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== La maturità e il "socialismo patriottico" == | == La maturità e il "socialismo patriottico" == | ||
Prova principe di | Prova principe dell'"inversione di rotta" ideologica del Pascoli può essere considerato l'inno ''Al Re Umberto'' <ref>''[https://www.ilsommopoeta.it/pascoli/al-re-umberto Al Re Umberto]''</ref>, composto nel [[1900]], quando Umberto I venne ucciso da [[Gaetano Bresci]] <ref>Quando il re Umberto venne colpito a morte, fu lo stesso Pascoli a incaricarsi di dar voce al dolore esterrefatto della nazione, essendo il suo maestro Giosuè Carducci impossibilitato a farlo per via della paralisi provocatagli da un ictus (Lucio Villari, cap. IV, § 1, in ''Notturno italiano: l'esordio inquieto del Novecento'', Laterza, 2014).</ref> (definito nel testo un folle dal lugubre riso): Pascoli, rimasto amareggiato dall'accaduto, accompagnò all'inno, apparso sul settimanale ''Il Marzocco'', una dedica in cui univa i temi del [[patriottismo]] a quelli del [[socialismo]], diventando un predecessore del patriottismo socialista o del socialismo nazionale (posizione che da quel momento in avanti mantenne sempre): «Dedico quest'inno al Partito dei giovani, cioè ai giovani senza partito, cioè ai giovani ancor liberi, che vogliono conservare la libertà che è così cara che la vita non è più cara: la libertà dei palpiti del cuore! Sì che il loro cuore può battere per le otto ore di lavoro e per la spedizione in Cina, ed esecrare il domicilio coatto e abominare l'assassinio politico, e alzare il medesimo inno al muratore che cade dal palco e all'artigliere che spira abbracciato al suo cannone. Siate degni di Dante, o figli di Dante!». | ||
Il Pascoli maturo coltivò quindi la sua fede [[socialista]], ma non più in direzione dell'[[anarchia]] e della [[rivoluzione]], piuttosto verso una solidarietà umana tra lavoratori, auspicando delle riforme sociali ed economiche che migliorassero la condizione dei poveri. Si interessò ai problemi dei piccoli contadini, spesso privi di terra e costretti a emigrare all'estero, e sperò che una politica di prestiti agevolati consentisse loro di acquistare un podere con cui sostenersi, con un programma umanitario e filantropico. Si trattava di una visione decisamente distante dalle idee giovanili e non molto realistica, dato che la crisi della piccola proprietà agricola si accentuò agli inizi del '900. Ciò spiega in parte la svolta politica di Pascoli degli ultimi anni: Pascoli si convinse che i problemi dei lavoratori si potevano risolvere con la politica coloniale e la lotta tra le nazioni, occupando cioè terre straniere dove i contadini sarebbero stati coloni e non più migranti sfruttati all'estero. In questo senso va letto il discorso «La grande proletaria si è mossa», pronunciato nel [[1911]] per celebrare i morti e i feriti della guerra di Libia, e in generale il favore accordato a quell'impresa come mezzo per dare speranza agli italiani impoveriti dalla crisi. Dunque la parabola politica di Pascoli non fu priva di contraddizioni, ma la sua militanza giovanile si inseriva in un Paese segnato da gravi tensioni, in cui il problema della povertà era diffuso e almeno in parte vissuto da lui stesso in prima persona. La sua posizione, per certi versi ingenua, ebbe il merito di riflettere nei suoi testi un tema non molto trattato al tempo se non in termini conservatori (si veda l'ultimo Verga): nelle opere di Pascoli entrano i poveri e gli emigranti, verso i quali ebbe un sincero interesse. | Il Pascoli maturo coltivò quindi la sua fede [[socialista]], ma non più in direzione dell'[[anarchia]] e della [[rivoluzione]], piuttosto verso una solidarietà umana tra lavoratori, auspicando delle riforme sociali ed economiche che migliorassero la condizione dei poveri. Si interessò ai problemi dei piccoli contadini, spesso privi di terra e costretti a emigrare all'estero, e sperò che una politica di prestiti agevolati consentisse loro di acquistare un podere con cui sostenersi, con un programma umanitario e filantropico. Si trattava di una visione decisamente distante dalle idee giovanili e non molto realistica, dato che la crisi della piccola proprietà agricola si accentuò agli inizi del '900. Ciò spiega in parte la svolta politica di Pascoli degli ultimi anni: Pascoli si convinse che i problemi dei lavoratori si potevano risolvere con la politica coloniale e la lotta tra le nazioni, occupando cioè terre straniere dove i contadini sarebbero stati coloni e non più migranti sfruttati all'estero. In questo senso va letto il discorso «La grande proletaria si è mossa», pronunciato nel [[1911]] per celebrare i morti e i feriti della guerra di Libia, e in generale il favore accordato a quell'impresa come mezzo per dare speranza agli italiani impoveriti dalla crisi. Dunque la parabola politica di Pascoli non fu priva di contraddizioni, ma la sua militanza giovanile si inseriva in un Paese segnato da gravi tensioni, in cui il problema della povertà era diffuso e almeno in parte vissuto da lui stesso in prima persona. La sua posizione, per certi versi ingenua, ebbe il merito di riflettere nei suoi testi un tema non molto trattato al tempo se non in termini conservatori (si veda l'ultimo Verga): nelle opere di Pascoli entrano i poveri e gli emigranti, verso i quali ebbe un sincero interesse. |