Strage di Torino (18-20 dicembre 1922): differenze tra le versioni

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Intanto nella FIAT - come nelle altre fabbriche dopo la fine delle occupazioni - era avvenuta la « normalizzazione »: la fine delle grandi commesse di guerra aveva gettato sulla strada 1.300 operai e il rinnovamento tecnologico aveva aumentato la produttività senza che a essa seguissero incrementi salariali. Rimaneva il problema delle commissioni operaie presenti nelle fabbriche e molto meno accomodanti dei sindacalisti riformisti, e sul tema Giovanni Agnelli si mostrava pubblicamente democratico: « I sindacati ci vogliono », concedeva in un'intervista, precisando subito « ma devono essere apolitici! ».  
Intanto nella FIAT - come nelle altre fabbriche dopo la fine delle occupazioni - era avvenuta la « normalizzazione »: la fine delle grandi commesse di guerra aveva gettato sulla strada 1.300 operai e il rinnovamento tecnologico aveva aumentato la produttività senza che a essa seguissero incrementi salariali. Rimaneva il problema delle commissioni operaie presenti nelle fabbriche e molto meno accomodanti dei sindacalisti riformisti, e sul tema Giovanni Agnelli si mostrava pubblicamente democratico: « I sindacati ci vogliono », concedeva in un'intervista, precisando subito « ma devono essere apolitici! ».  


L'ex tribuno socialista Benito Mussolini - che da otto anni percepiva finanziamenti da agrari e industriali - era perfettamente d'accordo: parlando alla Fonderia Gomboloita di Milano il [[1° dicembre]] 1922 di fronte a industriali e a operai selezionati per l'occasione tra i simpatizzanti fascisti, ammetteva che « gli operai hanno creduto di doversi e potersi rendere estranei alla vita nazionale » - cioà alla reazione fascista - e minacciava: « se vi saranno minoranze ribelli e faziose che cercheranno di opporsi, esse saranno inesorabilmente colpite ». Quest'ordine non era certo nuovo, sulla bocca di Mussolini, ma ora aveva il crisma dell'ufficialità e dell'autorevolezza data dal potere conferitogli dal re e dalla maggioranza del Parlamento.
L'ex tribuno [[socialista]] Benito Mussolini - che da otto anni percepiva finanziamenti da agrari e industriali - era perfettamente d'accordo: parlando alla Fonderia Gomboloita di Milano il [[1° dicembre]] 1922 di fronte a industriali e a operai selezionati per l'occasione tra i simpatizzanti fascisti, ammetteva che « gli operai hanno creduto di doversi e potersi rendere estranei alla vita nazionale » - cioà alla reazione fascista - e minacciava: « se vi saranno minoranze ribelli e faziose che cercheranno di opporsi, esse saranno inesorabilmente colpite ». Quest'ordine non era certo nuovo, sulla bocca di Mussolini, ma ora aveva il crisma dell'ufficialità e dell'autorevolezza data dal potere conferitogli dal re e dalla maggioranza del Parlamento.


== L'agguato ==
== L'agguato ==
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Quella stessa mattina Mussolini parlava al Grand Hôtel di Roma ai fascisti venuti ad ascoltarlo da Siena: « Gridatelo. Lo Stato fascista è deciso a difendersi a tutti i costi coll'energia più fredda e inesorabile. Sono il depositario della volontà della migliore gioventù italiana. Ho doveri terribili da compiere e li compirò ». Dalle 11, come scriveva nel suo diario, il vice-questore Tabusso era a colloquio in Prefettura con il vice-prefetto, con il segretario del Fascio piemontese Marchisio e con due comandanti di squadre.  
Quella stessa mattina Mussolini parlava al Grand Hôtel di Roma ai fascisti venuti ad ascoltarlo da Siena: « Gridatelo. Lo Stato fascista è deciso a difendersi a tutti i costi coll'energia più fredda e inesorabile. Sono il depositario della volontà della migliore gioventù italiana. Ho doveri terribili da compiere e li compirò ». Dalle 11, come scriveva nel suo diario, il vice-questore Tabusso era a colloquio in Prefettura con il vice-prefetto, con il segretario del Fascio piemontese Marchisio e con due comandanti di squadre.  


