Consigli ed occupazioni di fabbrica in Italia (1919-20): differenze tra le versioni

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[[File:Malatesta.jpg|right|thumb|170 px|[[Errico Malatesta]]]]
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Il [[20 settembre]], quando ormai l'occupazione aveva perso il suo slancio, [[Errico Malatesta]] scrive:
Il [[20 settembre]], quando ormai l'occupazione aveva perso il suo slancio, [[Errico Malatesta]] scrive:
: «Gli operai usciranno dalle fabbriche col sentimento di essere stati traditi: usciranno con la rabbia nel cuore ma con propositi di vendetta. Usciranno questa volta ma profitteranno della lezione. Essi non vorranno "lavorare di più e consumare dimeno" e senza questo la crisi non si risolverà  e la rivoluzione resta necessaria e imminente» (''[[Umanità  Nova]]'')<ref>Riportato da Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag 138)</ref>
: «Gli operai usciranno dalle fabbriche col sentimento di essere stati traditi: usciranno con la rabbia nel cuore ma con propositi di vendetta. Usciranno questa volta ma profitteranno della lezione. Essi non vorranno "lavorare di più e consumare dimeno" e senza questo la crisi non si risolverà  e la rivoluzione resta necessaria e imminente» (''[[Umanità  Nova]]'')<ref>Riportato da Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 138)</ref>
Il [[24 settembre]], nonostante gli anarchici ed altri radicali spingessero per l'astensionismo, nelle fabbriche si svolse il referendum operaio dal quale risultarono 127 904 voti per il SI, 44 531 per il NO e 3006 astenuti. L'occupazione delle fabbriche è definitivamente sancita e sarà  effettuata tra il [[25 settembre|25]] e [[30 settembre]].<ref>Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag 155)</ref>
Il [[24 settembre]], nonostante gli anarchici ed altri radicali spingessero per l'astensionismo, nelle fabbriche si svolse il referendum operaio dal quale risultarono 127 904 voti per il SI, 44 531 per il NO e 3006 astenuti. L'occupazione delle fabbriche è definitivamente sancita e sarà  effettuata tra il [[25 settembre|25]] e [[30 settembre]].<ref>Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 155)</ref>


Quantunque da più parti si voglia dipingere questo biennio come un periodo sanguinario, in realtà  un tentativo di quantificare il numero di decessi fu compiuto da Gaetano Salvemini, il quale, basandosi sulle cronache giornalistiche dell'epoca, calcolò in 65 le vittime complessive delle violenze operaie. Al contrario, nello stesso periodo,  109 operai e sindacalisti persero al vita per mano delle forze dell'ordine durante gli scontri di piazza, mentre altri 22 furono uccisi da altre persone.
Quantunque da più parti si voglia dipingere questo biennio come un periodo sanguinario, in realtà  un tentativo di quantificare il numero di decessi fu compiuto da Gaetano Salvemini, il quale, basandosi sulle cronache giornalistiche dell'epoca, calcolò in 65 le vittime complessive delle violenze operaie. Al contrario, nello stesso periodo,  109 operai e sindacalisti persero al vita per mano delle forze dell'ordine durante gli scontri di piazza, mentre altri 22 furono uccisi da altre persone.
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L'atteggiamento del governo, suscitò le ire tanto dei capitalisti che dei rivoluzionari, ma il presidente del consiglio continuò imperterrito nella sua strada facendo leve sui moderati dei due campi contrapposti. L'accordo tra il governo e riformisti della CGL fu interpretato dagli [[anarco-sindacalismo|anarco-sindacalisti]], dai comunisti e dai massimalisti come un modo per porre fine all'occupazione e castrare ogni velleità  rivoluzionaria. Non di meno, essi considerarono il referendum operaio sugli accordi sindacali.  
L'atteggiamento del governo, suscitò le ire tanto dei capitalisti che dei rivoluzionari, ma il presidente del consiglio continuò imperterrito nella sua strada facendo leve sui moderati dei due campi contrapposti. L'accordo tra il governo e riformisti della CGL fu interpretato dagli [[anarco-sindacalismo|anarco-sindacalisti]], dai comunisti e dai massimalisti come un modo per porre fine all'occupazione e castrare ogni velleità  rivoluzionaria. Non di meno, essi considerarono il referendum operaio sugli accordi sindacali.  


