Manifiesto de los Treinta (Spagna, 1931): differenze tra le versioni

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===UN'INTERPRETAZIONE.===
===UN'INTERPRETAZIONE.===
Essendo la situazione di fondo una tragedia colettiva; volendo il popolo uscire dal dolore che lo attormenta e uccide, e non essendoci che un'unica possibilità, la rivoluzione, come affrontarla? La storia ci dice che le rivoluzioni le hanno sempre fatte le minoranze audaci che hanno saputo come impulsare il popolo contro i poteri costituiti. Basta che queste minorie lo vogliano, che se lo propongano, affinchè in una situazione come questa, la distruzione del regime imperante e delle forze difensive che lo sostengono, sia un dato fatto? Vediamo. Queste minoranze, provviste di alcuni elementi aggresivi, in un giorno buono, o approfittando una sorpresa, sfidano le forze dell'ordine, si confrontano con loro e provocano il fatto violento che può condurci alla rivoluzione. Una preparazione rudimentale, dei piccoli elementi di scontro per cominciare, ed è già sufficiente. Confidino il trionfo della rivoluzione al valore di appena pochi individui e al problematico intervento delle moltitudini che li asseconderanno quando questi scenderanno per strada.
Essendo la situazione di fondo una tragedia colettiva; volendo il popolo uscire dal dolore che lo attormenta e uccide, e non essendoci che un'unica possibilità, la rivoluzione, come affrontarla? La storia ci dice che le rivoluzioni le hanno sempre fatte le minoranze audaci che hanno saputo come impulsare il popolo contro i poteri costituiti. Basta che queste minorie lo vogliano, che se lo propongano, affinché in una situazione come questa, la distruzione del regime imperante e delle forze difensive che lo sostengono, sia un dato fatto? Vediamo. Queste minoranze, provviste di alcuni elementi aggresivi, in un giorno buono, o approfittando una sorpresa, sfidano le forze dell'ordine, si confrontano con loro e provocano il fatto violento che può condurci alla rivoluzione. Una preparazione rudimentale, dei piccoli elementi di scontro per cominciare, ed è già sufficiente. Confidino il trionfo della rivoluzione al valore di appena pochi individui e al problematico intervento delle moltitudini che li asseconderanno quando questi scenderanno per strada.


No c'è bisogno di pianificare nulla, ne contare con niente, ne pensare se non solo in lanciarsi sulla strada per vincere questo mastodonte: lo Stato. Pensare che questi abbia elementi di difesa formidabili, che sia difficile distruggerlo mentre i suoi espedienti di potere, la sua forza morale sopra il popolo, la sua economia, la sua giustizia, il suo credito morale ed economico non siano sconfitti da latrocinii e torpezze, per l'immoralità e incapacità dei suoi dirigenti e per il debilitamento delle sue istituzioni; pensare che frattanto che questo non occorra non debba distruggersi lo Stato, è perdere il tempo, dimenticare la storia e disconoscere la stessa psicologia umana. Di questo ci si dimentica, ci si sta dimenticando attualmente. E per dimenticarlo tutto, ci si dimentica perfino della morale stessa rivoluzionaria. Tutto si lascia al caso, tutto si confida nell'imprevisto, si crede nei miracoli della santa rivoluzione, come se la rivoluzione fosse una qualche panacea e non un fatto doloroso e crudele che dovrà necessariamente forgiare l'uomo tramite la sofferenza del suo corpo e il dolore della sua mente. Questo concetto della rivoluzione, figlio della più pura demagogia, patrocinato durante dozzine di anni da tutti i partiti politici che hanno cercato e conquistato molte volte l'assalto al potere, per quanto possa sembrare paradossale ha anche difensori all'interno dei nostri ambienti e si è riaffermato in determinati nuclei di militanti. Senza accorgersi, essi stessi cadono in tutti i vizi della demagogia politica, in vizi che ci condurrebbero a donare la rivoluzione, se fosse fatta sotto queste condizioni e si vincesse, al primo partito politico che si presentasse, o anche, a governare su di noi; a prendere il potere per governare come se fossimo un partito politico qualsiasi. Possiamo, dobbiamo noi sommarci, può e deve sommarsi la Confederazione Nazionale del Lavoro, a questa concezione catastrofica della rivoluzione, del Fatto, del gesto rivoluzionario?
