Franz Kafka: differenze tra le versioni

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Altri racconti importanti pubblicati in vita sono: ''Richard e Samuel'' ([[1911]]), ''Il fuochista'' ([[1913]]), ''La condanna'' ([[1912]]), ''La metamorfosi'' ([[1912]]), ''Nella colonia penale'' <ref>Lo storico Enzo Traverso ha osservato: «''Nella colonia penale'' sembrava annunciare i massacri anonimi del XX secolo, nei quali l'uccisione di massa diventa un'operazione tecnica sempre più sottratta all'intervento diretto degli uomini. [...] L'erpice immaginato da Kafka, che incideva sulla pelle della vittima la sentenza capitale, ricorda in modo impressionante il tatuaggio ''Häftlinge'' ad Auschwitz, quel numero indelebile che, come dice [[Primo Levi]], faceva sentire "la propria condanna scritta sulla carne"» (da ''L'Historie déchirée. Essai sur Auschwitz et les intellectuels'', Cerf, Parigi, [[1997]], pp. 52-53).</ref> ([[1914]]), ''Un sogno'' ([[1914]]-[[1915|15]]), ''Un medico di campagna'' ([[1916]]-[[1917|17]]), ''Un vecchio foglio'' ([[1917]]), ''Due storie di animali'' ([[1917]]).
Altri racconti importanti pubblicati in vita sono: ''Richard e Samuel'' ([[1911]]), ''Il fuochista'' ([[1913]]), ''La condanna'' ([[1912]]), ''La metamorfosi'' ([[1912]]), ''Nella colonia penale'' <ref>Lo storico Enzo Traverso ha osservato: «''Nella colonia penale'' sembrava annunciare i massacri anonimi del XX secolo, nei quali l'uccisione di massa diventa un'operazione tecnica sempre più sottratta all'intervento diretto degli uomini. [...] L'erpice immaginato da Kafka, che incideva sulla pelle della vittima la sentenza capitale, ricorda in modo impressionante il tatuaggio ''Häftlinge'' ad Auschwitz, quel numero indelebile che, come dice [[Primo Levi]], faceva sentire "la propria condanna scritta sulla carne"» (da ''L'Historie déchirée. Essai sur Auschwitz et les intellectuels'', Cerf, Parigi, [[1997]], pp. 52-53).</ref> ([[1914]]), ''Un sogno'' ([[1914]]-[[1915|15]]), ''Un medico di campagna'' ([[1916]]-[[1917|17]]), ''Un vecchio foglio'' ([[1917]]), ''Due storie di animali'' ([[1917]]).
=== ''Il Processo'' (''Der Prozess'') e ''Il Castello'' (''Das Schloß''): la lettura di [[Hannah Arendt]] ===
Nei saggi ''Franz Kafka: l'uomo di buona volontà'' e ''Franz Kafka: il costruttore di modelli'' [[Hannah Arendt]] analizza alcune opere di Kafka, tra cui ''Il Processo'' e ''Il Castello'', sottraendole totalmente ad interpretazioni teologiche e psicologiche.
Ne ''Il Castello'' viene descritta «una [[società]] in cui gli abitanti del villaggio, controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il [[potere]], si sono resi conto già da tempo che l'aver torto o ragione è un "destino" in cui non è dato di mutare nulla». Il protagonista del romanzo, K. l'agrimensore, è invece «un uomo di buona volontà: non chiede mai nulla di più del giusto, ma non è neanche disposto ad accontentarsi di meno. [...] E con crescente terrore K. si accorge che quella normalità, quella umanità, quei diritti umani che lui ha sempre creduto naturali per gli altri in realtà non esistono affatto. [...] Non c'è posto per uomini di buona volontà che vogliano decidere della propria vita». La paura degli abitanti del villaggio è però infondata: non si avvera nessuna delle infauste previsioni che essi fanno sul conto del protagonista: «A K. non succede proprio niente; solo la sua richiesta di un regolare permesso di soggiorno continua ad essere respinta con mille pretesti dal Castello. [...] Tuttavia, sebbene non sia riuscito a realizzare i suoi propositi, la sua vita non è stata affatto un completo fallimento. La lotta da lui sostenuta per strappare alla società i diritti che gli spettavano ha, se non altro, aperto gli occhi a parecchi abitanti del villaggio. La storia ed il comportamento di K. hanno insegnato loro che vale la pena di lottare per i propri diritti umani e che la legge del Castello, non essendo di natura divina, può essere contestata». <ref>[[Hannah Arendt|Arendt]] indica a tal proposito un passaggio chiave del romanzo: «Hai una straordinaria visione delle cose [...] A volte mi aiuti con una parola, certamente perché vieni da fuori. Invece noi, con le nostre terribili esperienze e continue ansie, ci spaventiamo senza difenderci ad ogni scricchiolio, e se uno ha paura subito ce l'ha anche l'altro pur senza sapere esattamente perché. In questo modo non si riesce più a dare una giusta valutazione delle cose. [...] Che fornuna per noi che sei venuto!».</ref>


