Gracchus Babeuf: differenze tra le versioni

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Intanto a Roye, il paese ove Babeuf viveva con la sua famiglia, il [[19 luglio]] 1789 un'assemblea generale dei cittadini aveva deciso di non pagare più le tasse. L'iniziativa era stata caldeggiata soprattutto dagli albergatori e dagli osti di Roye. Di fronte alle minacce dell'ufficio delle imposte di Roye e della Direzione generale di Parigi, il [[28 febbraio]] 1790 il sindaco di Roye convocò un'assemblea proponendo ai cittadini di ristabilire il pagamento delle imposte. La proposta fu respinta e il [[3 marzo]] il Municipio invitò le corporazioni della cittadina a scegliere un delegato per discutere la questione. Il [[7 marzo]] Babeuf, eletto rappresentante della cittadinanza, si presentò all'Hôtel de Ville, leggendo e depositando una sua memoria <ref>Intitolata ''Réclamation de la ville de Roye relative au remplacement de l'impôt des Aides et à  l'exécution des décrets de l'Assemblée nationale, lesquels prononcent que tous les impôts doivent être répartis sur chaque citoyen en proportion de ses facultés''.</ref> che egli fece stampare otto giorni dopo, affiggendola sui muri di Roye.  
Intanto a Roye, il paese ove Babeuf viveva con la sua famiglia, il [[19 luglio]] 1789 un'assemblea generale dei cittadini aveva deciso di non pagare più le tasse. L'iniziativa era stata caldeggiata soprattutto dagli albergatori e dagli osti di Roye. Di fronte alle minacce dell'ufficio delle imposte di Roye e della Direzione generale di Parigi, il [[28 febbraio]] 1790 il sindaco di Roye convocò un'assemblea proponendo ai cittadini di ristabilire il pagamento delle imposte. La proposta fu respinta e il [[3 marzo]] il Municipio invitò le corporazioni della cittadina a scegliere un delegato per discutere la questione. Il [[7 marzo]] Babeuf, eletto rappresentante della cittadinanza, si presentò all'Hôtel de Ville, leggendo e depositando una sua memoria <ref>Intitolata ''Réclamation de la ville de Roye relative au remplacement de l'impôt des Aides et à  l'exécution des décrets de l'Assemblée nationale, lesquels prononcent que tous les impôts doivent être répartis sur chaque citoyen en proportion de ses facultés''.</ref> che egli fece stampare otto giorni dopo, affiggendola sui muri di Roye.  


Ricordando che le tasse devono essere pagate da chi è in grado di farlo e in proporzione di ciò che ha, egli propose l'abolizione delle imposte indirette <ref>Le « aides », che gravavano sulle bevande.</ref> e delle gabelle,<ref>Le « fermes », cioè le tasse date in appalto, come la tassa sul sale e i dazi applicati sulle merci in transito alle frontiere di ogni provincia e comune.</ref> con la conseguente chiusura degli uffici delle imposte e il pagamento delle sole imposte dirette alla ricevitoria del Comune, che avrebbe poi trasmesso al Tesoro statale la quota di sua competenza.
Ricordando che le tasse devono essere pagate da chi è in grado di farlo e in proporzione di ciò che ha, egli propose l'abolizione delle imposte indirette <ref>Le « aides », che gravavano sulle bevande.</ref> e delle gabelle, <ref>Le « fermes », cioè le tasse date in appalto, come la tassa sul sale e i dazi applicati sulle merci in transito alle frontiere di ogni provincia e comune.</ref> con la conseguente chiusura degli uffici delle imposte e il pagamento delle sole imposte dirette alla ricevitoria del Comune, che avrebbe poi trasmesso al Tesoro statale la quota di sua competenza.


