Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

Jump to navigation Jump to search
(7 versioni intermedie di uno stesso utente non sono mostrate)
Riga 3: Riga 3:


==Biografia <ref name="Ted">Fonte principale: [https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura/gian-pietro-lucini/ ''Gian Pietro Lucini''], di Cristiano Tedeschi</ref> ==
==Biografia <ref name="Ted">Fonte principale: [https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/letteratura/gian-pietro-lucini/ ''Gian Pietro Lucini''], di Cristiano Tedeschi</ref> ==
Gian Pietro Lucini nacque a Milano il [[30 settembre]] [[1867]]. Nel [[1891]] si trasferì a Breglia con la sua compagna, Giuditta Cattaneo, e nel [[1892]] si laureò in giurisprudenza, ma la passione prepotente per la letteratura e per la poesia lo sedusse fin dalla più tenera età. Studioso della poesia alessandrina e della letteratura latina della decadenza, diede al movimento della scapigliatura italiana, della quale fu un ultimo ed estenuato epigono, una venatura di raffinato e composito decadentismo, assecondando una estetica tardo-romantica e simbolista per alcuni aspetti vicina a quella di Gabriele D'Annunzio, di cui fu inizialmente amico e più tardi acerrimo critico ed avversario nel tentativo di costruire una soluzione alternativa al dannunzianesimo sul piano del linguaggio e su quello dell'ideologia. Iniziò come narratore, pubblicando in appendice alla «Gazzetta Agricola» di Milano nel [[1888]] ''Spirito ribelle'', che rielaborò poi in volume con il titolo di ''Gian Pietro Da Core'' ([[1895]]). I suoi ideali politici anarchico-repubblicani si congiunsero ad un raffinato e squisito [[individualismo]] estetico, che trovò espressione nelle prime due raccolte poetiche: ''Il libro delle Figurazioni Ideali'' ([[1894]]) e ''Il libro delle Imagini Terrene'' ([[1898]]). Lucini espose in questi lavori una doviziosa cultura immaginifica, soprattutto di derivazione francese. Respinte le forme metriche tradizionali, il poeta operò ancora su questa linea simbolista attraverso una serie di libretti che verranno in seguito raccolti dallo studioso e critico Glauco Viazzi ne ''I Drami delle Maschere'' ([[1973]]).
Gian Pietro Lucini nacque a Milano il [[30 settembre]] [[1867]]; dei propri genitori e dei suoi avi vantò le «determinazioni ghibelline»:
:«Fui allevato in una famiglia in cui i gigli d'argento del razionalismo fiorivano vicino alle rose purpuree della baldanza garibaldina ed agli anemoni del sacrificio mazziniano».
Nel [[1891]] si trasferì a Breglia con la sua compagna, Giuditta Cattaneo, e nel [[1892]] si laureò in giurisprudenza, ma la passione prepotente per la letteratura e per la poesia lo sedusse fin dalla più tenera età. Studioso della poesia alessandrina e della letteratura latina della decadenza, diede al movimento della scapigliatura italiana, della quale fu un ultimo ed estenuato epigono, una venatura di raffinato e composito decadentismo, assecondando una estetica tardo-romantica e simbolista per alcuni aspetti vicina a quella di Gabriele D'Annunzio, di cui fu inizialmente amico e più tardi acerrimo critico ed avversario nel tentativo di costruire una soluzione alternativa al dannunzianesimo sul piano del linguaggio e su quello dell'ideologia. Iniziò come narratore, pubblicando in appendice alla «Gazzetta Agricola» di Milano nel [[1888]] ''Spirito ribelle'', che rielaborò poi in volume con il titolo di ''Gian Pietro Da Core'' ([[1895]]). I suoi ideali politici anarchico-repubblicani si congiunsero ad un raffinato e squisito [[individualismo]] estetico, che trovò espressione nelle prime due raccolte poetiche: ''Il libro delle Figurazioni Ideali'' ([[1894]]) e ''Il libro delle Imagini Terrene'' ([[1898]]). Lucini espose in questi lavori una doviziosa cultura immaginifica, soprattutto di derivazione francese. Respinte le forme metriche tradizionali, il poeta operò ancora su questa linea simbolista attraverso una serie di libretti che verranno in seguito raccolti dallo studioso e critico Glauco Viazzi ne ''I Drami delle Maschere'' ([[1973]]).


