Franz Kafka: differenze tra le versioni

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=== ''Il Processo'' (''Der Prozeß'') e ''Il Castello'' (''Das Schloß''): la lettura di [[Hannah Arendt]] ===
=== ''Il Processo'' (''Der Prozeß'') e ''Il Castello'' (''Das Schloß''): la lettura di [[Hannah Arendt]] ===
Nei saggi '''''Franz Kafka: l'uomo di buona volontà''''' e '''''Franz Kafka: il costruttore di modelli''''' [[Hannah Arendt]] analizza alcune opere di Kafka, tra cui ''Il Processo'' e ''Il Castello'', sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.
Nei saggi ''Franz Kafka: l'uomo di buona volont'' e ''Franz Kafka: il costruttore di modelli'' [[Hannah Arendt]] analizza alcune opere di Kafka, tra cui ''Il Processo'' e ''Il Castello'', sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.


Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa (si legga il commento di Roberto Calasso <ref name="cal">Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». «Se ciò che sarebbe stato distrutto in paradiso era distruttibile, allora non era decisivo, ma se era indistruttibile, allora viviamo in una falsa credenza». Roberto Calasso commenta quest'ultimo aforisma collegandolo ad un altro: «Noi non siamo nel peccato soltanto perché abbiamo mangiato dall'Albero della Conoscenza, ma anche perché non abbiamo ancora mangiato dall'Albero della Vita. Peccaminoso è lo stato in cui ci troviamo, indipendentemente dalla colpa». «Ora [scrive Calasso], tutto il mondo era per Kafka "una falsa credenza" - e di questo si parlava nei suoi scritti: degli enormi, inesauribili, tortuosi sviluppi di quella falsa credenza. Originata da che cosa? Da un fatale equivoco intorno ai due alberi che crescono al centro del paradiso. Gli uomini sono convinti di essere stati cacciati da quel luogo perché hanno mangiato il frutto dell'Albero della Conoscenza del bene e del male. Ma questa è un'illusione. Non era quella la loro colpa. La loro colpa sta nel non avere ancora mangiato dall'Albero della Vita. La cacciata dal paradiso era un pretesto per impedirlo. Noi siamo nel peccato non perché siamo stati cacciati dal paradiso, ma perché quell'espulsione ci ha resi incapaci di compiere un gesto: mangiare dall'Albero della Vita».</ref>) che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».
Ne '''''Il Processo''''' la sottomissione di Josef K., protagonista di un'assurda e terribile odissea giudiziaria che lo vede arrestato, processato e condannato senza mai avere contezza del proprio capo d'accusa, non avviene «con mezzi violenti, ma semplicemente con il crescente senso di colpa (si legga il commento di Roberto Calasso <ref name="cal">Dagli ''Aforismi di Zürau'': «L'uomo non può vivere senza una costante fiducia in qualcosa di indistruttibile dentro di sé, anche se quell'indistruttibile come pure quella fiducia possono rimanergli costantemente nascosti. Una delle possibilità di esprimersi, per tale rimanere nascosto, è la fede in un Dio personale». «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso». «L'indistruttibile è uno; ogni singolo uomo lo è e al tempo stesso è comune a tutti, da qui il legame fra gli uomini, indissolubile come nessun altro». «Se ciò che sarebbe stato distrutto in paradiso era distruttibile, allora non era decisivo, ma se era indistruttibile, allora viviamo in una falsa credenza». Roberto Calasso commenta quest'ultimo aforisma collegandolo ad un altro: «Noi non siamo nel peccato soltanto perché abbiamo mangiato dall'Albero della Conoscenza, ma anche perché non abbiamo ancora mangiato dall'Albero della Vita. Peccaminoso è lo stato in cui ci troviamo, indipendentemente dalla colpa». «Ora [scrive Calasso], tutto il mondo era per Kafka "una falsa credenza" - e di questo si parlava nei suoi scritti: degli enormi, inesauribili, tortuosi sviluppi di quella falsa credenza. Originata da che cosa? Da un fatale equivoco intorno ai due alberi che crescono al centro del paradiso. Gli uomini sono convinti di essere stati cacciati da quel luogo perché hanno mangiato il frutto dell'Albero della Conoscenza del bene e del male. Ma questa è un'illusione. Non era quella la loro colpa. La loro colpa sta nel non avere ancora mangiato dall'Albero della Vita. La cacciata dal paradiso era un pretesto per impedirlo. Noi siamo nel peccato non perché siamo stati cacciati dal paradiso, ma perché quell'espulsione ci ha resi incapaci di compiere un gesto: mangiare dall'Albero della Vita».</ref>) che l'accusa vuota ed immotivata riesce a destare nell'imputato [...] Al funzionamento della diabolica macchina burocratica in cui l'innocente si trova preso si accompagna, quindi, una evoluzione interiore provocata dal senso di colpa. Dal suo progredire il protagonista viene "educato", modificato e formato tanto da venir adattato al ruolo che si è escogitato per lui e che lo rende semplice compartecipe del gioco universale della necessità, dell'ingiustizia e della menzogna. Questo è il modo in cui il protagonista si adatta alla sua situazione, e questi due processi concomitanti, l'evoluzione interiore e il funzionamento della macchina, s'incontrano infine nella scena conclusiva, quando K. si lascia portar via e poi giustiziare, senza la minima protesta o resistenza. Viene ucciso perché è "necessario", e si sottomette per questa necessità e per il turbamento dovuto al suo senso di colpa. E la sola speranza che balena alla fine del romanzo resta: "Era come se la vergogna dovesse sopravvivergli". La vergogna, cioè, che tale sia l'ordine del mondo e che lui, Josef K., ne sia, anche se vittima, un docile membro».
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