Il Municipio di Roye inviò la memoria di Babeuf al Comitato dei rapporti presso l'Assemblea Nazionale, perché si pronunciasse in merito, e il [[5 aprile]] 1790 l'<nowiki></nowiki>''abbé'' Grégoire, allora presidente di quel Comitato, rispose che l'Assemblea Nazionale, quando decretò, il [[7 ottobre]] 1789, che « tutte le contribuzioni e i pubblici tributi, qualunque sia la loro natura, saranno sopportati da tutti i cittadini in ragione e proporzione dei loro beni e delle loro facoltà  », aveva inteso pronunciarsi soltanto sulle imposte dirette e non su quelle che gravavano sui consumi. Certamente, Grégoire avrebbe avuto difficoltà  a spiegare la sua tesi in presenza di quel « qualunque sia la loro natura », ma l'Assemblea Nazionale, lo scorso [[23 marzo]] 1790, aveva decretato il ristabilimento delle barriere doganali per l'imposta sul tabacco, la continuazione della riscossione delle imposte indirette e degli arretrati. Pertanto, le pretese di Babeuf e dei cittadini di Roye dovevano essere respinte.
Il Municipio di Roye inviò la memoria di Babeuf al Comitato dei rapporti presso l'Assemblea Nazionale, perché si pronunciasse in merito, e il [[5 aprile]] 1790 l'<nowiki></nowiki>''abbé'' Grégoire, allora presidente di quel Comitato, rispose che l'Assemblea Nazionale, quando decretò, il [[7 ottobre]] 1789, che « tutte le contribuzioni e i pubblici tributi, qualunque sia la loro natura, saranno sopportati da tutti i cittadini in ragione e proporzione dei loro beni e delle loro facoltà  », aveva inteso pronunciarsi soltanto sulle imposte dirette e non su quelle che gravavano sui consumi. Certamente, Grégoire avrebbe avuto difficoltà  a spiegare la sua tesi in presenza di quel « qualunque sia la loro natura », ma l'Assemblea Nazionale, lo scorso [[23 marzo]] 1790, aveva decretato il ristabilimento delle barriere doganali per l'imposta sul tabacco, la continuazione della riscossione delle imposte indirette e degli arretrati. Pertanto, le pretese di Babeuf e dei cittadini di Roye dovevano essere respinte.
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Quando le petizioni cominciarono a pervenire all'Assemblea Nazionale, il Comitato delle ricerche <ref>La commissione dell'Assemblea incaricata d'indagare e imprigionare gli accusati di crimini politici, deferendoli poi all'Assemblea Nazionale.</ref> si attivò, minacciando di prigione autore e firmatari della ''Petizione'', definita un « libello incendiario ». Babeuf scrisse il [[10 maggio]] al Comitato, rivendicando « il diritto di parola, la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni », il principio della sovranità  popolare, il diritto alle resistenza all'oppressione, tutti principi garantiti dalla ''Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino''. E concludeva: « mai l'inquieta tirannide spinse le precauzioni al punto di chiudere decisamente la bocca alle proteste, e mai ancora la rigida inquisizione sulla stampa [...] fu esercitata con maggiore arbitrio di quanto abbiate fatto voi [...]. Se è così, Signori, che si agisce in un paese che si dice libero, non so più che fare [...]. Inviate i sicari, fatemi condannare come incendiario; sarò contento di morire per la buona causa ».
Quando le petizioni cominciarono a pervenire all'Assemblea Nazionale, il Comitato delle ricerche <ref>La commissione dell'Assemblea incaricata d'indagare e imprigionare gli accusati di crimini politici, deferendoli poi all'Assemblea Nazionale.</ref> si attivò, minacciando di prigione autore e firmatari della ''Petizione'', definita un « libello incendiario ». Babeuf scrisse il [[10 maggio]] al Comitato, rivendicando « il diritto di parola, la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni », il principio della sovranità  popolare, il diritto alle resistenza all'oppressione, tutti principi garantiti dalla ''Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino''. E concludeva: « mai l'inquieta tirannide spinse le precauzioni al punto di chiudere decisamente la bocca alle proteste, e mai ancora la rigida inquisizione sulla stampa [...] fu esercitata con maggiore arbitrio di quanto abbiate fatto voi [...]. Se è così, Signori, che si agisce in un paese che si dice libero, non so più che fare [...]. Inviate i sicari, fatemi condannare come incendiario; sarò contento di morire per la buona causa ».


