Violenza: differenze tra le versioni

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:«Ogni fine vuole i suoi mezzi [perché], stabilito lo scopo a cui si vuol raggiungere, per volontà o per necessità, il gran problema della vita sta nel trovare il mezzo che secondo le circostanze conduce con maggior sicurezza e più economicamente allo scopo prefisso. Dalla maniera con cui viene risolto questo problema dipende, per quanto può dipendere dalla volontà umana, che un uomo o un partito raggiunga o no il suo fine, che sia utile alla sua causa o serva, senza volerlo, alla causa nemica». <ref>Malatesta, ''Un po' di teoria'', in ''En-Dehors'', Parigi, 17 agosto 1892</ref>
:«Ogni fine vuole i suoi mezzi [perché], stabilito lo scopo a cui si vuol raggiungere, per volontà o per necessità, il gran problema della vita sta nel trovare il mezzo che secondo le circostanze conduce con maggior sicurezza e più economicamente allo scopo prefisso. Dalla maniera con cui viene risolto questo problema dipende, per quanto può dipendere dalla volontà umana, che un uomo o un partito raggiunga o no il suo fine, che sia utile alla sua causa o serva, senza volerlo, alla causa nemica». <ref>Malatesta, ''Un po' di teoria'', in ''En-Dehors'', Parigi, 17 agosto 1892</ref>


:«È certo che i fini e i mezzi sono collegati tra loro da un nesso intimo, il quale fa sì che per ogni fine vi sia un mezzo che meglio gli conviene, come ogni mezzo tende a realizzare il fine che gli è naturale, anche senza e contro la volontà di coloro che lo adoperano». <ref>Malatesta, ''Socialismo e anarchia'', in ''l'Anarchia'', Londra, agosto 1896</ref>
:«È certo che i fini e i mezzi sono collegati tra loro da un nesso intimo, il quale fa sì che per ogni fine vi sia un mezzo che meglio gli conviene, come ogni mezzo tende a realizzare il fine che gli è naturale, anche senza e contro la volontà di coloro che lo adoperano». <ref>Malatesta, ''Socialismo e anarchia'', in ''L'Anarchia'', Londra, agosto 1896</ref>


Se l'anarchia vuol dire per principio «non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non imposizione per forza di uno o di più su quella degli altri» <ref name="av">Malatesta, ''Anarchia e violenza'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 settembre 1924</ref>, come va usato il mezzo della violenza senza farsi sopraffare dalla sua logica? Dove inizia e dove finisce la sua necessità? E chi ha il diritto di usarlo? Per [[Malatesta]] la forza, in questo caso la violenza, non può superare gli ambiti della sua funzione negativa, che le deriva dall'essere uno strumento dell'anarchismo, non certo un elemento costitutivo dell'anarchia. Ecco quindi la necessità di affermare che «la nostra violenza è, per così dire, negativa: serve a distruggere quegli ordinamenti che per mezzo della forza organizzata in governo costringono gli uomini a subire la volontà altrui e a farsi sfruttare dagli altri». <ref>Malatesta, ''La questione della terra'', in ''Umanità Nova'', Milano, 19 maggio 1920</ref>
Se l'anarchia vuol dire per principio «non-violenza, non-dominio dell'uomo sull'uomo, non imposizione per forza di uno o di più su quella degli altri» <ref name="av">Malatesta, ''Anarchia e violenza'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 settembre 1924</ref>, come va usato il mezzo della violenza senza farsi sopraffare dalla sua logica? Dove inizia e dove finisce la sua necessità? E chi ha il diritto di usarlo? Per [[Malatesta]] la forza, in questo caso la violenza, non può superare gli ambiti della sua funzione negativa, che le deriva dall'essere uno strumento dell'anarchismo, non certo un elemento costitutivo dell'anarchia. Ecco quindi la necessità di affermare che «la nostra violenza è, per così dire, negativa: serve a distruggere quegli ordinamenti che per mezzo della forza organizzata in governo costringono gli uomini a subire la volontà altrui e a farsi sfruttare dagli altri». <ref>Malatesta, ''La questione della terra'', in ''Umanità Nova'', Milano, 19 maggio 1920</ref>


