Anteo Zamboni: differenze tra le versioni

Jump to navigation Jump to search
Riga 9: Riga 9:


=== L'attentato ===
=== L'attentato ===
Il [[31 ottobre]] [[1926]], quando a Bologna, nel pieno delle celebrazioni per la rivoluzione fascista, Mussolini è bersaglio di un colpo di pistola, Anteo, appena quindicenne, viene fermato, perché riconosciuto o comunque indicato come l'attentatore, disarmato e linciato dalla folla, fra cui sono presenti diversi militi fascisti che lo pugnalano a morte. L'attentato di Bologna fa scattare in tutto il paese la reazione violenta dei fascisti e dà l'occasione al regime di promulgare leggi eccezionali, per sopprimere garanzia politica liberal-democratica e instaurare la dittatura, e viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che applica il codice penale di guerra contro l'opposizione antifascista. Sulla dinamica dell'attentato e sull'identità dell'attentatore i dubbi fioriscono subito, alimentati da diverse testimonianze contraddittorie, fra cui, in primis, quella stessa di Mussolini, che nella sua deposizione descrive una fisionomia di attentatore diversa da quella del ragazzo. Gli inquirenti, alla ricerca di prove della colpevolezza del giovane e di mandanti, individuano nella famiglia – in particolare nel padre Mammolo, nella zia Virginia Tabarroni e nel fratello Lodovico – i complici di un complotto anarchico. Le prove a carico del ragazzo sono: l'arma inceppata che gli è stata tolta e che apparteneva al padre; la copia de «I miserabili» di [[Victor Hugo]] trovata, nella perquisizione, sul suo comodino da notte; un quadernetto scritto a matita dal titolo “Frasi e motti celebri”, contenente frasi del tipo «Nessuno fece tanto bene ai suoi amici, tanto male ai suoi nemici» di Silla o il «Venni, Vidi, Vinsi» di Cesare, ma anche «Non posso amarti perché non so se vivrò dopo aver compiuto quello che mi sono promesso», «Uccidere un tiranno che strazia una Nazione, non è delitto, è Giustizia», e «Per la libertà morire è bello e santo», tutte siglate dalla lettera A. e, come tali, considerate il “testamento morale” di Anteo. Mentre vengono messe a tacere altre inchieste che puntano agli ambienti dei dissidenti fascisti (in particolare dei sostenitori di Farinacci) come possibili autori o mandanti dell'attentato – rispetto ai quali Anteo avrebbe potuto essere strumento più o meno consapevole oppure vittima casuale sostitutiva – si condannano i familiari, chiudendo così ogni altra ipotesi investigativa e il fiorire di voci considerate dannose alla saldezza del regime. L'imbarazzante dilemma se Anteo sia stato una “vittima” inconsapevole o un “martire” della lotta al fascismo accompagna la tragica vicenda da subito, trovando un eco particolare negli ambienti degli esuli antifascisti, che, in prevalenza, propendono o per la innocenza del ragazzo o per un suo uso strumentale da parte di fascisti; unica voce discordante quella di un gruppo anarchico di Parigi, che, sia sul giornale «La Diana» (a cui collaborano anche gli anarchici italiani “iconoclasti” [[Paolo Schicchi]] e [[Renato Siglich]]), sia nell'opuscolo dal titolo significativo «Anteo Zamboni assassinato due volte», pubblicato nel [[1929]] sotto lo pseudonimo di “Sieglinde” (in cui è probabilmente da ravvisare lo stesso Siglich), sostiene la volontà tirannicida del ragazzo. Il dilemma si riapre nel dopoguerra, quando il padre Mammolo, dopo aver sostenuto per anni l'assoluta innocenza di Anteo, come prova anche della propria, in un opuscolo da lui edito nel [[1946]] paleserà la tesi della volontarietà del gesto del figlio. Anche in sede storica l'enigma della responsabilità o meno di Anteo è stato a lungo dibattuto, con differenti soluzioni prospettate che mantengono a tutt'oggi, con l'ambiguità delle fonti a disposizione, margini di non risolutività.