E infatti il [[21 maggio]] la Corte delle imposte lo fece arrestare e tradurre in prigione a Parigi. Da qui Babeuf scrisse a James Rutledge, giornalista irlandese residente in Francia, iscritto al club dei Cordiglieri, e al signore de Lauraguais, un nobile che faceva professione di liberalismo, chiedendo la loro assistenza legale. Grazie al loro intervento, e soprattutto a quello di [[Jean-Paul Marat|Marat]], che aveva letto e apprezzato la sua ''Petizione'' scrivendone sul suo ''Ami du Peuple'',<ref>Marat aveva scritto nel n° 155 del suo giornale: « L'amico del Popolo reclama in favore dell'oppresso Babeuf, prigioniero della Conciergerie, la generosa assistenza che i Distretti hanno fornito ai pretesi incendiari delle barriere, in virtù degli sforzi e dell'illimitata devozione di questo Martire della buona causa ». In quei giorni vennero incendiate diverse barriere daziarie e uffici delle finanze, che provocarono il 1° luglio 1790 un apposito decreto di repressione da parte dell'Assemblea Nazionale. I distretti, o sezioni o quartieri, erano le 48 unità  amministrative di Parigi, in ciascuna delle quali era attivo un comitato rivoluzionario.</ref> Babeuf fu liberato l'[[8 luglio]]. Dopo più di un mese di soggiorno obbligato a Parigi, il [[20 agosto]] poté tornare a Roye, acclamato dalla cittadinanza.
E infatti il [[21 maggio]] la Corte delle imposte lo fece arrestare e tradurre in prigione a Parigi. Da qui Babeuf scrisse a James Rutledge, giornalista irlandese residente in Francia, iscritto al club dei Cordiglieri, e al signore de Lauraguais, un nobile che faceva professione di liberalismo, chiedendo la loro assistenza legale. Grazie al loro intervento, e soprattutto a quello di [[Jean-Paul Marat|Marat]], che aveva letto e apprezzato la sua ''Petizione'' scrivendone sul suo ''Ami du Peuple'', <ref>Marat aveva scritto nel n° 155 del suo giornale: « L'amico del Popolo reclama in favore dell'oppresso Babeuf, prigioniero della Conciergerie, la generosa assistenza che i Distretti hanno fornito ai pretesi incendiari delle barriere, in virtù degli sforzi e dell'illimitata devozione di questo Martire della buona causa ». In quei giorni vennero incendiate diverse barriere daziarie e uffici delle finanze, che provocarono il 1° luglio 1790 un apposito decreto di repressione da parte dell'Assemblea Nazionale. I distretti, o sezioni o quartieri, erano le 48 unità  amministrative di Parigi, in ciascuna delle quali era attivo un comitato rivoluzionario.</ref> Babeuf fu liberato l'[[8 luglio]]. Dopo più di un mese di soggiorno obbligato a Parigi, il [[20 agosto]] poté tornare a Roye, acclamato dalla cittadinanza.


=== L'attività  giornalistica. La denuncia della natura di classe della società  ===
=== L'attività  giornalistica. La denuncia della natura di classe della società  ===
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==== Le lettere all'<nowiki></nowiki>''abbé'' Coupé. Eguaglianza reale e riforma agraria ====
==== Le lettere all'<nowiki></nowiki>''abbé'' Coupé. Eguaglianza reale e riforma agraria ====
Due lettere, del [[20 agosto]] e del [[10 settembre]] [[1791]], inviate a Jacques Coupé,<ref>Jacques Michel Coupé (1737-1809), parroco di Sermaize, il 5 settembre 1791, appoggiato anche da Babeuf, fu eletto dal distretto di Noyon, in Piccardia, deputato dell'Assemblea Legislativa.</ref> consentono di conoscere il credo politico e sociale di Babeuf in questo periodo. Egli insiste sulla necessità  che la Costituzione garantisca l'effettiva, concreta, e non formale, eguaglianza dei cittadini. Sotto questa luce egli critica anche i democratici Pétion e [[Robespierre]] che, malgrado la loro « magistrale inflessibilità  », non si avvedono della « conseguenza capitale » del principio dell'« eguaglianza dei diritti: a tutti eguale educazione e sussistenza assicurata », che vuol dire piena eguaglianza intellettuale attraverso un'istruzione garantita a tutti - il « pane spirituale » - e la garanzia del « pane materiale » con la « messa in comune di tutte le risorse infinitamente moltiplicate e accresciute attraverso un'organizzazione sapientemente combinata e del lavoro generale saggiamente diretto ».