Nel [[1901]] curò la recensione di un libro [[antimilitarista]] e venne incriminato per le tesi sostenute. Nel [[1905]] collaborò alla rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e fra il [[1908]] e il [[1910]] conobbe Corrado Govoni, Guido Gozzano, Umberto Notari e Paolo Buzzi, con i quali strinse amicizia.  
Nel [[1901]] curò la recensione di un libro [[antimilitarista]] e venne incriminato per le tesi sostenute. Nel [[1905]] collaborò alla rivista «Poesia» di Filippo Tommaso Marinetti e fra il [[1908]] e il [[1910]] conobbe Corrado Govoni, Guido Gozzano, Umberto Notari e Paolo Buzzi, con i quali strinse amicizia.  
Riga 43: Riga 45:
== Pensiero <ref name="Ted"></ref> ==
== Pensiero <ref name="Ted"></ref> ==
[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
[[File:Agazzi Lucini.jpg|miniatura|400px|Lucini ritratto da [[Carlo Agazzi]] nel [[1905]].]]
Raffinato esponente del simbolismo italiano, vicino alle correnti più radicali delle nuove avanguardie novecentesche, nostalgico scapigliato e brillante innovatore, Lucini fu [[anarchico]] e patriottico, antimonarchico e antiborghese, un [[rivoluzionario]] inclassificabile ed [[Individualismo#Individualismo_aristocratico|aristocratico]], insofferente verso tutte le [[chiese]].


=== ''Filosofi ultimi'' ===
=== ''Filosofi ultimi'' ===
Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.
Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.


L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la società stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.
L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la [[società]] stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.


Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».
Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».
Riga 73: Riga 77:


Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
Nonostante i suoi sforzi per liberarsi dall'ipoteca dell'immaginifico, egli riecheggiò ed ebbe sempre a modello proprio il classico eroe dannunziano; particolari affinità e contiguità, debiti e riconoscenze della immagine luciniana del Melibeo si riscontrano in Stelio Effrena, il protagonista de ''Il Fuoco'' ([[1900]]). La creazione artistica e la sensibilità estetica sono i tratti che li accomunano irrevocabilmente. Lucini ritenne, però, a differenza di D'Annunzio, che alla base della mitica figura [[nietzschiana]] di Zarathustra, ben nascosto, ci fosse il mito dell'Unico [[stirneriano]], e ne trasse profitto per elaborare l'idea simbolica del suo eroe. Questi è, infatti, il costruttore e l'iniziatore di una nuova epoca, «unico legislatore di sé stesso» alla maniera di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dannunziano ''Le Vergini delle Rocce'' ([[1896]]): l'uomo più che uomo che, in quanto artista, prefigura, nel divenire carsico della storia, l'uomo sovversivo del futuro; questi sarà lo Sconosciuto-Riconosciuto, colui che crea la vita, «quell'Io di cui i ragionamenti della metafisica hanno parlato e hanno pur oggi identificato nelle sue divine ed immateriali ragioni senza confini. L'essenza fondamentale ed insieme cosciente dell'energia divina, cioè della Vita Universale».
=== L'ironia e l'Humorismo ===
In alcune pagine precedenti il quinto capitolo dell'''Ora Topica di Carlo Dossi'', Lucini si sofferma sul concetto di ironia:
:«Buona ironia! Rimane il miglior idealismo preservativo, ricostituente, immunizza, è una ricchezza inesauribile, perchè, coll'usarla, la si riproduce; è un giocare colla vita, per fa sul serio dell'arte; è quanto rimane alle moderne genialità, dopo le messe sanguinose pontificate dalle passioni artificiali, dopo i suicidi delle loro maschere, che sono la modalità della loro coscienza: è quanto appartiene di più suo e di più caro all'artista, questa proposta dei logaritmi dell'imaginazione sciorinata davanti all'immusonita praticaccia venale; che se ne turba, se ne spaventa e manda per gendarme della logica, pel catedrante grigio, occhialuto e feticista».
Il quinto capitolo dell'''Ora Topica di Carlo Dossi'', intitolato ''L'Humorismo lo vendica'', merita un'analisi particolare per i contenuti che Lucini esprime al suo interno e per l'attenzione che egli dedica ad un concetto davvero importante per chiunque si occupi di modernità e che inaugura esso stesso la modernità: l'umorismo.
Lucini vede nell'Humorismo l'unica difesa possibile dall'assurdità del mondo, dalla sua non corrispondenza con le aspettative dell'uomo, il ridicolo coniugato con la satira, la risata che si deforma in un ghigno, la deformazione espressionistica del reale che attrae, quasi con fascinazione ipnotica, verso il brutto e il deforme:
:«"L'Humorismo è attitudine speciale dell'intelletto e del carattere, per cui l'artista pone se stesso al posto delle cose" [citazione di Hegel]. Sostituire il fatto reale col fatto vero [...] ridere, riconfortarsi nella propria onestà; dileggiare altrui, manifestarsi lieto, non concedere al mondo la trista gioia d'esporgli le proprie sofferenze, che appunto il mondo gl'impone. [...] Questo è difendersi; questo è opporre violenza a violenza, volontà testarda a volontà incosciente; quali armi, il ridicolo, la satira, la falsa commiserazione, l'elogio a doppio taglio, come un bipenne, l'incenso affatturato da suffumigi d'ospedale, il ghigno, che sembra sorriso, la risata del disprezzo irrefrenato e convulsa, come una bestemmia!».


