Anteo Zamboni: differenze tra le versioni

Da Anarcopedia.
Jump to navigation Jump to search
(Creata pagina con "Anteo Zamboni (Bologna, 1 febbraio 1911 – Bologna, 31 ottobre 1926) è stato un anarchico italiano, protagonista di un attentato fallito contro Benito...")
 
Nessun oggetto della modifica
Riga 1: Riga 1:
[[Anteo Zamboni]] (Bologna, [[1 febbraio]] [[1911]] – Bologna, [[31 ottobre]] [[1926]]) è stato un anarchico italiano, protagonista di un attentato fallito contro [[Benito Mussolini]]: morì a 15 anni linciato dagli squadristi, poco dopo il tentativo di uccidere il duce. L'episodio provocò un inasprimento della dittatura e la chiusura di alcuni giornali d'opposizione.  
[[Anteo Zamboni]] (Bologna, [[febbraio]] [[1911]] – Bologna, [[31 ottobre]] [[1926]]) è stato un anarchico italiano, protagonista di un attentato fallito contro [[Benito Mussolini]]: morì a 15 anni linciato dagli squadristi, poco dopo il tentativo di uccidere il duce. L'episodio provocò un inasprimento della dittatura e la chiusura di alcuni giornali d'opposizione.  




== Biografia ==
== Biografia ==
Anteo Zamboni nasce a Bologna il 1° febbraio 1911 da Mammolo e Viola Tabarroni. Frequenta la scuola fino alla 5a classe popolare, quindi lavora nella tipografia del padre come apprendista. Problematica l’attribuzione di una fede anarchica al ragazzo. Questi infatti, in sintonia con le posizioni politiche del padre che, pur continuando a professarsi anarchico, manifesta la sua adesione al fascismo e l’amicizia per il suo capo Arpinati, fin da ragazzino frequenta la vecchia sede del Fascio in via Marsala; è iscritto ai Balilla dal 1923 alla primavera 1926, quando lascia l’organizzazione per limiti di età e per l’impegno lavorativo; frequenta anche il Circolo rionale fascista “Armando Casalini”. In occasione dell’attentato al capo del fascismo dell’anarchico Lucetti, nel settembre 1926, Anteo, al mare a Bellaria, avrebbe scritto sulla sabbia frasi varie come “W il Duce”, “Abbasso i traditori” e simili. Il 31 ottobre 1926, quando a Bologna, nel pieno delle celebrazioni per la rivoluzione fascista, Mussolini è bersaglio di un colpo di pistola, Anteo, appena quindicenne, viene fermato, perché riconosciuto o comunque indicato come l’attentatore, disarmato e linciato dalla folla, fra cui sono presenti diversi militi fascisti che lo pugnalano a morte. L’attentato di Bologna fa scattare in tutto il paese la reazione violenta dei fascisti e dà l’occasione al regime di promulgare leggi eccezionali, per sopprimere garanzia politica liberal-democratica e instaurare la dittatura, e viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che applica il codice penale di guerra contro l’opposizione antifascista. Sulla dinamica dell’attentato e sull’identità dell’attentatore i dubbi fioriscono subito, alimentati da diverse testimonianze contraddittorie, fra cui, in primis, quella stessa di Mussolini che nella sua deposizione descrive una fisionomia di attentatore diversa da quella del ragazzo. Gli inquirenti, alla ricerca di prove della colpevolezza del giovane e di mandanti, individuano nella famiglia – in particolare nel padre Mammolo, nella zia Virginia Tabarroni, e nel fratello Lodovico – i complici di un complotto anarchico. Le prove a carico del ragazzo sono: l’arma inceppata che gli è stata tolta e che apparteneva al padre; la copia de I miserabili di Victor Hugo trovata, nella perquisizione, sul