Due lettere, del [[20 agosto]] e del [[10 settembre]] [[1791]], inviate a Jacques Coupé, <ref>Jacques Michel Coupé (1737-1809), parroco di Sermaize, il 5 settembre 1791, appoggiato anche da Babeuf, fu eletto dal distretto di Noyon, in Piccardia, deputato dell'Assemblea Legislativa.</ref> consentono di conoscere il credo politico e sociale di Babeuf in questo periodo. Egli insiste sulla necessità  che la Costituzione garantisca l'effettiva, concreta, e non formale, eguaglianza dei cittadini. Sotto questa luce egli critica anche i democratici Pétion e [[Robespierre]] che, malgrado la loro « magistrale inflessibilità  », non si avvedono della « conseguenza capitale » del principio dell'« eguaglianza dei diritti: a tutti eguale educazione e sussistenza assicurata », che vuol dire piena eguaglianza intellettuale attraverso un'istruzione garantita a tutti - il « pane spirituale » - e la garanzia del « pane materiale » con la « messa in comune di tutte le risorse infinitamente moltiplicate e accresciute attraverso un'organizzazione sapientemente combinata e del lavoro generale saggiamente diretto ».


Una Costituzione che enumerasse tutte le libertà  garantire ai cittadini, che fosse scritta con assoluta chiarezza e semplicità, « senza ambiguità, senza possibilità  di commenti o interpretazioni » da parte di gente in cerca di cavilli, godrebbe del rispetto della grande maggioranza dei cittadini che avrebbe successo sulle mene di una minoranza che non vuole la vera eguaglianza. Invece « oggi il popolo è come il bue », che si sottomette perché ignora la propria forza.
Una Costituzione che enumerasse tutte le libertà  garantire ai cittadini, che fosse scritta con assoluta chiarezza e semplicità, « senza ambiguità, senza possibilità  di commenti o interpretazioni » da parte di gente in cerca di cavilli, godrebbe del rispetto della grande maggioranza dei cittadini che avrebbe successo sulle mene di una minoranza che non vuole la vera eguaglianza. Invece « oggi il popolo è come il bue », che si sottomette perché ignora la propria forza.
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L'eguaglianza di fatto non è una chimera. La realizzò - scrive Babeuf - il legislatore spartano Licurgo ripartendo egualmente oneri e benefici, garantendo a tutti la sufficienza e a nessuno il superfluo. Le persone più stimabili condivisero il grande principio dell'eguaglianza. Non tanto Gesù, come si pensa, perché la sua massima « ama il fratello tuo come te stesso » non dice esplicitamente che « la prima di tutte le leggi è che nessun uomo può legittimamente pretendere che qualcuno dei suoi simili sia meno felice di lui ».
L'eguaglianza di fatto non è una chimera. La realizzò - scrive Babeuf - il legislatore spartano Licurgo ripartendo egualmente oneri e benefici, garantendo a tutti la sufficienza e a nessuno il superfluo. Le persone più stimabili condivisero il grande principio dell'eguaglianza. Non tanto Gesù, come si pensa, perché la sua massima « ama il fratello tuo come te stesso » non dice esplicitamente che « la prima di tutte le leggi è che nessun uomo può legittimamente pretendere che qualcuno dei suoi simili sia meno felice di lui ».