Il [[31 ottobre]] [[1926]], quando a Bologna, nel pieno delle celebrazioni per la rivoluzione fascista, Mussolini è bersaglio di un colpo di pistola, Anteo, appena quindicenne, viene fermato, perché riconosciuto o comunque indicato come l'attentatore, disarmato e linciato dalla folla, fra cui sono presenti diversi militi fascisti che lo pugnalano a morte. L'attentato di Bologna fa scattare in tutto il paese la reazione violenta dei fascisti e dà l'occasione al regime di promulgare leggi eccezionali, per sopprimere garanzia politica liberal-democratica e instaurare la dittatura, e viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che applica il codice penale di guerra contro l'opposizione antifascista. Sulla dinamica dell'attentato e sull'identità dell'attentatore i dubbi fioriscono subito, alimentati da diverse testimonianze contraddittorie, fra cui, in primis, quella stessa di Mussolini, che nella sua deposizione descrive una fisionomia di attentatore diversa da quella del ragazzo. Gli inquirenti, alla ricerca di prove della colpevolezza del giovane e di mandanti, individuano nella famiglia – in particolare nel padre Mammolo, nella zia Virginia Tabarroni e nel fratello Lodovico – i complici di un complotto anarchico. Le prove a carico del ragazzo sono: l'arma inceppata che gli è stata tolta e che apparteneva al padre; la copia de «I miserabili» di [[Victor Hugo]] trovata, nella perquisizione, sul suo comodino da notte; un quadernetto scritto a matita dal titolo “Frasi e motti celebri”, contenente frasi del tipo «Nessuno fece tanto bene ai suoi amici, tanto male ai suoi nemici» di Silla o il «Venni, Vidi, Vinsi» di Cesare, ma anche «Non posso amarti perché non so se vivrò dopo aver compiuto quello che mi sono promesso», «Uccidere un tiranno che strazia una Nazione, non è delitto, è Giustizia», e «Per la libertà morire è bello e santo», tutte siglate dalla lettera «A.» e, come tali, considerate il “testamento morale” di Anteo. Mentre vengono messe a tacere altre inchieste che puntano agli ambienti dei dissidenti fascisti (in particolare dei sostenitori di Farinacci) come possibili autori o mandanti dell'attentato – rispetto ai quali Anteo avrebbe potuto essere strumento più o meno consapevole oppure vittima casuale sostitutiva – si condannano i familiari, chiudendo così ogni altra ipotesi investigativa e il fiorire di voci considerate dannose alla saldezza del regime. L'imbarazzante dilemma se Anteo sia stato una “vittima” inconsapevole o un “martire” della lotta al fascismo accompagna la tragica vicenda da subito, trovando un eco particolare negli ambienti degli esuli antifascisti, che, in prevalenza, propendono o per la innocenza del ragazzo o per un suo uso strumentale da parte di fascisti; unica voce discordante quella di un gruppo anarchico di Parigi, che, sia sul giornale «La Diana» (a cui collaborano anche gli anarchici italiani “iconoclasti” [[Paolo Schicchi]] e [[Renato Siglich]]), sia nell'opuscolo dal titolo significativo «Anteo Zamboni assassinato due volte», pubblicato nel [[1929]] sotto lo pseudonimo di “Sieglinde” (in cui è probabilmente da ravvisare lo stesso Siglich), sostiene la volontà tirannicida del ragazzo. Il dilemma si riapre nel dopoguerra, quando il padre Mammolo, dopo aver sostenuto per anni l'assoluta innocenza di Anteo, come prova anche della propria, in un opuscolo da lui edito nel [[1946]] paleserà la tesi della volontarietà del gesto del figlio. Anche in sede storica l'enigma della responsabilità o meno di Anteo è stato a lungo dibattuto, con differenti soluzioni prospettate che mantengono a tutt'oggi, con l'ambiguità delle fonti a disposizione, margini di non risolutività.


== Conseguenze politiche dell'attentato==
== Conseguenze politiche dell'attentato==
64 364

contributi

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando i nostri servizi, accetti il nostro utilizzo dei cookie.

Menu di navigazione