Gian Pietro Lucini: differenze tra le versioni

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Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.
Nell'opera ''Filosofi ultimi'' Lucini si scagliò alla sua maniera sapida e caustica contro le correnti più recenti ed innovative del mondo filosofico di quegli anni: egli tentò di corrodere e tarlare, secondo una modalità che si rifaceva apertamente allo stile di [[Giovanni Papini]] e del suo lavoro ''Il Crepuscolo dei filosofi'' ([[1906]]), il neoidealismo di Benedetto Croce, il pragmatismo di William James, il contingentismo di Émile Boutroux, l'intuizionismo di Henri Bergson, il trascendentalismo di Otto Weininger; quest'ultimo in particolare, tra i nuovi filosofi, fu il più osteggiato dal poeta italiano, che apertamente lo liquidò come un folle, pur ammirandone la bellezza suadente della prosa.


L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la società stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade [[Carlo Cattaneo]] [[Giovanni Bovio]] [[Giulio Lazzarini]]. [[Giovanni Bovio]], filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, aveva invece secondo lo scrittore milanese costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.
L'asse portante dell'opera è il concetto di decadenza moderna della filosofia, definita da Lucini come «amore della verità, studio e ricerca di quei mezzi intellettuali per cui se ne avvicina il possesso». A questo inarrestabile processo involutivo determinato dalla modernità e che contamina non solo la filosofia ma la società stessa che la ospita, l'autore contrappone «la saldezza e il valore filosofico» della triade Carlo Cattaneo – Giovanni Bovio – Giulio Lazzarini. Giovanni Bovio, filosofo repubblicano indicato dai neoidealisti come un positivista, secondo lo scrittore milanese aveva invece costruito un sistema filosofico che si autodefiniva naturalismo matematico e che aveva superato le angustie e le contraddizioni della metafisica positivistica di [[Auguste Comte]] e di [[Herbert Spencer]], raggiungendo una maggiore consapevolezza e un più robusto rigore scientifico.


Secondo [[Giulio Lazzarini]], dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».
Secondo Giulio Lazzarini, dimenticato filosofo e amico personale di Lucini, autore dell'opera ''L'Etica Razionale'', raccolta in tre volumetti apparsi tra il [[1890]] e il [[1892]], Lucini «costrusse italianamente, derivato da Gian Battista Vico e da Romagnosi, un nostro pretto monismo etico, questo che oggi, corroborato di evidenze scientifiche ci torna dalla [[Francia]], patrocinato dalla biologia del Quinton e dal fenomenalismo di Le Dantec».


La filosofia scientista di Lucini può essere egregiamente compendiata nel seguente assunto:
La filosofia scientista di Lucini può essere egregiamente compendiata nel seguente assunto:
:«Le forme individue della Verità ricercata e spiegata con le formule racchiudono la catena trionfante dello scibile conquistato e rivelato. Se la Religione è la sintesi del Problema e del Mistero, se la Scienza ne è la rivelazione, verrà giorno in cui Scienza e Religione avranno un solo nome: Scienza Integrale».
:«Le forme individue della Verità ricercata e spiegata con le formule racchiudono la catena trionfante dello scibile conquistato e rivelato. Se la Religione è la sintesi del Problema e del Mistero, se la Scienza ne è la rivelazione, verrà giorno in cui Scienza e Religione avranno un solo nome: Scienza Integrale».


Il poeta milanese definì la sua dottrina filosofica «sincerismo critico», titolo di uno dei paragrafi conclusivi del suo libro. In buona sostanza, le affinità elettive più autentiche di Gian Pietro Lucini risalivano ai compagni dell'ultima fase della nostra scapigliatura e soprattutto agli amici [[Carlo Dossi]] e [[Camillo Boito]], che già ai tempi della [[Comune di Parigi]], avevano esordito nell'allora irrequieto mondo milanese e che ora nel nuovo secolo, sradicati ed incerti, ne restavano unici superstiti e testimoni, titubanti e spaesati nel nuovo clima culturale affermatosi. Legato ad una stagione ormai trascorsa, Gian Pietro Lucini provò un profondo disagio nei confronti della modernità in ogni campo e fu in quegli anni d'inizio Novecento una sorta di principe di Salina della cultura italiana, a cavallo tra due epoche e forse a disagio in ambedue. Per di più il suo carattere duro e diffidente ne condizionò spesso i rapporti con le nuove avanguardie artistiche e con le sopraggiungenti generazioni sovversive, persino con gli [[anarchici]] pur a lui così affini, che così egli ironicamente descrisse:
Il poeta milanese definì la sua dottrina filosofica «'''sincerismo critico'''», titolo di uno dei paragrafi conclusivi del suo libro. In buona sostanza, le affinità elettive più autentiche di Gian Pietro Lucini risalivano ai compagni dell'ultima fase della nostra scapigliatura e soprattutto agli amici [[Carlo Dossi]] e [[Camillo Boito]], che già ai tempi della [[Comune di Parigi]], avevano esordito nell'allora irrequieto mondo milanese e che ora nel nuovo secolo, sradicati ed incerti, ne restavano unici superstiti e testimoni, titubanti e spaesati nel nuovo clima culturale affermatosi. Legato ad una stagione ormai trascorsa, Gian Pietro Lucini provò un profondo disagio nei confronti della modernità in ogni campo e fu in quegli anni d'inizio Novecento una sorta di principe di Salina della cultura italiana, a cavallo tra due epoche e forse a disagio in ambedue. Per di più il suo carattere duro e diffidente ne condizionò spesso i rapporti con le nuove avanguardie artistiche e con le sopraggiungenti generazioni sovversive, persino con gli [[anarchici]] pur a lui così affini, che così egli ironicamente descrisse:
:«Venivano a me, lusingandomi, i [[libertari]] determinati e vanamente braccati, invano castigati dal fisco, dalla riprovazione, dall'isolamento, cercandomi compagno e combattente. Mandavano letterine femminili profumate ed eccitative, su cui, tra i rabeschi dello stil nuovo inglese, mi si pregava di collaborare e si cercava investigare le mie idee più a dentro ch'io non lo permettessi. Ed io ringraziava a quelle sollecitudini femminili di entusiaste, a quel bisogno di espandersi e di apostoleggiare; ma rifiutava. Tanto valeva ritornare al gregge, donde era uscito per sempre, se doveva mettermi a servizio di una schiera, combattesse pure per il trionfo di molte libertà oppure della Libertà indiscussa a me tanto cara».
:«Venivano a me, lusingandomi, i [[libertari]] determinati e vanamente braccati, invano castigati dal fisco, dalla riprovazione, dall'isolamento, cercandomi compagno e combattente. Mandavano letterine femminili profumate ed eccitative, su cui, tra i rabeschi dello stil nuovo inglese, mi si pregava di collaborare e si cercava investigare le mie idee più a dentro ch'io non lo permettessi. Ed io ringraziava a quelle sollecitudini femminili di entusiaste, a quel bisogno di espandersi e di apostoleggiare; ma rifiutava. Tanto valeva ritornare al gregge, donde era uscito per sempre, se doveva mettermi a servizio di una schiera, combattesse pure per il trionfo di molte libertà oppure della Libertà indiscussa a me tanto cara».


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