suo comodino da notte; un quadernetto scritto a matita dal titolo “Frasi e motti celebri”, contenente frasi del tipo “Nessuno fece tanto bene ai suoi amici, tanto male ai suoi nemici” di Silla o il “Venni, Vidi, Vinsi” di Cesare, ma anche “Non posso amarti perché non so se vivrò dopo aver compiuto quello che mi sono promesso”, “Uccidere un tiranno che strazia una Nazione, non è delitto, è Giustizia”, e “Per la libertà morire è bello e santo”, tutte siglate dalla lettera A. e, come tali, considerate il “testamento morale” di Anteo. Mentre vengono messe a tacere altre inchieste che puntano agli ambienti dei dissidenti fascisti (in particolare dei sostenitori di Farinacci) come possibili autori o mandanti dell’attentato – rispetto ai quali Anteo avrebbe potuto essere strumento più o meno consapevole oppure vittima casuale sostitutiva – si condannano i familiari, chiudendo così ogni altra ipotesi investigativa e il fiorire di voci considerate dannose alla saldezza del regime. L’imbarazzante dilemma se Anteo sia stato una “vittima” inconsapevole o un “martire” della lotta al fascismo accompagna la tragica vicenda da subito, trovando un eco particolare negli ambienti degli esuli antifascisti, che, in prevalenza, propendono o per la innocenza del ragazzo o per un suo uso strumentale da parte di fascisti; unica voce discordante quella di un gruppo anarchico di Parigi, che, sia sul giornale «La Diana» (a cui collaborano anche gli anarchici italiani “iconoclasti” Paolo Schicchi e Renato Siglich,), sia nell’opuscolo dal titolo significativo Anteo Zamboni assassinato due volte, pubblicato nel 1929 sotto lo pseudonimo di “Sieglinde” (in cui è probabilmente da ravvisare lo stesso Siglich), sostiene la volontà tirannicida del ragazzo. Il dilemma si riapre nel dopoguerra, quando il padre Mammolo, dopo aver sostenuto per anni l’assoluta innocenza di Anteo, come prova anche della propria, in un opuscolo da lui edito nel 1946 paleserà la tesi della volontarietà del gesto del figlio. Anche in sede storica l’enigma della responsabilità o meno di Anteo è stato a lungo dibattuto, con differenti soluzioni prospettate che mantengono a tutt’oggi, con l’ambiguità delle fonti a disposizione, margini di non risolutività. (B. Dalla Casa)
Anteo Zamboni nasce a Bologna il 1° febbraio 1911 da Mammolo e Viola Tabarroni. Frequenta la scuola fino alla 5a classe popolare, quindi lavora nella tipografia del padre come apprendista. Problematica l’attribuzione di una fede anarchica al ragazzo. Questi infatti, in sintonia con le posizioni politiche del padre che, pur continuando a professarsi anarchico, manifesta la sua adesione al fascismo e l’amicizia per il suo capo Arpinati, fin da ragazzino frequenta la vecchia sede del Fascio in via Marsala; è iscritto ai Balilla dal 1923 alla primavera 1926, quando lascia l’organizzazione per limiti di età e per l’impegno lavorativo; frequenta anche il Circolo rionale fascista “Armando Casalini”. In occasione dell’attentato al capo del fascismo dell’anarchico Lucetti, nel settembre 1926, Anteo, al mare a Bellaria, avrebbe scritto sulla sabbia frasi varie come “W il Duce”, “Abbasso i traditori” e simili. Il 31 ottobre 1926, quando a Bologna, nel pieno delle celebrazioni per la rivoluzione fascista, Mussolini è bersaglio di un colpo di pistola, Anteo, appena quindicenne, viene fermato, perché riconosciuto o comunque indicato come l’attentatore, disarmato