Alle 11.30 una cinquantina di fascisti fecero irruzione nella Camera del Lavoro, al numero 12 di corso Siccardi: vi erano poche persone. Trovarono e bastonarono il deputato socialista Vincenzo Pagella, il ferroviere Arturo Cozza e il segretario della Federazione dei metalmeccanici, l'anarchico [[Pietro Ferrero]], e poi li lasciarono andare. Date le circostanze, era un trattamento di favore: i fascisti non erano ancora intenzionati a uccidere, forse perché non ne avevano ancora l'ordine.  
Alle 11.30 una cinquantina di fascisti fecero irruzione nella Camera del Lavoro, al numero 12 di corso Siccardi: vi erano poche persone. Trovarono e bastonarono il deputato [[socialista]] Vincenzo Pagella, il ferroviere Arturo Cozza e il segretario della Federazione dei metalmeccanici, l'anarchico [[Pietro Ferrero]], e poi li lasciarono andare. Date le circostanze, era un trattamento di favore: i fascisti non erano ancora intenzionati a uccidere, forse perché non ne avevano ancora l'ordine.  


Poco dopo mezzogiorno, l'incontro in Prefettura si concluse. Le autorità decisero di non mobilitare le forze dell'ordine: « Dovevo essere proprio io - dichiarò poi il vice-questore - a correre l'alea di un sicuro conflitto e tentare di fare quello che in passato e in condizioni più favorevoli e più propizie non avevano voluto fare altri assai più autorevoli di me? ».  
Poco dopo mezzogiorno, l'incontro in Prefettura si concluse. Le autorità decisero di non mobilitare le forze dell'ordine: « Dovevo essere proprio io - dichiarò poi il vice-questore - a correre l'alea di un sicuro conflitto e tentare di fare quello che in passato e in condizioni più favorevoli e più propizie non avevano voluto fare altri assai più autorevoli di me? ».  
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=== Carlo Berruti ===
=== Carlo Berruti ===
[[File:Camera Lavoro 1922.jpg|thumb|right|270px|La Camera del Lavoro di Torino incendiata dai fascisti]]
[[File:Camera Lavoro 1922.jpg|thumb|right|270px|La Camera del Lavoro di Torino incendiata dai fascisti]]
Verso le 13 una diecina di fascisti della squadra « Enrico Toti » - che avevano già devastato la casa di Maria e Carlo Berruti, alla ricerca di quest'ultimo - entrarono nell'ufficio delle Ferrovie di corso Re Umberto 48, all'angolo con via Valeggio: data l'ora, c'era poca gente. Prelevarono [[Carlo Berruti]], segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, e il socialista Carlo Fanti, li caricarono in una macchina scoperta e li portarono davanti al Fascio torinese. Qui arrivò un giovane ed elegante fascista: salì al posto del Fanti, che venne rilasciato e poté allontanarsi.  
Verso le 13 una diecina di fascisti della squadra « Enrico Toti » - che avevano già devastato la casa di Maria e Carlo Berruti, alla ricerca di quest'ultimo - entrarono nell'ufficio delle Ferrovie di corso Re Umberto 48, all'angolo con via Valeggio: data l'ora, c'era poca gente. Prelevarono [[Carlo Berruti]], segretario del Sindacato ferrovieri e consigliere comunale comunista, e il [[socialista]] Carlo Fanti, li caricarono in una macchina scoperta e li portarono davanti al Fascio torinese. Qui arrivò un giovane ed elegante fascista: salì al posto del Fanti, che venne rilasciato e poté allontanarsi.  


