Utopia (concetto): differenze tra le versioni

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{{citazione|Le [[utopia|utopie]] autoritarie del XIX secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. ''Tahiti'' di [[Denis Diderot|Diderot]] o ''Notizie'' di [[William Morris|Morris]] ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti.|[[Maria Luisa Berneri]], ''Viaggio attraverso Utopia''}}
{{citazione|Le [[utopia|utopie]] autoritarie del XIX secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. ''Tahiti'' di [[Denis Diderot|Diderot]] o ''Notizie'' di [[William Morris|Morris]] ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti.|[[Maria Luisa Berneri]], ''Viaggio attraverso Utopia''}}
L'utopia è «un ordine nuovo che si contrappone al presente disordine, come alternativa globale. Quanto più si accentua la valenza operativa dell'utopia, tanto più precisa si delinea la sua pretesa di costituire un'alternativa globale del presente, immediatamente identificato col negativo, con ciò che deve essere totalmente rifiutato e soppresso». <ref>Francesco Gentile, ''Intelligenza politica e ragion di stato'', Milano, 1983, p. 111</ref> Una prospettiva utopica non accetta pertanto alcun accomodamento parziale, non mira a riformare la realtà in quanto non accetta compromessi con l'esistente, il suo compito è quello di rivoluzionarlo; la prospettiva utopica non si pone il problema del miglioramento dell'esistente, esige il bene assoluto. In questo senso, «l'utopista rifiuta la possibilità di una riforma, perché non riconosce alternative parziali». <ref>Francesco Gentile, ''Intelligenza politica e ragion di stato'', Milano, 1983, p. 112</ref>
A differenza della prospettiva ideologica, l'utopia nel suo irriducibile moto di negazione non sottopone, a ben vedere, a critica la realtà esistente; si limita, per l'appunto, a negarla nella sua interezza, perorando la causa di una realtà totalmente altra e nuova rispetto all'esistente; un'utopia in cui l'ordine preconizzato regnerà nella sua assoluta perfezione. La struttura utopica preconizza lo speculare rovesciamento dell'esistente nell'auspicio che in tale radicale cambiamento il disordine si tramuti in ordine.
In questo quadro, l'utopica società anarchica appare l'auto-proclamato luogo del bene assoluto (ευ τοπος), che è tratteggiabile solo attraverso lo speculare rovesciamento di ogni male sociale esistente; ma, in quanto puro rovesciamento, è, nel contempo, anche un non luogo (ου τοπος), in quanto la sua realizzazione non solo presuppone bensì necessita l'assunzione (e l'avverarsi) dell'ipotesi indimostrabile per la quale l'essere umano liberato dal dominio sviluppa immediatamente intrinseche capacità autoregolamentative in assenza di ogni istituzione coercitiva. In tal modo, la struttura utopica si lega a quella ideologica, non potendo l'una sorreggersi in assenza dell'altra; infatti, al di fuori di questa ipotesi antropologica (ed in assenza della totale negazione dell'esistente) la società anarchica non potrebbe né precognizzarsi, né, tanto meno, realizzarsi e, quindi, sia pure in altre forme, si perpetuerebbe il dominio dell'uomo sull'uomo.
È stato sottolineato come «Malatesta sintetizza la forma mentis dell’argomentare utopico che, anteponendo sempre il dover essere all’essere, si sottrae al confronto immediato col presente, in quanto critica questo non in rapporto alle sue possibilità reali, ma rispetto ad un ipotetico futuro, cioè con il criterio di un stato di cose totalmente diverso. In altri termini, non privilegia la trasformazione delle possibilità insite nella realtà data, ma le virtualità di un modello teorico così come comanda il dover essere». <ref> Giampietro Berti, ''Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento'', Manduria-Bari-Roma, 1998 1998, p. 437</ref> Pare invece che proprio [[Malatesta]] riesca a cogliere – si pur parzialmente, ma su questo oltre – l'aporia di un pensare utopico sul quale poggiare la prassi sociale. Infatti, come sopra richiamato, pur animato da una forte tensione morale (il dover essere), egli rifugge dall'idea dello speculare rovesciamento dell’esistente, ma cerca invece di intervenire su questo ritenendo che sia assurdo ed impossibile abbandonare tutto ciò che ha caratterizzato la vita in una società sostanzialmente autoritaria per approdare mondi nella società anarchica. In questo senso, su una parte non irrilevante dell'essere va effettuato un intervento sì critico, ma non per questo distruttivo. Per certi versi, si possono, quindi, intravvedere fra le righe malatestiane intenti dialettici
rispetto all'esistente e non, cosa in vero rigettata dal nostro, una (vana) speranza di automatico accomodamento delle cose quotidiane nella società liberata.


Nonostante il pensiero comune l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Innanzitutto, per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (inteso come “potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]), infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo| essere anarchico]].
Nonostante il pensiero comune l'[[anarchia]] non è un'utopia (nell'accezione di progetto irrealizzabile). Innanzitutto, per gran parte della sua storia l'umanità è vissuta senza alcuna '''archia''' (inteso come “potere”, “dominio”), poi, anche in epoche successive, vi sono state numerose esperienze anarchiche (vedi, per esempio, [[Ucraina libertaria]] e [[la Rivoluzione spagnola (1936-39)|Rivoluzione spagnola]]), infine, l'anarchico può vivere immediatamente, seppur con i limiti e le contraddizioni che naturalmente si ingenerano in un [[capitalismo|sistema capitalistico]], il suo [[Anarchia#Anarchia e anarchismo| essere anarchico]].
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