente la risposta attendistica del governo Giolitti, deliberò pubblicamente un ordine di serrata degli stabilimenti la mattina del [[1° settembre]], anche se già  nella notte precedente era stata decisa a Torino dal consiglio direttivo dell'AMMA. Ancor prima, a dire il vero, già  dal 30 agosto le '''Officine Romeo & C.''' di Milano iniziarono la serrata nonostante il parere contrario del Prefetto del capoluogo lombardo. <ref>P. Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', p. 53.</ref> [[File:Maurizio-garino.jpg|240 px|thumb|Foto segnaletica di [[Maurizio Garino]]]]


Sin dalla stessa sera, a Roma, dopo la chiusura dello stabilimento Bastianelli di Porta San paolo, i metallurgici occuparono le officine meccaniche romane. In seguito le serrate saranno proclamate quasi ovunque, puntualmente seguite dalle occupazioni operaie. Ecco quindi il carattere principale delle occupazioni delle fabbriche: una reazione alla chisura delle fabbriche da aprte della classe padronale.<ref>P. Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche '', p. 59.</ref>  
Sin dalla stessa sera, a Roma, dopo la chiusura dello stabilimento Bastianelli di Porta San paolo, i metallurgici occuparono le officine meccaniche romane. In seguito le serrate saranno proclamate quasi ovunque, puntualmente seguite dalle occupazioni operaie. Ecco quindi il carattere principale delle occupazioni delle fabbriche: una reazione alla chisura delle fabbriche da aprte della classe padronale. <ref>P. Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche '', p. 59.</ref>  


Le occupazioni si concentrarono in particolare nel cosiddetto triangolo industriale: Milano, Genova e Torino. Nel capoluogo piemontese gli anarchici svolsero un ruolo di primo piano, riconosciuto anche da esponenti comunisti come [[Antonio Gramsci]], soprattutto grazie al lavoro di quelli facenti parte della della FIOM, come [[Maurizio Garino]], [[Italo Garinei]] e [[Pietro Ferrero]]. Quest'ultimo nel 1919 era stato eletto segretario della sezione torinese.
Le occupazioni si concentrarono in particolare nel cosiddetto triangolo industriale: Milano, Genova e Torino. Nel capoluogo piemontese gli anarchici svolsero un ruolo di primo piano, riconosciuto anche da esponenti comunisti come [[Antonio Gramsci]], soprattutto grazie al lavoro di quelli facenti parte della della FIOM, come [[Maurizio Garino]], [[Italo Garinei]] e [[Pietro Ferrero]]. Quest'ultimo nel 1919 era stato eletto segretario della sezione torinese.
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Il [[20 settembre]], quando ormai l'occupazione aveva perso il suo slancio, [[Errico Malatesta]] scrive:
Il [[20 settembre]], quando ormai l'occupazione aveva perso il suo slancio, [[Errico Malatesta]] scrive:
: «Gli operai usciranno dalle fabbriche col sentimento di essere stati traditi: usciranno con la rabbia nel cuore ma con propositi di vendetta. Usciranno questa volta ma profitteranno della lezione. Essi non vorranno "lavorare di più e consumare dimeno" e senza questo la crisi non si risolverà  e la rivoluzione resta necessaria e imminente» (''[[Umanità  Nova]]'')<ref>Riportato da Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 138)</ref>
: «Gli operai usciranno dalle fabbriche col sentimento di essere stati traditi: usciranno con la rabbia nel cuore ma con propositi di vendetta. Usciranno questa volta ma profitteranno della lezione. Essi non vorranno "lavorare di più e consumare dimeno" e senza questo la crisi non si risolverà  e la rivoluzione resta necessaria e imminente» (''[[Umanità  Nova]]'')<ref>Riportato da Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 138)</ref>
Il [[24 settembre]], nonostante gli anarchici ed altri radicali spingessero per l'astensionismo, nelle fabbriche si svolse il referendum operaio dal quale risultarono 127 904 voti per il SI, 44 531 per il NO e 3006 astenuti. L'occupazione delle fabbriche è definitivamente sancita e sarà  effettuata tra il [[25 settembre|25]] e [[30 settembre]].<ref>Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 155)</ref>
Il [[24 settembre]], nonostante gli anarchici ed altri radicali spingessero per l'astensionismo, nelle fabbriche si svolse il referendum operaio dal quale risultarono 127 904 voti per il SI, 44 531 per il NO e 3006 astenuti. L'occupazione delle fabbriche è definitivamente sancita e sarà  effettuata tra il [[25 settembre|25]] e [[30 settembre]]. <ref>Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 155)</ref>


Quantunque da più parti si voglia dipingere questo biennio come un periodo sanguinario, in realtà  un tentativo di quantificare il numero di decessi fu compiuto da Gaetano Salvemini, il quale, basandosi sulle cronache giornalistiche dell'epoca, calcolò in 65 le vittime complessive delle violenze operaie. Al contrario, nello stesso periodo,  109 operai e sindacalisti persero al vita per mano delle forze dell'ordine durante gli scontri di piazza, mentre altri 22 furono uccisi da altre persone.