La macchina ripartì in direzione di Nichelino e si fermò in aperta campagna, non lontano dalla linea ferroviaria. A cento metri di distanza, sui pali dell'alta tensione stavano lavorando alcuni operai delle Ferrovie, che poterono così osservare tutta la scena. Tra di loro era il diciottenne comunista [[Gustavo Comollo]]: <ref>Detto Pietro: su di lui cfr. la [https://www.anpi.it/donne-e-uomini/1019/gustavo-comollo nota biografica dell'ANPI].</ref> « I fascisti erano tre o quattro. Scesero spingendo avanti uno, lo fecero andare per un sentiero e lui camminò tranquillo senza voltarsi [...] gli spararono tre o quattro colpi nella schiena [...] lui cadde giù. Ricordo che cadde lentamente. In fretta quelli salirono sull'auto e sparirono a gran velocità [...] Dopo un poco ci siamo avvicinati. Alcuni amici dissero che c'era Mariotti su quella macchina [...] forse c'era anche il traditore Porro [...] poi è venuta della gente e anche i carabinieri [...] Berruti restò un bel po' steso per terra ». <ref>In G. Carcano, cit., pp. 59-60.</ref>
La macchina ripartì in direzione di Nichelino e si fermò in aperta campagna, non lontano dalla linea ferroviaria. A cento metri di distanza, sui pali dell'alta tensione stavano lavorando alcuni operai delle Ferrovie, che poterono così osservare tutta la scena. Tra di loro era il diciottenne comunista [[Gustavo Comollo]]: <ref>Detto Pietro: su di lui cfr. la [https://www.anpi.it/donne-e-uomini/1019/gustavo-comollo nota biografica dell'ANPI].</ref> « I fascisti erano tre o quattro. Scesero spingendo avanti uno, lo fecero andare per un sentiero e lui camminò tranquillo senza voltarsi [...] gli spararono tre o quattro colpi nella schiena [...] lui cadde giù. Ricordo che cadde lentamente. In fretta quelli salirono sull'auto e sparirono a gran velocità [...] Dopo un poco ci siamo avvicinati. Alcuni amici dissero che c'era Mariotti su quella macchina [...] forse c'era anche il traditore Porro [...] poi è venuta della gente e anche i carabinieri [...] Berruti restò un bel po' steso per terra ». <ref>In G. Carcano, cit., pp. 59-60.</ref>
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La Camera del Lavoro era piena di [[fascismo|fascisti]], l'avevano « conquistata » e ora la tenevano come un trofeo di vittoria. Dall'altra parte del corso, Ferrero si fermò a guardare la scena e ad ascoltare i canti e le urla: era quasi notte, forse pensava che in quel buio nebbioso non sarebbe stato notato. L'imprudenza gli fu fatale: quell'ombra ferma laggiù fu vista e, si sa, la canaglia s'inquieta sempre quando si crede osservata anche solo da un'ombra.  
La Camera del Lavoro era piena di [[fascismo|fascisti]], l'avevano « conquistata » e ora la tenevano come un trofeo di vittoria. Dall'altra parte del corso, Ferrero si fermò a guardare la scena e ad ascoltare i canti e le urla: era quasi notte, forse pensava che in quel buio nebbioso non sarebbe stato notato. L'imprudenza gli fu fatale: quell'ombra ferma laggiù fu vista e, si sa, la canaglia s'inquieta sempre quando si crede osservata anche solo da un'ombra.  


Una decina di loro uscì correndo verso di lui, che non si mosse nemmeno. Quando gli furono vicini, lo riconobbero, lo riempirono di bastonate, di calci, di pugni, lo trascinarono dentro, lo gettarono in una stanza che avevano trasformato in prigione. Non era ancora morto, ma non si alzerà più. Verso mezzanotte lo tirarono di nuovo sulla strada e, sempre tra calci e bastonate, gli legarono una caviglia a un camion che partì e lo trascinò per 200 metri fino al monumento a Vittorio Emanuele: c'è da augurarsi che fosse già morto, perché qui gli cavarono gli occhi e gli strapparono i testicoli <ref>Secondo la deposizione del deputato socialista Filippo Amedeo all'inchiesta Giunta-Gasti, gennaio 1923, in G. Carcano, cit., p. 85.</ref>.
Una decina di loro uscì correndo verso di lui, che non si mosse nemmeno. Quando gli furono vicini, lo riconobbero, lo riempirono di bastonate, di calci, di pugni, lo trascinarono dentro, lo gettarono in una stanza che avevano trasformato in prigione. Non era ancora morto, ma non si alzerà più. Verso mezzanotte lo tirarono di nuovo sulla strada e, sempre tra calci e bastonate, gli legarono una caviglia a un camion che partì e lo trascinò per 200 metri fino al monumento a Vittorio Emanuele: c'è da augurarsi che fosse già morto, perché qui gli cavarono gli occhi e gli strapparono i testicoli <ref>Secondo la deposizione del deputato [[socialista]] Filippo Amedeo all'inchiesta Giunta-Gasti, gennaio 1923, in G. Carcano, cit., p. 85.</ref>.