No c'è bisogno di pianificare nulla, ne contare con niente, ne pensare se non solo in lanciarsi sulla strada per vincere questo mastodonte: lo Stato. Pensare che questi abbia elementi di difesa formidabili, che sia difficile distruggerlo mentre i suoi espedienti di potere, la sua forza morale sopra il popolo, la sua economia, la sua giustizia, il suo credito morale ed economico non siano sconfitti da latrocinii e torpezze, per l'immoralità e incapacità dei suoi dirigenti e per il debilitamento delle sue istituzioni; pensare che frattanto che questo non occorra non debba distruggersi lo Stato, è perdere il tempo, dimenticare la storia e disconoscere la stessa psicologia umana. Di questo ci si dimentica, ci si sta dimenticando attualmente. E per dimenticarlo tutto, ci si dimentica perfino della morale stessa rivoluzionaria. Tutto si lascia al caso, tutto si confida nell'imprevisto, si crede nei miracoli della santa rivoluzione, come se la rivoluzione fosse una qualche panacea e non un fatto doloroso e crudele che dovrà necessariamente forgiare l'uomo tramite la sofferenza del suo corpo e il dolore della sua mente. Questo concetto della rivoluzione, figlio della più pura demagogia, patrocinato durante dozzine di anni da tutti i partiti politici che hanno cercato e conquistato molte volte l'assalto al potere, per quanto possa sembrare paradossale ha anche difensori all'interno dei nostri ambienti e si è riaffermato in determinati nuclei di militanti. Senza accorgersi, essi stessi cadono in tutti i vizi della demagogia politica, in vizi che ci condurrebbero a donare la rivoluzione, se fosse fatta sotto queste condizioni e si vincesse, al primo partito politico che si presentasse, o anche, a governare su di noi; a prendere il potere per governare come se fossimo un partito politico qualsiasi. Possiamo, dobbiamo noi sommarci, può e deve sommarsi la Confederazione Nazionale del Lavoro, a questa concezione catastrofica della rivoluzione, del Fatto, del gesto rivoluzionario?
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Verrà facile pensare a chi ci legge che non abbiamo scritto e firmato quanto antecede per piacere, per il capriccioso desiderio che i nostri nomi appaiano al pie' di uno scritto di carattere pubblico e che è dottrinale. La nostra attitudine è determinata; abbiamo adottato una posizione che apprezziamo necessaria agli interessi della Confederazione e che si riflette nella seconda delle interpretazioni esposte sulla rivoluzione.
Verrà facile pensare a chi ci legge che non abbiamo scritto e firmato quanto antecede per piacere, per il capriccioso desiderio che i nostri nomi appaiano al pie' di uno scritto di carattere pubblico e che è dottrinale. La nostra attitudine è determinata; abbiamo adottato una posizione che apprezziamo necessaria agli interessi della Confederazione e che si riflette nella seconda delle interpretazioni esposte sulla rivoluzione.