Quantunque da più parti si voglia dipingere questo biennio come un periodo sanguinario, in realtà  un tentativo di quantificare il numero di decessi fu compiuto da Gaetano Salvemini, il quale, basandosi sulle cronache giornalistiche dell'epoca, calcolò in 65 le vittime complessive delle violenze operaie. Al contrario, nello stesso periodo,  109 operai e sindacalisti persero al vita per mano delle forze dell'ordine durante gli scontri di piazza, mentre altri 22 furono uccisi da altre persone.
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L'atteggiamento del governo, suscitò le ire tanto dei capitalisti che dei rivoluzionari, ma il presidente del consiglio continuò imperterrito nella sua strada facendo leve sui moderati dei due campi contrapposti. L'accordo tra il governo e riformisti della CGL fu interpretato dagli [[anarco-sindacalismo|anarco-sindacalisti]], dai comunisti e dai massimalisti come un modo per porre fine all'occupazione e castrare ogni velleità  rivoluzionaria. Non di meno, essi considerarono il referendum operaio sugli accordi sindacali.  
L'atteggiamento del governo, suscitò le ire tanto dei capitalisti che dei rivoluzionari, ma il presidente del consiglio continuò imperterrito nella sua strada facendo leve sui moderati dei due campi contrapposti. L'accordo tra il governo e riformisti della CGL fu interpretato dagli [[anarco-sindacalismo|anarco-sindacalisti]], dai comunisti e dai massimalisti come un modo per porre fine all'occupazione e castrare ogni velleità  rivoluzionaria. Non di meno, essi considerarono il referendum operaio sugli accordi sindacali.  


Dall'altro versante, la sfiducia verso Giolitti era tale che il direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-albertini_%28Enciclopedia_Italiana%29/ Luigi Albertini]</ref>, auspicò la sostituzione di Giolitti al governo con i socialisti moderati, quale ostacolo definitivo alla prosecuzione del progetto sovietista. Il direttore del «Corriere» arrivò addirittura ad organizzare un incontro con Turati (presumibilmente intorno al [[21 settembre|21]]-[[23 settembre]]), nel corso del quale gli esponeva il suo progetto per portare i socialisti moderati al governo e marginalizzare così gli estremisti. Nel [[1923]] il direttore del scriverà  che meglio sarebbe stato avere Turati e D'Aragona al governo piuttosto che la prosecuzione di un regime che a causa della sua inettitudine avrebbe portato il paese verso il [[comunismo]].<ref>Si veda Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 139-141)</ref>. Sempre a Torino, contro gli accordi, si dimise il presidente dela sezione locale della Lega Industriale.
Dall'altro versante, la sfiducia verso Giolitti era tale che il direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-albertini_%28Enciclopedia_Italiana%29/ Luigi Albertini]</ref>, auspicò la sostituzione di Giolitti al governo con i socialisti moderati, quale ostacolo definitivo alla prosecuzione del progetto sovietista. Il direttore del «Corriere» arrivò addirittura ad organizzare un incontro con Turati (presumibilmente intorno al [[21 settembre|21]]-[[23 settembre]]), nel corso del quale gli esponeva il suo progetto per portare i socialisti moderati al governo e marginalizzare così gli estremisti. Nel [[1923]] il direttore del scriverà  che meglio sarebbe stato avere Turati e D'Aragona al governo piuttosto che la prosecuzione di un regime che a causa della sua inettitudine avrebbe portato il paese verso il [[comunismo]]. <ref>Si veda Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 139-141)</ref>. Sempre a Torino, contro gli accordi, si dimise il presidente dela sezione locale della Lega Industriale.