Nella stessa testimonianza, tra gli squadristi che si accanirono sul corpo di Ferrero, veniva indicato Carlo Natoli come il più accanito. Questo Natoli, già presente nella squadra che uccise Andrea Chiomo, era mutilato di guerra: privo di una gamba, infierì sul cadavere di Ferrero zampettando sulle sue stampelle. Un'immagine tragica e grottesca insieme, che da sola rende l'immagine del fascismo.  
Nella stessa testimonianza, tra gli squadristi che si accanirono sul corpo di Ferrero, veniva indicato Carlo Natoli come il più accanito. Questo Natoli, già presente nella squadra che uccise Andrea Chiomo, era mutilato di guerra: privo di una gamba, infierì sul cadavere di Ferrero zampettando sulle sue stampelle. Un'immagine tragica e grottesca insieme, che da sola rende l'immagine del fascismo.  
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=== L'amnistia ===
=== L'amnistia ===
Se quell'operaio socialista poteva stare tranquillo, ancor di più potevano stare gli assassini: il [[22 dicembre]] il governo Mussolini emanò un decreto di amnistia - il Regio Decreto 1641 del 22 dicembre 1922 - preparato dal ministro di « Giustizia » Aldo Oviglio: <ref>Questo decreto sarà revocato il 27 luglio 1944. L'Oviglio (1873-1942), fascista della prima ora, cercò di separare le sue responsabilità dal fascismo, dimettendosi dopo il delitto Matteotti: quando si avvide che il fascismo aveva superato anche quella prova, ritornò tra le sue fila e fu nominato senatore.</ref> i responsabili di reati di natura politica venivano amnistiati, a condizione che i fatti delittuosi fossero stati commessi « per un fine, sia pure indirettamente, nazionale ». Pertanto, i crimini fascisti, essendo stati commessi per fini « non contrastanti con l'ordinamento politico-sociale », non erano punibili, ma non quelli eventualmente commessi da « sovversivi », essendo essi volti ad « abbattere l'ordine costitutivo, gli organi statali e le norme fondamentali della convivenza sociale ». Questo mostro giuridico - che tra l'altro comprometteva politicamente anche quella magistratura non ancora connivente con il Regime, costretta a distinguere tra reati commessi da fascisti o da antifascisti - fu subito controfirmato da re Vittorio.
Se quell'operaio [[socialista]] poteva stare tranquillo, ancor di più potevano stare gli assassini: il [[22 dicembre]] il governo Mussolini emanò un decreto di amnistia - il Regio Decreto 1641 del 22 dicembre 1922 - preparato dal ministro di « Giustizia » Aldo Oviglio: <ref>Questo decreto sarà revocato il 27 luglio 1944. L'Oviglio (1873-1942), fascista della prima ora, cercò di separare le sue responsabilità dal fascismo, dimettendosi dopo il delitto Matteotti: quando si avvide che il fascismo aveva superato anche quella prova, ritornò tra le sue fila e fu nominato senatore.</ref> i responsabili di reati di natura politica venivano amnistiati, a condizione che i fatti delittuosi fossero stati commessi « per un fine, sia pure indirettamente, nazionale ». Pertanto, i crimini fascisti, essendo stati commessi per fini « non contrastanti con l'ordinamento politico-sociale », non erano punibili, ma non quelli eventualmente commessi da « sovversivi », essendo essi volti ad « abbattere l'ordine costitutivo, gli organi statali e le norme fondamentali della convivenza sociale ». Questo mostro giuridico - che tra l'altro comprometteva politicamente anche quella magistratura non ancora connivente con il Regime, costretta a distinguere tra reati commessi da fascisti o da antifascisti - fu subito controfirmato da re Vittorio.


=== L'inchiesta fascista ===
=== L'inchiesta fascista ===
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