Date queste premesse, [[Malatesta]] non può che considerare la violenza rivoluzionaria «una dura necessità» per evitare, appunto, di «scambiare il mezzo col fine». <ref>Malatesta, ''Errori e rimedi'', in ''l'Anarchia'', Londra, agosto 1896</ref> «Necessaria purtroppo per resistere alla violenza [altrui], non serve per edificare niente di buono: essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della tirannia e perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità. La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l'effetto della libera evoluzione». <ref>Malatesta, ''Ancora sulla rivoluzione in pratica'', in ''Umanità Nova'', Roma, 14 ottobre 1922</ref>
Date queste premesse, [[Malatesta]] non può che considerare la violenza rivoluzionaria «una dura necessità» per evitare, appunto, di «scambiare il mezzo col fine». <ref>Malatesta, ''Errori e rimedi'', in ''L'Anarchia'', Londra, agosto 1896</ref> «Necessaria purtroppo per resistere alla violenza [altrui], non serve per edificare niente di buono: essa è la nemica naturale della libertà, la genitrice della tirannia e perciò deve essere contenuta nei limiti della più stretta necessità. La rivoluzione serve, è necessaria, per abbattere la violenza dei governi e dei privilegiati; ma la costituzione di una società di liberi non può essere che l'effetto della libera evoluzione». <ref>Malatesta, ''Ancora sulla rivoluzione in pratica'', in ''Umanità Nova'', Roma, 14 ottobre 1922</ref>


La violenza deve essere predicata e preparata «se non vogliamo che l'attuale condizione di schiavitù larvata, in cui si trova la grande maggioranza dell'umanità, perduri e peggiori. Ma essa contiene in sé il pericolo di trasformare la rivoluzione in una mischia brutale senza luce d'ideale e senza possibilità di risultati benefici; e perciò bisogna insistere sugli scopi morali del movimento e sulla necessità, sul dovere di contenere la violenza nei limiti della stretta necessità. Noi non diciamo che la violenza è buona quando l'adoperiamo noi ed è cattiva quando l'adoperano gli altri contro di noi. Noi diciamo che la violenza è giustificabile, è buona, è morale, è doverosa, quando è adoperata per la difesa di se stesso e degli altri contro le pretese dei violenti; è cattiva, è immorale se serve a violare la libertà altrui». <ref name="vio">Malatesta, ''Morale e violenza'', in ''Umanità Nova'', Roma, 21 ottobre 1922</ref> «Noi consideriamo la violenza necessaria e doverosa per la difesa, ma solo per la difesa. Tutta la violenza necessaria per vincere, ma niente di più o di peggio». <ref name="vio"></ref> Del tutto logicamente, arriva a concludere: «se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere». <ref>Malatesta, ''Il terrore rivoluzionario'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 ottobre 1924 (sul problema della violenza nel pensiero di Malatesta cfr. Fabbri, ''L'uomo e il pensiero'', pp. 140-149 e Richards, ''L'importanza di Malatesta per gli anarchici di oggi'', in ''E. Malatesta, Vita e idee'', a cura di Vernon Richards, Pistoia, 1968, pp. 345-355)</ref>
La violenza deve essere predicata e preparata «se non vogliamo che l'attuale condizione di schiavitù larvata, in cui si trova la grande maggioranza dell'umanità, perduri e peggiori. Ma essa contiene in sé il pericolo di trasformare la rivoluzione in una mischia brutale senza luce d'ideale e senza possibilità di risultati benefici; e perciò bisogna insistere sugli scopi morali del movimento e sulla necessità, sul dovere di contenere la violenza nei limiti della stretta necessità. Noi non diciamo che la violenza è buona quando l'adoperiamo noi ed è cattiva quando l'adoperano gli altri contro di noi. Noi diciamo che la violenza è giustificabile, è buona, è morale, è doverosa, quando è adoperata per la difesa di se stesso e degli altri contro le pretese dei violenti; è cattiva, è immorale se serve a violare la libertà altrui». <ref name="vio">Malatesta, ''Morale e violenza'', in ''Umanità Nova'', Roma, 21 ottobre 1922</ref> «Noi consideriamo la violenza necessaria e doverosa per la difesa, ma solo per la difesa. Tutta la violenza necessaria per vincere, ma niente di più o di peggio». <ref name="vio"></ref> Del tutto logicamente, arriva a concludere: «se per vincere si dovesse elevare la forca nelle piazze, io preferirei perdere». <ref>Malatesta, ''Il terrore rivoluzionario'', in ''Pensiero e Volontà'', Roma, 1 ottobre 1924 (sul problema della violenza nel pensiero di Malatesta cfr. Fabbri, ''L'uomo e il pensiero'', pp. 140-149 e Richards, ''L'importanza di Malatesta per gli anarchici di oggi'', in ''E. Malatesta, Vita e idee'', a cura di Vernon Richards, Pistoia, 1968, pp. 345-355)</ref>
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