=== Il dramma socialista: scissione e nascita del PCI ===
=== Il dramma socialista: scissione e nascita del PCI ===
Il [[27 settembre]] «L'Avanti» pubblicò un editoriale in cui, oltre ad ammettere la sconfitta degli operai accusò di ciò la dirigenza [[riformista]] del Partito socialista <ref>Battista Santhià, ''Con Gramsci all'Ordine Nuovo'', Firenze, Editori Riuniti, giugno 1956, p. 128: «Il 27 l'Avanti pubblicò un comunicato in cui apertamente si riconosceva che la lotta era finita con la sconfitta degli operai per colpa dei dirigenti riformisti.»</ref>. L'editoriale non fece altro che rettificare la spaccatura ormai insanabile tra i riformisti e i rivoluzionari del PSI. Quest'ultimi erano allineati alle posizioni ufficiali della [[III Internazionale]] (Comintern), che durante il suo II° Congresso tenutosi tra tra luglio e agosto del [[1920]] decise che tutti i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che tra le altre cose prevedevano l'espulsione di ogni riformista e il cambiamento del nome dei partiti in "Partito Comunista". Il [[27 agosto]], al termine del Congresso, il il presidente del Comintern Zinov'ev, Bucharin e Lenin inviarono al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà  pubblicato in Italia solo il [[30 ottobre]] su ''L'Ordine Nuovo'', quindicinale socialista torinese diretto da [[Antonio Gramsci]].
Il [[27 settembre]] «L'Avanti» pubblicò un editoriale in cui, oltre ad ammettere la sconfitta degli operai accusò di ciò la dirigenza [[riformista]] del Partito socialista <ref>Battista Santhià, ''Con Gramsci all'Ordine Nuovo'', Firenze, Editori Riuniti, giugno 1956, p. 128: «Il 27 l'Avanti pubblicò un comunicato in cui apertamente si riconosceva che la lotta era finita con la sconfitta degli operai per colpa dei dirigenti riformisti.»</ref>. L'editoriale non fece altro che rettificare la spaccatura ormai insanabile tra i riformisti e i rivoluzionari del PSI. Quest'ultimi erano allineati alle posizioni ufficiali della [[III Internazionale]] (Comintern), che durante il suo II° Congresso tenutosi tra tra luglio e agosto del [[1920]] decise che tutti i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che tra le altre cose prevedevano l'espulsione di ogni riformista e il cambiamento del nome dei partiti in "Partito Comunista". Il [[27 agosto]], al termine del Congresso, il il presidente del Comintern Zinov'ev, Bucharin e Lenin inviarono al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà  pubblicato in Italia solo il [[30 ottobre]] su ''L'Ordine Nuovo'', quindicinale socialista torinese diretto da [[Antonio Gramsci]].