e linciato dalla folla, fra cui sono presenti diversi militi fascisti che lo pugnalano a morte. L’attentato di Bologna fa scattare in tutto il paese la reazione violenta dei fascisti e dà l’occasione al regime di promulgare leggi eccezionali, per sopprimere garanzia politica liberal-democratica e instaurare la dittatura, e viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che applica il codice penale di guerra contro l’opposizione antifascista. Sulla dinamica dell’attentato e sull’identità dell’attentatore i dubbi fioriscono subito, alimentati da diverse testimonianze contraddittorie, fra cui, in primis, quella stessa di Mussolini che nella sua deposizione descrive una fisionomia di attentatore diversa da quella del ragazzo. Gli inquirenti, alla ricerca di prove della colpevolezza del giovane e di mandanti, individuano nella famiglia – in particolare nel padre Mammolo, nella zia Virginia Tabarroni, e nel fratello Lodovico – i complici di un complotto anarchico. Le prove a carico del ragazzo sono: l’arma inceppata che gli è stata tolta e che apparteneva al padre; la copia de I miserabili di Victor Hugo trovata, nella perquisizione, sul suo comodino da notte; un quadernetto scritto a matita dal titolo “Frasi e motti celebri”, contenente frasi del tipo “Nessuno fece tanto bene ai suoi amici, tanto male ai suoi nemici” di Silla o il “Venni, Vidi, Vinsi” di Cesare, ma anche “Non posso amarti perché non so se vivrò dopo aver compiuto quello che mi sono promesso”, “Uccidere un tiranno che strazia una Nazione, non è delitto, è Giustizia”, e “Per la libertà morire è bello e santo”, tutte siglate dalla lettera A. e, come tali, considerate il “testamento morale” di Anteo. Mentre vengono messe a tacere altre inchieste che puntano agli ambienti dei dissidenti fascisti (in particolare dei sostenitori di Farinacci) come possibili autori o mandanti dell’attentato – rispetto ai quali Anteo avrebbe potuto essere strumento più o meno consapevole oppure vittima casuale sostitutiva – si condannano i familiari, chiudendo così ogni altra ipotesi investigativa e il fiorire di voci considerate dannose alla saldezza del regime. L’imbarazzante dilemma se Anteo sia stato una “vittima” inconsapevole o un “martire” della lotta al fascismo accompagna la tragica vicenda da subito, trovando un eco particolare negli ambienti degli esuli antifascisti, che, in prevalenza, propendono o per la innocenza del ragazzo o per un suo uso strumentale da parte di fascisti; unica voce discordante quella di un gruppo anarchico di Parigi, che, sia sul giornale «La Diana» (a cui collaborano anche gli anarchici italiani “iconoclasti” Paolo Schicchi e Renato Siglich,), sia nell’opuscolo dal titolo significativo Anteo Zamboni assassinato due volte, pubblicato nel 1929 sotto lo pseudonimo di “Sieglinde” (in cui è probabilmente da ravvisare lo stesso Siglich), sostiene la volontà tirannicida del ragazzo. Il dilemma si riapre nel dopoguerra, quando il padre Mammolo, dopo aver sostenuto per anni l’assoluta innocenza di Anteo, come prova anche della propria, in un opuscolo da lui edito nel 1946 paleserà la tesi della volontarietà del gesto del figlio. Anche in sede storica l’enigma della responsabilità o meno di Anteo è stato a lungo dibattuto, con differenti soluzioni prospettate che mantengono a tutt’oggi, con l’ambiguità delle fonti a disposizione, margini di non risolutività. (B. Dalla Casa)