=== ''Davanti alla Legge'' ===
=== ''Davanti alla Legge'' ===
''Davanti alla legge'' (''Vor dem Gesetz'') è una storia contenuta nel romanzo ''Il Processo'' (''Der Prozess''): vi si racconta di un uomo che attende per tutta la vita davanti alla porta aperta della Legge, il cui ingresso gli è vietato dal guardiano con le parole «non ora», che lasciano intravedere un consenso futuro. Quando l'uomo giunge alal fine della sua resistenza e della sua vita, il guardiano gli rivela che quella porta era aperta solo per lui, e la richiude. Secondo alcuni interpreti, l'uomo si è fatto intimidire: non è la forza che gli impedisce di entrare, ma la paura, la mancanza di fiducia in se stesso, la falsa obbedienza all'[[autorità]], la sottomissione passiva. «È perduto perché non osa mettere la propria legge personale al di sopra dei tabù collettivi, la cui tirannia è rappresentata dal guardiano». <ref>Marthe Robert, ''Seul comme Franz Kafka'', Calmann Lévy, Parigi, [[1979]], p. 162.</ref> La ragione profonda per la quale l'uomo non varca la barriera verso la Legge e verso la vita è la paura, l'esitazione, la mancanza di ardimento. Il timore di colui che implora il diritto di entrare è ciò che dà al guardiano la forza di sbarragli la strada. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Le gioie di questa vita non sono le sue, ma la nostra paura di ascendere a una vita superiore; i tormenti di questa vita non sono i suoi, ma il tormento che ci procuriamo noi stessi per via di quella paura».</ref> La naturale conseguenza di questa sottomissione passiva è la schiavitù volontaria <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda».</ref> <ref>Si veda anche il ''[[Étienne_de_La_Boétie#Discorso_sulla_servitù_volontaria|Discorso sulla servitù volontaria]]'' di [[Étienne de La Boétie]].</ref>, motore della [[gerarchia]], tema che Kafka aveva certamente trovato nell'opera di uno scrittore che adorava: [[Fëdor Dostoevskij]]. <ref>Da ''Il sogno di un uomo ridicolo'': «Comparve la schiavitù, comparve perfino la schiavitù volontaria: i deboli si
''Davanti alla legge'' (''Vor dem Gesetz'') è una storia contenuta nel romanzo ''Il Processo'': vi si racconta di un uomo che attende per tutta la vita davanti alla porta aperta della Legge, il cui ingresso gli è vietato dal guardiano con le parole «non ora», che lasciano intravedere un consenso futuro. Quando l'uomo giunge alal fine della sua resistenza e della sua vita, il guardiano gli rivela che quella porta era aperta solo per lui, e la richiude. Secondo alcuni interpreti, l'uomo si è fatto intimidire: non è la forza che gli impedisce di entrare, ma la paura, la mancanza di fiducia in se stesso, la falsa obbedienza all'[[autorità]], la sottomissione passiva. «È perduto perché non osa mettere la propria legge personale al di sopra dei tabù collettivi, la cui tirannia è rappresentata dal guardiano». <ref>Marthe Robert, ''Seul comme Franz Kafka'', Calmann Lévy, Parigi, [[1979]], p. 162.</ref> La ragione profonda per la quale l'uomo non varca la barriera verso la Legge e verso la vita è la paura, l'esitazione, la mancanza di ardimento. Il timore di colui che implora il diritto di entrare è ciò che dà al guardiano la forza di sbarragli la strada. <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Le gioie di questa vita non sono le sue, ma la nostra paura di ascendere a una vita superiore; i tormenti di questa vita non sono i suoi, ma il tormento che ci procuriamo noi stessi per via di quella paura».</ref> La naturale conseguenza di questa sottomissione passiva è la schiavitù volontaria <ref>Dagli ''Aforismi di Zürau'': «Una volta accolto in noi, il male non chiede più che gli si creda».</ref> <ref>Si veda anche il ''[[Étienne_de_La_Boétie#Discorso_sulla_servitù_volontaria|Discorso sulla servitù volontaria]]'' di [[Étienne de La Boétie]].</ref>, motore della [[gerarchia]], tema che Kafka aveva certamente trovato nell'opera di uno scrittore che adorava: [[Fëdor Dostoevskij]]. <ref>Da ''Il sogno di un uomo ridicolo'': «Comparve la schiavitù, comparve perfino la schiavitù volontaria: i deboli si
assoggettavano volentieri ai più forti, a patto solo che questi li proteggessero e li aiutassero a schiacciare quelli che erano ancor più deboli di loro».</ref>
assoggettavano volentieri ai più forti, a patto solo che questi li proteggessero e li aiutassero a schiacciare quelli che erano ancor più deboli di loro».</ref>


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