La vittoria della fazione riformista dei socialisti<ref>All'interno del PSI convivevano diverse fazioni: «Il PSI, che all'Internazionale Comunista aveva aderito fin dal proprio precedente congresso dell'ottobre 1919, giunse a Livorno diviso in cinque frazioni: '''l'ala destra''' era quella dei concentrazionisti, vicini alle posizioni del gradualismo riformista di Filippo Turati; '''al centro''' si collocava gran parte dei massimalisti (i comunisti unitari) di Giacinto Menotti Serrati, e tra gli uni e gli altri i cosiddetti rivoluzionari intransigenti di Costantino Lazzari; '''a sinistra''' i comunisti puri di Amadeo Bordiga, affiancati dal gruppo della circolare di Antonio Graziadei»[http://it.wikipedia.org/wiki/XVII_Congresso_del_Partito_Socialista_Italiano Leggi tutto].</ref>, considerata da anarchici e comunisti un vero e proprio [[sabotaggio]] della [[rivoluzione]], accelerò il distacco tra le due correnti. Durante il congresso di Milano ([[15 ottobre]] [[1920]]) dei socialisti allineati alla [[III Internazionale]] approvò il manifesto, dal titolo ''Ai Compagni e alle Sezioni del Partito Socialista Italiano'', che si concludeva con una proposta sintetizzata in 10 punti firmata da Gramsci, Bordiga, Fortichiari, Misiano, Terracini e il segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana, Luigi Polano. Nacque in questo modo la frazione comunista del PSI, che si trasformò in partito ([[Partito Comunista d'Italia]]) al termine del XVII Congresso del Partito Socialista ([[15 gennaio|15]]-[[21 gennaio]]) con l'abbandono dei lavori da parte dei comunisti di Gramsci e Bordiga.<ref>[https://rottaproletaria.wordpress.com/breve-storia-della-nascita-del-p-c-i/ Breve storia della nascita del P.C.I.]</ref>
La vittoria della fazione riformista dei socialisti<ref>All'interno del PSI convivevano diverse fazioni: «Il PSI, che all'Internazionale Comunista aveva aderito fin dal proprio precedente congresso dell'ottobre 1919, giunse a Livorno diviso in cinque frazioni: '''l'ala destra''' era quella dei concentrazionisti, vicini alle posizioni del gradualismo riformista di Filippo Turati; '''al centro''' si collocava gran parte dei massimalisti (i comunisti unitari) di Giacinto Menotti Serrati, e tra gli uni e gli altri i cosiddetti rivoluzionari intransigenti di Costantino Lazzari; '''a sinistra''' i comunisti puri di Amadeo Bordiga, affiancati dal gruppo della circolare di Antonio Graziadei»[http://it.wikipedia.org/wiki/XVII_Congresso_del_Partito_Socialista_Italiano Leggi tutto].</ref>, considerata da anarchici e comunisti un vero e proprio [[sabotaggio]] della [[rivoluzione]], accelerò il distacco tra le due correnti. Durante il congresso di Milano ([[15 ottobre]] [[1920]]) dei socialisti allineati alla [[III Internazionale]] approvò il manifesto, dal titolo ''Ai Compagni e alle Sezioni del Partito Socialista Italiano'', che si concludeva con una proposta sintetizzata in 10 punti firmata da Gramsci, Bordiga, Fortichiari, Misiano, Terracini e il segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana, Luigi Polano. Nacque in questo modo la frazione comunista del PSI, che si trasformò in partito ([[Partito Comunista d'Italia]]) al termine del XVII Congresso del Partito Socialista ([[15 gennaio|15]]-[[21 gennaio]]) con l'abbandono dei lavori da parte dei comunisti di Gramsci e Bordiga. <ref>[https://rottaproletaria.wordpress.com/breve-storia-della-nascita-del-p-c-i/ Breve storia della nascita del P.C.I.]</ref>
: « Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità  del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali, perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità  delle masse; in realtà  i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne la rottura di Livorno e si creò un nuovo partito, il Partito comunista. »[[File:Benito Mussolini and Adolf Hitler.jpg|right|thumb|160 px|[[Mussolini]] e [[Hitler]]: il fascismo fu una reazione borghese alle istanze rivoluzionarie proletarie.]]
: « Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità  del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali, perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità  delle masse; in realtà  i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne la rottura di Livorno e si creò un nuovo partito, il Partito comunista. »[[File:Benito Mussolini and Adolf Hitler.jpg|right|thumb|160 px|[[Mussolini]] e [[Hitler]]: il fascismo fu una reazione borghese alle istanze rivoluzionarie proletarie.]]
(Antonio Gramsci<ref>Antonio Gramsci, ''Ancora delle capacità  organiche della classe operaia'' (articolo non firmato) in "l'Unità ", 1º ottobre 1926; ora in Id., ''La costruzione del Partito comunista'', 1923-1926, Einaudi, Torino 1971, pp. 347-8.</ref>)
(Antonio Gramsci<ref>Antonio Gramsci, ''Ancora delle capacità  organiche della classe operaia'' (articolo non firmato) in "l'Unità ", 1º ottobre 1926; ora in Id., ''La costruzione del Partito comunista'', 1923-1926, Einaudi, Torino 1971, pp. 347-8.</ref>)
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