Versione delle 21:29, 30 mag 2020

Anteo Zamboni (Bologna, 1° febbraio 1911 – Bologna, 31 ottobre 1926) è stato un anarchico italiano, protagonista di un attentato fallito contro Benito Mussolini: morì a 15 anni linciato dagli squadristi, poco dopo il tentativo di uccidere il duce. L'episodio provocò un inasprimento della dittatura e la chiusura di alcuni giornali d'opposizione.


Biografia

Anteo Zamboni nasce a Bologna il 1° febbraio 1911 da Mammolo e Viola Tabarroni. Frequenta la scuola fino alla 5a classe popolare, quindi lavora nella tipografia del padre come apprendista. Problematica l’attribuzione di una fede anarchica al ragazzo. Questi infatti, in sintonia con le posizioni politiche del padre che, pur continuando a professarsi anarchico, manifesta la sua adesione al fascismo e l’amicizia per il suo capo Arpinati, fin da ragazzino frequenta la vecchia sede del Fascio in via Marsala; è iscritto ai Balilla dal 1923 alla primavera 1926, quando lascia l’organizzazione per limiti di età e per l’impegno lavorativo; frequenta anche il Circolo rionale fascista “Armando Casalini”. In occasione dell’attentato al capo del fascismo dell’anarchico Lucetti, nel settembre 1926, Anteo, al mare a Bellaria, avrebbe scritto sulla sabbia frasi varie come “W il Duce”, “Abbasso i traditori” e simili. Il 31 ottobre 1926, quando a Bologna, nel pieno delle celebrazioni per la rivoluzione fascista, Mussolini è bersaglio di un colpo di pistola, Anteo, appena quindicenne, viene fermato, perché riconosciuto o comunque indicato come l’attentatore, disarmato e linciato dalla folla, fra cui sono presenti diversi militi fascisti che lo pugnalano a morte. L’attentato di Bologna fa scattare in tutto il paese la reazione violenta dei fascisti e dà l’occasione al regime di promulgare leggi eccezionali, per sopprimere garanzia politica liberal-democratica e instaurare la dittatura, e viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che applica il codice penale di guerra contro l’opposizione antifascista. Sulla dinamica dell’attentato e sull’identità dell’attentatore i dubbi fioriscono subito, alimentati da diverse testimonianze contraddittorie, fra cui, in primis, quella stessa di Mussolini che nella sua deposizione descrive una fisionomia di attentatore diversa da quella del ragazzo. Gli inquirenti, alla ricerca di prove della colpevolezza del giovane e di mandanti, individuano nella famiglia – in particolare nel padre Mammolo, nella zia Virginia Tabarroni, e nel fratello Lodovico – i complici di un complotto anarchico. Le prove a carico del ragazzo sono: l’arma inceppata che gli è stata tolta e che apparteneva al padre; la copia de I miserabili di Victor Hugo trovata, nella perquisizione, sul suo comodino da notte; un quadernetto scritto a matita dal titolo “Frasi e motti celebri”, contenente frasi del tipo “Nessuno fece tanto bene ai suoi amici, tanto male ai suoi nemici” di Silla o il “Venni, Vidi, Vinsi” di Cesare, ma anche “Non posso amarti perché non so se vivrò dopo aver compiuto quello che mi sono promesso”, “Uccidere un tiranno che strazia una Nazione, non è delitto, è Giustizia”, e “Per la libertà morire è bello e santo”, tutte siglate dalla lettera A. e, come tali, considerate il “testamento morale” di Anteo. Mentre vengono messe a tacere altre inchieste che puntano agli ambienti dei dissidenti fascisti (in particolare dei sostenitori di Farinacci) come possibili autori o mandanti dell’attentato – rispetto ai quali Anteo avrebbe potuto essere strumento più o meno consapevole oppure vittima casuale sostitutiva – si condannano i familiari, chiudendo così ogni altra ipotesi investigativa e il fiorire di voci considerate dannose alla saldezza del regime. L’imbarazzante dilemma se Anteo sia stato una “vittima” inconsapevole o un “martire” della lotta al fascismo accompagna la tragica vicenda da subito, trovando un eco particolare negli ambienti degli esuli antifascisti, che, in prevalenza, propendono o per la innocenza del ragazzo o per un suo uso strumentale da parte di fascisti; unica voce discordante quella di un gruppo anarchico di Parigi, che, sia sul giornale «La Diana» (a cui collaborano anche gli anarchici italiani “iconoclasti” Paolo Schicchi e Renato Siglich,), sia nell’opuscolo dal titolo significativo Anteo Zamboni assassinato due volte, pubblicato nel 1929 sotto lo pseudonimo di “Sieglinde” (in cui è probabilmente da ravvisare lo stesso Siglich), sostiene la volontà tirannicida del ragazzo. Il dilemma si riapre nel dopoguerra, quando il padre Mammolo, dopo aver sostenuto per anni l’assoluta innocenza di Anteo, come prova anche della propria, in un opuscolo da lui edito nel 1946 paleserà la tesi della volontarietà del gesto del figlio. Anche in sede storica l’enigma della responsabilità o meno di Anteo è stato a lungo dibattuto, con differenti soluzioni prospettate che mantengono a tutt’oggi, con l’ambiguità delle fonti a disposizione, margini di non risolutività. (B. Dalla Casa)