=== Citazioni ===
=== Citazioni ===
Riga 80: Riga 92:


<center>
<center>
{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una rivoluzione che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
{{citazione|Noi li asociali disinteressati fomentiamo questo intimo vulcano, cooperiamo a questa disgregazione: sopprimere l'attuale [[gerarchia]], sostituire delle altre e razionali [[autorità]]. Non si creda con questo ad un mio [[socialismo]]: ma ad un mio anarcheggiare. Lo stato di natura, di questa natura oggi saputa colle scienze, oggi allettata colle arti, oggi raffinata colla serie evolutiva delli esseri, compresa coll'amore e colla solidarietà umana, a questo stato di natura, come [[Gian Giacomo Rousseau]] anela il mio pensiero etico-politico. È sempre una [[Utopia]]. Ho un concetto tutto mio e tutto vago di uno [[Stato]] futuro. Lo [[Stato]] dovrebbe essere quella opera pia le leggi della quale dovrebbero essere meno evidenti e meno interruttive delle energie [[individuali]]. Pochissime leggi di carattere generale, che possano, pure stabilendo dei principii di massima, seguire lo sviluppo della umanità ed evolversi come la vita stessa si evolve. Oggi il codice arresta i movimenti. Domani il [[socialismo]] livellerà tutto al minimo comun denominatore della mediocrità operaja. Vi sono due tirannie: quella delle perversità ricche e raffinate (la presente), l'altra delle ignoranze barbare, presuntuose e brutali, della sciocca onestà umana (la futura [[socialista]]). Noi usciremo dall'una per ripiombare nell'altra, e forse senza il conforto di una [[rivoluzione]] che farebbe tanto bene alla nostra arte paurosa e vile, ma per crepuscoli d'anime, di istituti, di lustri sempre più grigi, soffocanti ed annojati. Credo che la funzione dello [[Stato]] sia semplicemente di amministrazione. Promuovere e conservare alla nazione una continua atmosfera di [[libertà]] in cui si possano compartire: cibo alla mente ed alla pancia; amore e sicurezza. Il Demo futuro deve essere maestro, nutrice, proxeneta, nel buon senso della parola. Nessuna legge che imponga una eguaglianza, né un privilegio: non preferire, né disprezzare. Perché eguaglianza non v'è in natura, e tutto si bilancia con equilibrio istabile sopra la equivalenza. I cittadini del mio Demo saranno certamente equivalenti in faccia alla comunità, non mai eguali, perché le qualità ed i difetti di natura non si possono mai né togliere né colmare. Certo io non sono Antinoo: posso essere Esopo: ora codeste due forze umane si equivalgono filosofìcamente, perché sono due bellezze.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>


<center>
<center>
Riga 86: Riga 98:


<center>
<center>
{{citazione|Ho notato che nella società attuale tutte le azioni umane qualunque siano sono equivalenti. Così una lirica ha lo stesso valore di un metro cubo di muratura. Tutto ciò è possibile solamente dopo
{{citazione|Ho notato che nella [[società]] attuale tutte le azioni umane qualunque siano sono equivalenti. Così una lirica ha lo stesso valore di un metro cubo di muratura. Tutto ciò è possibile solamente dopo
l'89 ed i grandi principii. Ma tutto ciò non significa ridur l'uomo al minimo comun denominatore? Per quanto il mio egoismo comprenda l’egoismo delli altri e si faccia in là per lasciargli posto, non vorrà certamente sacrificarsi in prò di un contadino, mi dia pure il frumento per il pane. Io sono abituato a mangiare idee: la pasta mi fa indigestione. Perché dunque questa equivalenza? - Il mio [[individualismo anarchico]] sorge da questa domanda vittorioso.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>
l'89 ed i grandi principii. Ma tutto ciò non significa ridur l'uomo al minimo comun denominatore? Per quanto il mio egoismo comprenda l’egoismo delli altri e si faccia in là per lasciargli posto, non vorrà certamente sacrificarsi in prò di un contadino, mi dia pure il frumento per il pane. Io sono abituato a mangiare idee: la pasta mi fa indigestione. Perché dunque questa equivalenza? - Il mio [[individualismo anarchico]] sorge da questa domanda vittorioso.|Gian Pietro Lucini (da ''Prose e canzoni amare'')}}</center>


64 364

contributi

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti il nostro utilizzo dei cookie.

Menu di navigazione