Siamo rivoluzionari, sì; ma non coltivatori del mito della rivoluzione. Vogliamo che il Capitalismo e lo Stato, sia esso rosso, bianco o nero, sparisca, però non per soppiantarlo con un altro; ma affinchè, una volta fatta la rivoluzione economica per la classe operaia, questa possa impedire la restaurazione di qualsiasi potere, qualunque sia il suo colore. Vogliamo una rivoluzione nata da un profondo sentire del popolo, come quella che oggi si sta forgiando, e non una rivoluzione che ci viene offerta, che pretendono portare un manipolo di individui, che se a questa arriveranno, chiamatela pure come volete, fatalmente si convertirebbero in dittatori al giorno seguente del loro trionfo. Però questo lo vogliamo e lo desideriamo noi. Lo vuole cosí anche la maggioranza dei militanti dell'Organizzazione? Ecco quello che interessa delucidare, quello che bisogna mettere in chiaro quanto prima. La Confederazione è un'organizzazione rivoluzionaria, non un'organizzazione che coltiva la sommossa, la rivolta, che perpetra il culto della violenza per la violenza; della rivoluzione per la rivoluzione. Considerandolo così, noi dirigiamo le nostre parole ai militanti tutti, e gli ricordiamo che l'ora è grave e segnaliamo la responsabilità che ciascuno andrà a contrarre per la propria azione o la propria omissione. Se oggi, domani, passato, o quando sarà, se li si invitasse ad un movimento rivoluzionario, non dimentichino che loro si devono alla Confederazione Nazionale del Lavoro, ad una organizzazione che ha il diritto di controllarsi a se stessa, di vigilare i suoi propri movimenti, di attuare per propria iniziativa e di determinarsi per propria volontà. Che la Confederazione deve essere quella che, seguendo i suoi propri fini, deve dire come, quando e in che circostanze si debba attuare; che ha personalità e mezzi propri per fare quello che deve fare.
Siamo rivoluzionari, sì; ma non coltivatori del mito della rivoluzione. Vogliamo che il Capitalismo e lo Stato, sia esso rosso, bianco o nero, sparisca, però non per soppiantarlo con un altro; ma affinché, una volta fatta la rivoluzione economica per la classe operaia, questa possa impedire la restaurazione di qualsiasi potere, qualunque sia il suo colore. Vogliamo una rivoluzione nata da un profondo sentire del popolo, come quella che oggi si sta forgiando, e non una rivoluzione che ci viene offerta, che pretendono portare un manipolo di individui, che se a questa arriveranno, chiamatela pure come volete, fatalmente si convertirebbero in dittatori al giorno seguente del loro trionfo. Però questo lo vogliamo e lo desideriamo noi. Lo vuole cosí anche la maggioranza dei militanti dell'Organizzazione? Ecco quello che interessa delucidare, quello che bisogna mettere in chiaro quanto prima. La Confederazione è un'organizzazione rivoluzionaria, non un'organizzazione che coltiva la sommossa, la rivolta, che perpetra il culto della violenza per la violenza; della rivoluzione per la rivoluzione. Considerandolo così, noi dirigiamo le nostre parole ai militanti tutti, e gli ricordiamo che l'ora è grave e segnaliamo la responsabilità che ciascuno andrà a contrarre per la propria azione o la propria omissione. Se oggi, domani, passato, o quando sarà, se li si invitasse ad un movimento rivoluzionario, non dimentichino che loro si devono alla Confederazione Nazionale del Lavoro, ad una organizzazione che ha il diritto di controllarsi a se stessa, di vigilare i suoi propri movimenti, di attuare per propria iniziativa e di determinarsi per propria volontà. Che la Confederazione deve essere quella che, seguendo i suoi propri fini, deve dire come, quando e in che circostanze si debba attuare; che ha personalità e mezzi propri per fare quello che deve fare.


Che tutti sentano la responsabilità di questo momento eccezionale che tutti noi stiamo vivendo. Non dimentichino che così come il fatto rivoluzionario può condurre al trionfo, e che quando non si trionfa si deve cadere con dignità, tutti i fatti sporadici della rivoluzione conducono alla reazione e al trionfo delle [[demagogia|demagogie]]. Adesso, che ciascuno adotti la posizione che meglio intende. La nostra, già la sapete. E fermi in questo proposito la manterremo in qualsiasi momento e luogo, anche se per mantenerla fossimo travolti dalla corrente contraria.
Che tutti sentano la responsabilità di questo momento eccezionale che tutti noi stiamo vivendo. Non dimentichino che così come il fatto rivoluzionario può condurre al trionfo, e che quando non si trionfa si deve cadere con dignità, tutti i fatti sporadici della rivoluzione conducono alla reazione e al trionfo delle [[demagogia|demagogie]]. Adesso, che ciascuno adotti la posizione che meglio intende. La nostra, già la sapete. E fermi in questo proposito la manterremo in qualsiasi momento e luogo, anche se per mantenerla fossimo travolti dalla corrente contraria.
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