Dall'altro versante, la sfiducia verso Giolitti era tale che il direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-albertini_%28Enciclopedia_Italiana%29/ Luigi Albertini]</ref>, auspicò la sostituzione di Giolitti al governo con i socialisti moderati, quale ostacolo definitivo alla prosecuzione del progetto sovietista. Il direttore del «Corriere» arrivò addirittura ad organizzare un incontro con Turati (presumibilmente intorno al [[21 settembre|21]]-[[23 settembre]]), nel corso del quale gli esponeva il suo progetto per portare i socialisti moderati al governo e marginalizzare così gli estremisti. Nel [[1923]] il direttore del scriverà  che meglio sarebbe stato avere Turati e D'Aragona al governo piuttosto che la prosecuzione di un regime che a causa della sua inettitudine avrebbe portato il paese verso il [[comunismo]].<ref>Si veda Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag 139-141)</ref>. Sempre a Torino, contro gli accordi, si dimise il presidente dela sezione locale della Lega Industriale.
Dall'altro versante, la sfiducia verso Giolitti era tale che il direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-albertini_%28Enciclopedia_Italiana%29/ Luigi Albertini]</ref>, auspicò la sostituzione di Giolitti al governo con i socialisti moderati, quale ostacolo definitivo alla prosecuzione del progetto sovietista. Il direttore del «Corriere» arrivò addirittura ad organizzare un incontro con Turati (presumibilmente intorno al [[21 settembre|21]]-[[23 settembre]]), nel corso del quale gli esponeva il suo progetto per portare i socialisti moderati al governo e marginalizzare così gli estremisti. Nel [[1923]] il direttore del scriverà  che meglio sarebbe stato avere Turati e D'Aragona al governo piuttosto che la prosecuzione di un regime che a causa della sua inettitudine avrebbe portato il paese verso il [[comunismo]].<ref>Si veda Paolo Spriano, ''L'occupazione delle fabbriche'', Einaudi, pag. 139-141)</ref>. Sempre a Torino, contro gli accordi, si dimise il presidente dela sezione locale della Lega Industriale.
=== Il dramma socialista: scissione e nascita del PCI ===
=== Il dramma socialista: scissione e nascita del PCI ===
Il [[27 settembre]] «L'Avanti» pubblicò un editoriale in cui, oltre ad ammettere la sconfitta degli operai accusò di ciò la dirigenza [[riformista]] del Partito socialista <ref>Battista Santhià, ''Con Gramsci all'Ordine Nuovo'', Firenze, Editori Riuniti, giugno 1956, p. 128: «Il 27 l'Avanti pubblicò un comunicato in cui apertamente si riconosceva che la lotta era finita con la sconfitta degli operai per colpa dei dirigenti riformisti.»</ref>. L'editoriale non fece altro che rettificare la spaccatura ormai insanabile tra i riformisti e i rivoluzionari del PSI. Quest'ultimi erano allineati alle posizioni ufficiali della [[III Internazionale]] (Comintern), che durante il suo II° Congresso tenutosi tra tra luglio e agosto del [[1920]] decise che tutti i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che tra le altre cose prevedevano l'espulsione di ogni riformista e il cambiamento del nome dei partiti in "Partito Comunista". Il [[27 agosto]], al termine del Congresso, il il presidente del Comintern Zinov'ev, Bucharin e Lenin inviarono al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà  pubblicato in Italia solo il [[30 ottobre]] su ''L'Ordine Nuovo'', quindicinale socialista torinese diretto da [[Antonio Gramsci]].
Il [[27 settembre]] «L'Avanti» pubblicò un editoriale in cui, oltre ad ammettere la sconfitta degli operai accusò di ciò la dirigenza [[riformista]] del Partito socialista <ref>Battista Santhià, ''Con Gramsci all'Ordine Nuovo'', Firenze, Editori Riuniti, giugno 1956, p. 128: «Il 27 l'Avanti pubblicò un comunicato in cui apertamente si riconosceva che la lotta era finita con la sconfitta degli operai per colpa dei dirigenti riformisti.»</ref>. L'editoriale non fece altro che rettificare la spaccatura ormai insanabile tra i riformisti e i rivoluzionari del PSI. Quest'ultimi erano allineati alle posizioni ufficiali della [[III Internazionale]] (Comintern), che durante il suo II° Congresso tenutosi tra tra luglio e agosto del [[1920]] decise che tutti i suoi membri avrebbero dovuto sottoscrivere 21 condizioni che tra le altre cose prevedevano l'espulsione di ogni riformista e il cambiamento del nome dei partiti in "Partito Comunista". Il [[27 agosto]], al termine del Congresso, il il presidente del Comintern Zinov'ev, Bucharin e Lenin inviarono al Psi e a «tutto il proletariato rivoluzionario» italiano l'invito a discutere al più presto in un Congresso le 21 condizioni. L'appello sarà  pubblicato in Italia solo il [[30 ottobre]] su ''L'Ordine Nuovo'', quindicinale socialista torinese diretto da [[Antonio Gramsci]].
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