Dissero meglio [[Jean Jacques Rousseau|Rousseau]] scrivendo ''Perché lo stato sociale sia perfezionato, bisogna che ciascuno abbia abbastanza'', e [[Denis Diderot|Diderot]],<ref>In realtà  Morelly, nel suo ''Codice della natura'', che al tempo di Babeuf era però attribuito a Diderot.</ref> quando affermò che ''sulla forma migliore di governo non avrete fatto nulla finché non avrete distrutto i germi della cupidigia e dell'ambizione''. Persino Tallien, Fouché e l'oscuro deputato Jean-Baptiste Harmand, quando erano ancora dei rivoluzionari, avevano esaltato la vera eguaglianza. Anche Robespierre, nella sua Dichiarazione dei diritti, aveva scritto che ''lo scopo della società  è la felicità  comune'' e che gli individui ''nascono uguali in diritti e in bisogni'', mentre [[Saint-Just]], in un discorso del 1794, affermò che ''gli infelici sono le energie della terra, hanno il diritto di parlare da padroni ai governi che li trascurano''. Sembra che Babeuf, citando Robespierre e Saint-Just, volesse ingraziarsi i Giacobini, ora perseguitati dal Direttorio, perché si unissero al suo progetto rivoluzionario.
Dissero meglio [[Jean Jacques Rousseau|Rousseau]] scrivendo ''Perché lo stato sociale sia perfezionato, bisogna che ciascuno abbia abbastanza'', e [[Denis Diderot|Diderot]], <ref>In realtà  Morelly, nel suo ''Codice della natura'', che al tempo di Babeuf era però attribuito a Diderot.</ref> quando affermò che ''sulla forma migliore di governo non avrete fatto nulla finché non avrete distrutto i germi della cupidigia e dell'ambizione''. Persino Tallien, Fouché e l'oscuro deputato Jean-Baptiste Harmand, quando erano ancora dei rivoluzionari, avevano esaltato la vera eguaglianza. Anche Robespierre, nella sua Dichiarazione dei diritti, aveva scritto che ''lo scopo della società  è la felicità  comune'' e che gli individui ''nascono uguali in diritti e in bisogni'', mentre [[Saint-Just]], in un discorso del 1794, affermò che ''gli infelici sono le energie della terra, hanno il diritto di parlare da padroni ai governi che li trascurano''. Sembra che Babeuf, citando Robespierre e Saint-Just, volesse ingraziarsi i Giacobini, ora perseguitati dal Direttorio, perché si unissero al suo progetto rivoluzionario.


Bisogna dunque che i sanculotti, i nullatenenti, questi moderni plebei, facciano come gli antichi che, per lottare contro i patrizi, si ritirarono nel « Monte Sacro », e organizzino la « Vandea plebea ». Verrà  spiegato che il fine della società  è la felicità  comune; che la terra è di tutti; che « l'alienabilità  è un infame attentato populicida »; che l'eredità  familiare è un « orrore »; che tutto ciò che un membro della società  possiede al di sopra della sufficienza dei suoi bisogni è il risultato di un furto; che « la superiorità  dei talenti » è solo un'opinione utilizzata dai cospiratori contro l'eguaglianza; che l'attuale educazione, patrimonio esclusivo di una parte dei membri della società, è una mostruosità; che occorre assicurare a ciascuno e alla sua posterità  la sufficienza e nient'altro che la sufficienza; che l'unico mezzo per arrivarvi è stabilire l'amministrazione comune, sopprimendo la proprietà  privata.
Bisogna dunque che i sanculotti, i nullatenenti, questi moderni plebei, facciano come gli antichi che, per lottare contro i patrizi, si ritirarono nel « Monte Sacro », e organizzino la « Vandea plebea ». Verrà  spiegato che il fine della società  è la felicità  comune; che la terra è di tutti; che « l'alienabilità  è un infame attentato populicida »; che l'eredità  familiare è un « orrore »; che tutto ciò che un membro della società  possiede al di sopra della sufficienza dei suoi bisogni è il risultato di un furto; che « la superiorità  dei talenti » è solo un'opinione utilizzata dai cospiratori contro l'eguaglianza; che l'attuale educazione, patrimonio esclusivo di una parte dei membri della società, è una mostruosità; che occorre assicurare a ciascuno e alla sua posterità  la sufficienza e nient'altro che la sufficienza; che l'unico mezzo per arrivarvi è stabilire l'amministrazione comune, sopprimendo la proprietà  privata.
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