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Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini». | Ne '''''Il Castello''''' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona [[Volontarismo|volontà]]: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona [[Volontarismo|volontà]] che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref> Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] ''Il Castello'' mette in luce un'importante verità: «Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. [...] nella società contemporanea le forze di un singolo [[individuo]] possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere una esistenza umana. Solo nell'ambito di un popolo l'[[individuo]] può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini». | ||
Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te». | Secondo [[Hannah Arendt|Arendt]] nei romanzi kafkiani «La funzione del protagonista è sempre la stessa: scopre che il mondo e la [[società]] normali sono in realtà anormali, che i giudizi unanimemente accettati delle persone più rispettabili sono sostanzialmente follie e che le azioni condotte secondo le regole del gioco finiscono per rovinare tutti. Gli eroi di Kafka non sono spinti da convinzioni [[rivoluzionarie]], ma esclusivamente dalla buona [[Volontarismo|volontà]] che, quasi inconsapevolmente ed involontariamente, mette a nudo le strutture segrete di questo mondo. [...] I suoi romanzi rappresentano [...] una distruzione anticipata del mondo: dalla sue rovine fa sorgere l'immagine sublime d'un [[individuo]] ideale che con la sua buona [[Volontarismo|volontà]] può davvero spostare montagne, costruire nuovi mondi e pure passare indenne attraverso la distruzione e le macerie di tutte le precedenti costruzioni difettose e vacillanti perché a lui, infatti, solo che egli sia di buona [[Volontarismo|volontà]], gli dei hanno dato un cuore indistruttibile. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «In teoria esiste una perfetta possibilità di felicità: credere nell'indistruttibile in sé e non aspirare ad esso».</ref> E poiché gli eroi di Kafka non sono persone con cui venga naturale identificarsi, bensì soltanto dei modelli che sono abbandonati nell'anonimato a dispetto dei loro nomi, ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esortato con quei nomi. Infatti, quest'uomo di buona [[Volontarismo|volontà]] può essere chiunque ed ognuno, forse persino io e te». | ||
=== ''Davanti alla Legge'' === | === ''Davanti alla Legge'' === |